Il premier conservatore Boris Johnson, dopo che le dimissioni a valanga dei membri del suo governo erano arrivate a quota 50 in 48 ore, ha gettato la spugna, lasciando la guida del Partito Tory. La sua volontà è quella di rimanere premier fino a quando i conservatori non avranno individuato un successore, anche sei Labour chiedono a gran voce un nuovo governo, da subito. “Non abbiamo bisogno di cambiare i Tory al vertice – ha affermato il leader Keir Starmer – abbiamo bisogno di un vero e proprio cambio di governo. Abbiamo bisogno di un nuovo inizio per la Gran Bretagna”. Travolto dagli scandali, dal Pincher al Partygate, Bojo aveva stravinto le elezioni generali del 2019, quando promise che avrebbe portato avanti la Brexit “senza se e senza ma” e rispettato gli impegni presi con il referendum del 2016, dopo i fallimenti di Theresa May. Promessa mantenuta, dopo i mesi precedenti piuttosto travagliati fatti di scontri in Parlamento e ricchi di colpi di scena. 

Starmer: “Dibattito chiuso”

“Abbiamo sbloccato la situazione di stallo” disse Johnson dopo la vittoria alle elezioni, quando riuscì finalmente a realizzare il suo obiettivo e a far approvare l’accordo di uscita della Gran Bretagna con l’Ue. Il resto è storia: Il Regno Unito ha formalmente lasciato l’Unione Europea il 31 gennaio 2020, entrando in un periodo di transizione durato fino al 31 dicembre 2020. E dopo le furiose battaglie degli anni passati, ora nessuno, nemmeno fra i Labour più “europeisti”, mette più in discussione la collocazione politica del Regno Unito, che è fuori dall’Unione Europea e ci rimarrà, anche senza uno dei suoi protagonisti assoluti.

Ci sono, ovviamente, delle notevoli differenze di approccio fra laburisti e conservatori sul dossier Brexit. Il leader dei Labour, Keir Starmer, come riporta il Guardian, esporrà presto la sua visione su questo argomento, che contempla la rimozione di una “serie di barriere commerciali e di viaggio”, insistendo sul fatto che il dibattito su un eventuale ritorno del Regno Unito al mercato unico o all’unione doganale è tuttavia “definitivamente chiuso”. In un discorso pronunciato lunedì sera, il leader laburista ha inoltre dichiarato che i grandi interrogativi sull’adesione all’Ue sono “passati”. Secondo Starmer, la revisione di eventuali fondamentali della Brexit causerebbe semplicemente una nuova divisione nel Paese: preferibile, dunque, apportate una serie di modifiche minori, in modo particolare al fine di facilitare il commercio tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito.



La Brexit è un dato di fatto

Al di là del Partito Nazionale Scozzese (SNP), secondo il quale il Labour è diventato un partito “Hard Brexit”, l’approccio pragmatico di Starmer convince persino gli esponenti più filo-europeisti della sua compagine, segnale che la Brexit è, a tutti gli effetti, un dato di fatto e una condizione irreversibile che nessuno si sogna più di mettere in discussione. Il leader laburista elaborerà infatti un piano per cercare di ridurre la burocrazia sul commercio, sulle qualifiche professionali e altre questioni, escludendo qualsiasi tentativo di “ritorno al mercato unico o all’unione doganale”. Secondo Starmer, discutere se il Regno Unito debba rientrare nell’UE significherebbe “guardare indietro alle nostre spalle” e mettere a repentaglio la fede pubblica nella politica.

È questa, senza dubbio, la più grande eredità politica di Boris Johnson: aver creduto ciecamente nella Brexit e averla resa un patrimonio di tutto il Regno Unito, e non solo di una fazione politica. Basti pensare, oltre alla chiara posizione del Labour, chi sono, in questo momento, i papabili successori di BoJo. Fra questi c’è infatti il Procuratore generale Suella Braverman, fervente sostenitrice della Brexit – rispetto alla quale Johnson era un moderato – che ha già dichiarato l’intenzione di candidarsi alla guida del partito, oltre a Steve Baker, unitosi al Partito conservatore negli anni passati proprio per promuovere la campagna di uscita del Regno unito dall’Unione europea.

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