Consapevolezza di aver perso tempo e volontà di recuperarlo si intrecciano mentre, pochi giorni dopo la visita di Luigi Di Maio in Libia, la diplomazia italiana si muove sul campo minato dello scenario del paese nordafricano. Roma sta provando a tessere la stessa tela di rapporti con la quale, dopo il vertice di Palermo del novembre 2018, si è presentata in ambito internazionale. E l’obiettivo del resto resta sempre quello di allora: sfruttare i buoni legami con i vari attori, interni e stranieri, impegnati sul campo per diventare principale mediatrice e recitare un ruolo di primo piano. Solo che il contesto, rispetto ad un anno fa, è cambiato: l’Italia, specie dopo l’inizio dell’offensiva di Haftar, ha abbandonato a sé stesso per mesi il dossier libico, per di più il ruolo dell’intera Europa sta sembrando sempre più marginale. Il cerino è passato nelle mani di Russia e Turchia, impegnate nel sostenere rispettivamente Haftar ed Al Sarraj. Il compito della nostra diplomazia, in poche parole, si presenta alquanto impervio.
I retroscena nell’incontro tra Di Maio ed Al Sarraj
Martedì scorso, come detto, il ministro degli esteri si è recato in Libia. Luigi Di Maio è stato chiamato in fretta e furia a dimenticarsi, almeno per 24 ore, del suo ruolo di capo politico del Movimento Cinque Stelle e calarsi, forse per la prima volta dall’inizio del suo mandato, nel ruolo di capo della diplomazia italiana. E prima di farlo partire per Tripoli, a Di Maio è arrivata una consegna ben precisa da parte del governo e del corpo diplomatico: far capire ad Al Sarraj il nostro disappunto per il suo accordo con Erdogan. Infatti il bilaterale tra il nostro ministro degli esteri ed il premier libico è stato programmato quando già quest’ultimo aveva stretto la mano al presidente turco avviando un memorandum con Ankara che prevede collaborazione militare e rimodulazione dei rispettivi confini marittimi.
E Di Maio, non appena ha messo piede all’interno del palazzo presidenziale di Tripoli, ha subito evidenziato questa questione: “Dovevate avvisarci”, avrebbe dichiarato il ministro all’indirizzo di Al Sarraj, così come rivelato da alcune fonti diplomatiche. Dal canto suo, il premier libico si è attenuto alla linea politica a lui arrivata dal consiglio presidenziale: far capire all’Italia che Tripoli si è mossa per mero stato di necessità. Ed infatti Al Sarraj avrebbe più volte evidenziato, nel colloquio con il ministro degli esteri italiano, che lui si è mosso solo per difendere la Libia: “Avevamo bisogno di armi e voi non ci avete sostenuto” avrebbe detto il premier libico. Una posizione poi in effetti ripetuta, pochi giorni dopo, dall’intervista che lo stesso Al Sarraj ha rilasciato a Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera.
Due linee politiche dunque ben definite alla vigilia, ben evidenziate dai due rispettivi rappresentanti del governo nel corso del colloquio di martedì scorso. È su questo sfondo che il bilaterale è andato avanti. Di Maio avrebbe ripreso Al Sarraj, facendo riferimento al fatto che l’Italia ha comunque mantenuto la propria ambasciata a Tripoli e che non ha mai fatto mancare supporto e legittimazione politica. Dal canto suo, il premier libico, forse preparato alla replica fatta dal nostro ministro degli esteri, ha rilanciato dichiarando che solo la Turchia si è fatta avanti per fermare Khalifa Haftar, il suo arci nemico che avanza alle porte della capitale libica.
Un colloquio, hanno sottolineato dai corridoi diplomatici, vissuto sul filo del nervosismo. Ma alla fine concluso con strette di mano e sorrisi e non solo per favore di telecamera. Tirando le somme, l’Italia sa bene che, se vuole rientrare in Libia, ha bisogno di non rompere del tutto i rapporti con Al Sarraj. Dall’altro lato, Tripoli non può permettersi di non avere la legittimazione politica data dall’Italia, anche perché non tutti in Tripolitania sono contenti dell’accordo con Erdogan. Dunque, alla fine ha prevalso la realpolitik: dopo un bilaterale dai toni non proprio calorosi, hanno fatto seguito strette di mano volte a far proseguire nel migliore dei modi i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. In attesa però di nuovi ed imprevedibili sviluppi.
Italia “testa di ponte” per l’Europa
I retroscena emersi dall’incontro tra Luigi Di Maio e Fayez Al Sarraj, sono importanti per far comprendere in quale contesto politico il nostro paese sta provando a muoversi. Roma, come detto, deve recuperare il tempo perduto in questi mesi. Per farlo deve spingere sul fatto di aver sempre avuto un rapporto privilegiato con Tripoli, ma di essersi riavvicinata molto anche ad Haftar. Il gioco delle parti andato in scena nella capitale libica, è stato propedeutico per far ripartire il lavoro dell’Italia. Non a caso, dopo il bilaterale avuto a Tripoli, Di Maio ha proseguito il suo viaggio in Libia incontrandosi a Bengasi anche lo stesso Khalifa Haftar. Dopo quel giorno, assicurano dalla Farnesina, è stato un via vai di contatti e chiamate. L’imperativo è tornare a far sentire la voce dell’Italia e nel far questo il governo vorrebbe sfruttare le attuali difficoltà dell’intera diplomazia europea in Libia.
Anche la Francia ha in qualche modo subito l’improvviso attivismo turco e la crescita dell’influenza di Mosca su Haftar. La Germania, dal canto suo, non riesce ancora ad organizzare la conferenza di Berlino, ora prevista a gennaio. L’Italia, provando a far valere il proprio rapporto con Tripoli, potrebbe riuscire a riportare i partner europei in Libia. Ma è una faticosa corsa contro il tempo. Perché nel frattempo a parlare sono le armi e perché, soprattutto, a parlare tra di loro in queste ore sono anche diplomatici russi e turchi. Ed a Tripoli, come a Bengasi, più che la conferenza di Berlino aspettano con maggior interesse il bilaterale tra Erdogan e Putin previsto il prossimo 8 gennaio.