Annalena Baerbock da ex “donna prodigio” e candidata cancelliere a titolare degli Esteri chiamata a rinnegare anni di posizioni progressiste in nome del sostegno ferreo all’atlantismo e al riarmo dell’Ucraina; Robert Habeck, co-leader assieme alla Baerbock, ministro dell’Economia con delega alle questioni energetiche chiamato a rottamare l’ambientalismo in nome del pragmatismo, della tutela degli approvvigionamenti di gas, del ritorno al carbone; Claudia Roth, titolare della Cultura, che deve affrontare lo scandalo dell’esposizione di opere antisemite al festival Documenta di Kessel, patrocinato dal suo ministero, su cui era stata largamente avvertita. I Verdi tedeschi si stanno schiantando nella loro esperienza di governo e in Germania molti si interrogano sul livello della classe dirigente nazionale.
Gli ecologisti tornati al governo nazionale dopo sedici anni come partner del Partito Socialdemocratico (Spd) e dei Liberali (Fdp) nella coalizione “semaforo” mostrano plasticamente tutti i limiti di una classe dirigente nazionale che è schiacciata su due problemi: da un lato, lo scarso ricambio ai vertici, dall’altro un processo di selezione ingessato. E se il cancelliere Olaf Scholz, quarto capo del governo in quarant’anni per la Germania, è inserito sulla strada del cursus honorum dei suoi predecessori, per molti esponenti di prima fila di oggi la gavetta è stata ampiamente ridotta. Per trentadue anni Helmut Kohl prima e Angela Merkel poi, intervallati dalla parentesi del socialdemocratico Gerhard Schroeder (1998-2005) al governo con i Verdi, hanno governato rappresentando la Cdu/Csu e facendo sostanzialmente da gatekeeper a processi di rinnovamento interni nella formazione conservatrice. Ma per Spd e compagnia il problema non è stato minore
La Cdu, nota Italia Oggi, si è fatta del male da sola candidando Amin Laschet al posto del più scafato governatore bavarese Markus Soder per succedere alla Merkel; ma negli anni più volte i leader del partito che fu di Konrad Adenauer hanno dovuto subire scandali e problematiche di ampio respiro. Ursula von der Leyen, “premiata” nonostante una gestione grigia del dicastero con la presidenza della Commissione Ue, e Anngret Kamp-Karrenbauer non hanno saputo arginare gli scandali nel loro ministero della Difesa nell’ultimo decennio, hanno subito l’inflitrazione dei gruppi neonazisti e contribuito con scarsa visione politica al declino delle forze armate tedesche; nel 2013 il ministro dell’Istruzione Annette Schavan si è dimessa per aver ammesso di aver copiato la propria tesi di laurea. Un anno prima per scandali giudiziari era caduto addirittura il Presidente della Repubblica Christian Wulff. A inizio 2020, invece, la fazione locale del partito, in Turingia, è finita nella bufera per aver commesso l’errore politico di aver votato la fiducia alla nuova presidenza del Lander assieme alla destra di Alternative fur Deutschland. Nel marzo 2021, invece, Nikolas Loebel, parlamentare della Cdu ha annunciato le dimissioni dopo che è emerso che l’azienda che gestisce ha guadagnato oltre 250 mila euro in commissioni su contratti per l’acquisto di mascherine.
Questi casi segnalano un declino nella capacità di governo e amministrazione del partito che è stato a lungo il perno del sistema tedesco. La Cdu/Csu è stata accusata di aver promosso a ruoli apicali figure inadatte a svolgere le mansioni affidate e questo è stato spesso imputato ad Angela Merkel come un suo errore. Ma a casa socialdemocratica la selezione non è certo migliore. “La socialdemocratica Franziska Giffey, era ministra federale alla famiglia, si dimise perché si scoprì che aveva copiato il suo ultimo libro”, nota Italia Oggi. “E fu premiata”, dopo l’uscita dal governo Merkel nel 2021, “come candidata a sindaca di Berlino, dove in pochi mesi si è dimostrata velleitaria e inefficiente”. Ma altrettanto problematiche sono state le gestioni dei predecessori di Scholz: Martin Schulz e Andrea Nahles, leader dell’Spd negli anni precedenti il voto del 2021, hanno avuto il limite di non saper gestire la coesistenza al governo con la Merkel.
E anche Scholz, giunto al governo da brillante ex sindaco di Amburgo e da ministro delle Finanze “merkeliano” per eccellenza, ha mostrato limiti nelle capacità di governo da dicembre in avanti. Nulla, però, di paragonabile a quanto accaduto con i Grunen, che rappresentano plasticamente lo scollamento tra risultati elettorali e capacità di governo. I Verdi sembrano, ora più che mai, parvenue del potere, giunti nell’esecutivo dopo aver accarezzato il sogno Cancelleria sull’onda della moda elettorale delle città liberal della Germania, inadatti a gestire i grandi trend storici. I tre casi iniziali sono emblematici, ma ancora più significativo è quello di Anne Spiegel, ministro della Famiglia del governo Scholz che si è dimessa ad aprile dopo che è emerso il fatto che, durante le alluvioni dell’estate 2021 che sconvolsero la Renania-Palatinato, Stato di cui era Ministro dell’Ambiente, non rientrò dalle vacanze in Francia per accorrere a governare i soccorsi.
Il caso della Germania non è isolato. La classe dirigente occidentale sconta profondi limiti nella selezione ai vertici, in tutti i Paesi: l’Europa di François Mitterrand, Margareth Thatcher e Helmuth Kohl, per fare alcuni nomi, presentava leader di caratura maggiore di quella di Jacques Chirac, Angela Merkel e Tony Blair, che a loro volta sono un livello oltre Emmanuel Macron, Boris Johnson e Olaf Scholz. In Italia, per limitarci alla classe dirigente della Seconda Repubblica, si percepisce la differenza tra i protagonisti del bipolarismo (Silvio Berlusconi e Romano Prodi) e i leader attualmente più in vista. Il problema è non solo tedesco ma pienamente europeo. E ha a che fare con le dinamiche che vedono un continente a lungo protagonsita come centro delle dinamiche globali farsi sempre più periferia. E ridurre le capacità della politica di incidere al suo interno.