Poche ore dopo l’ingresso nel palazzo presidenziale di Kabul, i talebani hanno subito parlato di imminente proclamazione di un “emirato”. Ma per la costituzione di un emirato, occorre ci sia un emiro. Chi ricoprirà questo ruolo? E quali saranno le sue funzioni? Per adesso è difficile prevedere in che modo gli studenti coranici organizzeranno la propria struttura di potere. Tuttavia è possibile intuire alcune mosse future partendo da quella che è l’attuale composizione del “cerchio del potere” dei talebani. Un vero e proprio anello composto da figure sulle quali in questo momento si stanno concentrando le principali attenzioni.
Abdul Ghani Baradar: l’uomo del dialogo con gli Usa
Nel 1996, anno in cui i talebani hanno per la prima volta messo piede a Kabul, la figura di leader spirituale e leader politico è coincisa nella persona del Mullah Omar. Quell’emirato messo in piedi al culmine della lotta con i signori della guerra e smantellato poi soltanto dopo l’intervento Usa del 2001, non aveva però le sembianze di un vero e proprio governo. Anche per questo a livello internazionale non ha avuto un vasto riconoscimento. Dal suo ufficio della sua Kandahar, Omar dava indicazioni politiche e lanciava moniti sociali e comportamentali, guidando spiritualmente tanto il movimento quanto il Paese. Oggi la situazione potrebbe essere diversa. Il Mullah Omar era il fondatore dei talebani e non esistevano altre figure carismatiche. Lui è morto nel 2013 e il movimento ha trovato altri capi e nel frattempo si è dato un’organizzazione leggermente diversa.
Gli studenti coranici adesso sembrano più strutturati. Prima di iniziare la fulminea marcia di avvicinamento a Kabul, avevano già creato dei “governi ombra” nei distretti che controllavano. I miliziani sono ben consapevoli della necessità di creare una forma di organizzazione statale, tanto all’interno del movimento quanto nei palazzi del potere caduti nelle loro mani. Per questo forse difficilmente le figure di leader spirituale e leader politico non coincideranno. Attualmente ad essere accreditato come numero uno dei Talebani è Haibatullah Akhundzada. Non dovrebbe però essere lui a guidare l’Afghanistan.
Al contrario, il nome più accreditato è quello di Abdul Ghani Baradar. Negli anni ’90 era molto vicino al Mullah Omar, i due si sono conosciuti durante il periodo di lotta anti sovietica. Nel 2001, con la caduta del primo emirato talebano, è andato a vivere a Quetta, in Pakistan. Qui è stato tra i capi dei miliziani in esilio, costruendosi la fama di politico e mediatore del movimento. Con gli Usa è un rapporto di amore e odio. Nel 2010 l’amministrazione Obama ha chiesto al Pakistan di arrestarlo, Baradar viene così incarcerato per otto anni. Nel 2018 l’amministrazione Trump ne ha chiesto invece la liberazione. Il suo nome è stato infatti scelto per i negoziati inaugurati a Doha in vista del ritiro Usa.
Per questo potrebbe ricadere su di lui l’onere di costituire quello che sarebbe il primo vero governo talebano. Baradar dal canto suo un discorso da “leader in pectore” lo ha già fatto. Domenica ha parlato con la bandiera talebana alle spalle e ha dichiarato che adesso è arrivato il momento di “servire la nazione”. Un discorso quasi programmatico, da capo politico designato.
Da Guantanamo al palazzo presidenziale di Kabul, chi è Rouhani
Ma all’interno della stanza dell’oramai ex presidente Ghani, fuggito domenica all’estero, a fare la sua comparsa è stato un altro importante leader talebano. Si tratta di Ghoulam Rouhani, considerato come uno degli “architetti” dell’intelligence talebana. Assieme ad altri 15 miliziani, Rouhani domenica pomeriggio si è diretto verso il palazzo presidenziale. Qui simbolicamente il gruppo ha preso possesso della scrivania da dove poche ore prima Ghani aveva spiegato in un discorso televisivo il perché del suo esilio dal Paese. Assieme al gruppo di talebani capeggiato da Rouhani, nella stanza dell’ex presidente è entrata anche una troupe di Al Jazeera. Sono state proprio le telecamere della tv di Doha a immortalare i primi momenti della nuova fase talebana di Kabul. Mohammed Ali Musawi, inviato del network, ha intervistato Rouhani. Quest’ultimo ha parlato fluentemente in inglese e ha spiegato di essere stato per sei anni prigioniero a Guantanamo.
In effetti quando è stato catturato nel 2001 gli Usa lo ritenevano tra i principali comandanti militari del movimento. Da qui il trasferimento nella base situata a Cuba. Poi nel 2007 è stato riportato a Kabul e imprigionato in una delle carceri di massima sicurezza della capitale. In qualche modo però nel corso degli anni Rouhani è riuscito ad uscire e ad aggregarsi tra le fila dei talebani. La sua presenza nel palazzo presidenziali non è sembrata casuale. I miliziani entrati in città non si sono mossi a casaccio, sono state create squadre per l’occupazione dei principali edifici governativi. Se Rouhani era tra i combattenti incaricati di andare nel palazzo presidenziale, è lecito pensare a un suo attuale importante ruolo. Forse sarà lui a guidare la riorganizzazione dei servizi di intelligence del gruppo islamista.
Gli altri due alti leader: Akhundzada e Yaqoob
Ci sono poi coloro che vengono considerati i più importanti capi del movimento. La guida spirituale erede del Mullah Omar è Haibatullah Akhundzada. A capo dei Talebani dal 2016, da quando Kabul è stata presa però non è stata registrata alcuna sua dichiarazione. Molti ritengono sia ancora convalescente dai postumi di una forma grave di Covid contratta nei mesi scorsi. Ma è anche lecito pensare che il leader islamista manterrà per sé un ruolo di guida extra governativa. Del resto fonti di intelligence lo hanno sempre descritto come un grande esperto di questioni religiose e giuridiche, un po’ meno invece di affari politici e di strategie militari.
C’è poi, per chiudere il cerchio dei principali leader talebani, il figlio dello stesso Mullah Omar: si tratta di Yaqoob, trentenne e dunque il più giovane tra le figure di vertice del movimento. Proprio come il padre, si è sempre esposto poco pubblicamente. Da molti viene definito come numero uno della struttura militare talebana, ruolo datogli a seguito della sua formazione in Pakistan. Difficile però dire se entrerà o meno nella struttura governativa in procinto di essere varata a Kabul.