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Quando parliamo di Cina il pensiero va subito a lui: Xi Jinping. Nell’immaginario collettivo il presidente cinese è il “nuovo imperatore” di una nazione che può contare su un serbatoio di 1,4 miliardi di abitanti e che è pronto a prendere il posto degli Stati Uniti, Paese ormai stanco e senza idee dopo aver passato decenni a guardare tutti dall’alto al basso.

Sembrava davvero che il “sogno americano” stesse per essere soppiantato dal Sogno cinese, ma la sensazione è che Pechino non sia ancora pronta del tutto a prendersi (o riprendersi, secondo la visione cinese) il centro del mondo. L’inizio del 2020 ha svelato in un colpo solo tutte le debolezze interne della Cina. Un gigante, certo, ma ancora non tale da essere considerata la vera superpotenza

In concomitanza con l’ingresso nell’anno del Topo, la Cina si è scoperta fragile e indifesa di fronte all’epidemia del nuovo coronavirus. I funzionari del Partito comunista cinese saranno anche bravissimi nel gestire le situazioni di emergenza ma, per l’ennesima volta, non si sono dimostrati altrettanto capaci nel saperle prevenire. Una gravissima pecca, quest’ultima, per uno Stato che aspira a diventare la locomotiva di un nuovo ordine globale.

L’autogol di Pechino

Il virus 2019-n-CoV si è diffuso in tutta la Cina. Sono oltre oltre mille i pazienti contagiati. I morti hanno sfondato il tetto dei 40, ma è impossibile stare dietro a dati che cambiano di ora in ora e che, quando starete leggendo questo articolo, saranno aumentati ancora.

Xi Jinping, l’uomo forte della Cina, non ha ancora fatto un discorso ufficiale per rassicurare i cittadini o aggiornarli su quanto sta accadendo. Con una frase di rito, il presidente si è limitato a esortare “sforzi a tutto campo” per garantire “la sicurezza e la salute della popolazione”.

Certo, questa volta – dicono gli esperti – le autorità cinesi hanno condiviso le informazioni sull’epidemia di coronavirus con la comunità internazionale, senza nascondere niente come invece accaduto con l’emergenza Sars, a cavallo tra il 2002 e il 2003. La sensazione è che i bollettini pubblicati da Pechino siano zoppi, o quanto meno cerchino di nascondere l’entità di una pandemia inaspettata e probabilmente più grave del previsto. Il dubbio è che l’annuncio sulla costruzione di un mega ospedale in appena sei giorni sia sì utile ma non copra del tutto il fatto che all’interno della Cina esistano ancora mercati popolari in cui vengono venduti ai clienti salamandre, pipistrelli e koala come se fossero cioccolatini. E dove il sangue di questi animali, spesso macellati sul posto, cade a terra unendosi ad altri liquidi biologici tra l’indifferenza generale di acquirenti e venditori.

Alla ricerca del vero volto della Cina

Qual è, dunque, il vero volto della Cina? Quello ultra tecnologico della rete 5G, dei palazzi futuristici, dei treni super veloci, di Huawei, dell’intelligenza artificiale e di una ricchezza crescente, oppure quello dei mercati popolari, incubatrici di virus potenzialmente letali? L’impegno di Xi dovrebbe tendere anche risolvere questa enorme contraddizione. Una contraddizione che in situazioni del genere vanifica tutti gli sforzi fatti da Pechino per risultare migliore degli Stati Uniti e nuovo leader di un mondo che cambia.

Adesso la diffusione del nuovo coronavirus si è trasformata in un vero e proprio test. Xi e il Partito comunista dovranno stringere i muscoli e mettere alla prova l’efficienza della sua macchina politica. Risolvere il danno provocato dalla gestione dei mercati popolari non sarà tuttavia una passeggiata. Anche perché, accanto al disastro sanitario, c’è da considerare una inevitabile flessione economica, che piomberà sulla testa del Dragone in un momento già delicato.

Come ha scritto Il Sole 24 Ore, a causa del coronavirus, secondo gli analisti della National Australia Bank, il Pil cinese dovrebbe perdere un punto percentuale nel primo trimestre, mentre altri parlano addirittura di una perdita pari all’1,2%. I danni peggiori ricadranno certamente su Wuhan, un centro urbano che fino a poche settimane fa cresceva più della media nazionale (+ 8% nel 2018, + 7,8% nel 2019).

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