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Claudia Lopez sarà il nuovo sindaco di Bogotà e per la prima volta la capitale della Colombia elegge una donna ai vertici del potere municipale. Questo è lo sviluppo più significativo delle consultazioni locali che hanno avuto luogo, nella giornata di domenica, nel Paese latinoamericano dove più di trentasei milioni di elettori hanno votato per scegliere trentadue governatori, oltre mille sindaci e migliaia di deputati locali e regionali. La posizione di sindaco di Bogotà ha una grande rilevanza nel Paese e pertanto il successo della Lopez, appartenete al movimento dei Verdi, rappresenta un successo per i progressisti colombiani. Nella città di Medellin, invece, l’attivista indipendente Daniel Quintero ha sconfitto Alfredo Ramos, a capo del Partito del Centro Democratico, lo schieramento del presidente Duque. Sullo sfondo, però, ci sono i gravi problemi di stabilità che il Paese ha affrontato negli ultimi decenni e che non sono del tutto risolti.

Il ruolo delle Farc

La campagna per le elezioni locali ha fatto registrare diversi episodi di violenza: sette candidati sono stati uccisi, dodici hanno subito attacchi mentre oltre cento sono stati minacciati. Gli organi elettorali hanno, però, definito queste consultazioni come le più pacifiche tra gli scrutini locali e regionali svolti negli ultimi anni. La Colombia ha, infatti, una lunga e triste tradizione di violenze politiche fomentate anche dai decenni di contrapposizione violenta tra il governo centrale e diversi gruppi di guerriglieri, su cui spiccano le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc).

Bogotà ha raggiunto un’intesa con le Farc, di ideologia politica marxista, solamente nel 2016 ponendo, in questo modo, fine ad una ribellione che durava dal 1964 e che aveva provocato almeno 260 mila morti e milioni di sfollati. Il gruppo ha cessato le proprie attività di combattimento, consegnato le armi in proprio possesso agli ispettori delle Nazioni Unite ed i guerriglieri hanno iniziato un percorso di integrazione nella società civile, reso più difficile dalla resistenza di alcuni settori della politica e della società civile. Il primo accordo di pace tra il governo centrale ed i ribelli marxisti era stato respinto da un referendum popolare svoltosi nell’ottobre del 2016, a causa dell’eccessiva tolleranza mostrata nei confronti dei guerriglieri responsabili di omicidi e crimini di guerra. Una nuova intesa era stata siglata, poco dopo, dall’allora presidente Jose Manuel Santos e dai vertici delle Farc. Il gruppo, trasformatosi in partito politico, ha una rappresentanza minima garantita nel Parlamento nazionale ed ha presentato candidati alle consultazioni locali, uno dei quali è stato eletto a capo di un municipio.

Gli sviluppi

La Colombia non può definirsi uno Stato completamente in pace. Organizzazioni criminali e gruppi di ex-Farc dissidenti continuano ad operare sul territorio nazionale, l’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), inoltre, è ancora attivo sebbene ci siano stati, nel corso del tempo, diversi contatti con le autorità di Bogotà. Sullo sfondo incombe il rischio che l’accordo di pace raggiunto con le Farc possa deragliare. Alla fine di agosto, ad esempio, Iván Márquez e Jesús Santrich, due ex comandanti ribelli che avevano partecipato alle trattative dell’Avana con le autorità colombiane, hanno annunciato il loro ritorno sul campo di battaglia. L’applicazione dell’intesa, a livello locale, si è rivelata particolarmente difficile: il vuoto lasciato dai guerriglieri marxisti è stato riempito da altri gruppi che si scontrano per contendersi il territorio, centocinquanta ex guerriglieri e seicentoventisette attivisti e leader sociali, destinati ad implementare l’accordo, sono stati invece uccisi ed il dito è stato puntato verso l’amministrazione Duque, accusata di non fare abbastanza per proteggere queste persone. Il futuro della Colombia sarà così influenzato dalle dinamiche politiche interne e dalla capacità e volontà della classe dirigente e degli ex combattenti di adempiere ai termini concordati.

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