La pandemia di coronavirus è tornata a correre veloce nel Regno Unito, Boris Johnson e il suo governo hanno provato a mettere in campo misure volte a impedire che Londra sia costretta a decretare un nuovo lockdown, ma a preoccupare è la tenuta della coesione nazionale.
Colpendo ovunque con grande intensità, ma facendo sentire principalmente i suoi effetti sociali, umanitari ed economici nelle aree più periferiche del Paese e nelle Home Nations oggetto di devoluzione di poteri, la pandemia ha creato diverse frizioni tra la centrale Inghilterra e gli altri membri del Regno Unito, segnalato asimmetrie e disuguaglianze, amplificato gli effetti del voto sulla Brexit e, di un processo di devoluzione di potere alle autorità di Scozia, Galles e Irlanda del Nord che ha reso più complessa una reale risposta organica alla crisi.
E la serie di fughe in avanti, preoccupazioni e ripensamenti da parte dei First Ministers delle tre nazioni del Regno Unito, insieme alla difficoltà di Johnson nel centralizzare la risposta alla pandemia, ci riporta l’immagine di un Regno Unito poco coeso, in cui va inoltre tenuta in considerazione la rilevante posizione di quello “Stato nello Stato” che è la città di Londra.
Come scrive il Financial Times, “quando il virus ha colpito, ha imposto una sfida unica nel suo genere: una crisi di portata nazionale senza alcun rispetto per i confini” tra le autorità delle Home Nations, Scozia e Galles in particolare, abituate a creare microregolamenti ad hoc su ogni questione (dal prezzo degli alcolici alle rette universitarie), mettendo alla luce “la natura complicata del sistema britannico di devoluzione”. BoJo, in questo contesto, “ha scoperto non solo di aver meno controllo sulle leve del potere del Regno Unito, ma di essere costretto a dividerlo con dei rivali politici”. Tra questi sicuramente il premier scozzese Nicola Sturgeon, combattiva e attiva leader dello Scottish National Party (Snp) che dal referendum sulla Brexit paventa un nuovo voto sulla secessione.
Su chiusure, restrizioni, misure preventive la Sturgeon ha provato a più riprese a anticipare il governo centrale, per metterlo di fronte al fatto compiuto. Ma il fatto che sulla sanità la responsabilità sia condivisa tra governo centrale e Home Nations ha creato frizioni non da poco. La Scozia, assieme al Galles (ben più “unionista”) ha rifiutato di adottare la lista di quarantene obbligatorie per i viaggiatori provenienti dall’estero adottata a luglio da Westminster e applicata dal governo britannico al territorio inglese. Al contempo, la Sturgeon ha polemizzato col Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak per quello che ritiene essere un insufficiente sostegno economico del governo alla Scozia, pari a 700 milioni di sterline.
In Irlanda del Nord, con oltre 500 casi al giorno per milione di abitante, la pandemia corre veloce e la crisi economica rischia di portare negli anni a venire a una nuova spirale di tensioni politiche e sociali; la questione dell’Ulster richiama alla profonda asimmetria tra le aree più opulente e quelle più povere del Paese, con le seconde non solo più esposte al contagio ma anche maggiormente prese di mira dal rischio di nuovi lockdown mirati. A confermarlo uno studio del Sunday Times, che ha analizzato le restrizioni adottate in alcune zone del Regno Unito, notando come nel nord-est del Paese e nelle Midlands, due delle regioni più povere, sia stato messo in vigore il divieto di riunirsi, all’interno come all’esterno, mentre aree come Sheffield, Barrow-in-Furness, Craven e Newark and Sherwood, tra le più ricche del Paese, che malgrado denuncino gli stessi picchi di contagio sono esenti dalla norma.
A Londra, del resto, il sindaco Sadiq Khan ha imposto di sua volontà nuove restrizioni, ma basteranno? Come fa notare Il Fatto Quotidiano, “il sindaco laburista spiega che continuerà a chiedere al governo aiuti finanziari per sostenere le attività commerciali locali in difficoltà, poiché i piani al momento in atto non sono sufficienti per gestire questa nuova situazione di restrizioni”. Boris Johnson guarderà con occhio di favore alla città da lui amministrata per due mandati? E,se lo farà, che conseguenze avrà ciò sulla percezione delle altre Home Nations? Pandemia e Brexit segnalano una forte crisi costituzionale ma anche lo stimolo per una grande riflessione sul futuro del Regno Unito: Paese che ha scommesso sull’autonomia nel contesto del mondo multipolare come unica via d’uscita dalla tendenza al declino dell’Europa, ma che come la pandemia dimostra ai destini del Vecchio Continente, nel bene e nel male, difficilmente potrà sfuggire. La crisi delle aree periferiche deve ricordare a Londra che in futuro ci sarà in ballo la stessa tenuta del Regno Unito come nazione unitaria: una percepita divergenza nella risposta potrebbe alimentare rischiose spinte centrifughe.