Uno degli elementi che contribuiscono maggiormente alla polarizzazione degli schieramenti politici statunitensi è l’uso politico della giustizia federale. Fino agli anni Novanta era perfettamente normale che un presidente democratico nominasse un moderato alla Corte Suprema, come nel caso di John Fitzgerald Kennedy, che nominò il giudice Byron White nel 1962, oppure che un repubblicano nominasse un centrista che guardava a sinistra, come nel caso di George H.W. Bush nel 1990 con David Souter.

Come se non bastasse, dopo la vittoria elettorale di Barack Obama, l’allora leader di maggioranza dem al Senato Harry Reid decise di abbassare la soglia richiesta di 60 voti su 100 alla maggioranza semplice per tutte le nomine giudiziarie, eccezion fatta per i candidati alla Corte Suprema. Eccezione prontamente rimossa in età trumpiana dal capogruppo al Senato Mitch McConnell: grazie a questo escamotage legislativo, The Donald è riuscito a nominare ben tre giudici di schietto orientamento conservatore a maggioranza semplice nella Suprema Corte in soli quattro anni, di cui una, Amy Coney Barrett, a ridosso della fine del suo mandato presidenziale.

Le nomine giudiziarie rimaste in sospeso

Insomma, la brama di occupare preziose posizioni nel complesso apparato giudiziario americano per ottenere sentenze a favore dei propri provvedimenti legislativi (e che smonti quelli degli avversari) è assolutamente bipartisan, anche se di sicuro i repubblicani hanno brillato per maggiore efficienza. Parliamo di un gran numero di toghe: attualmente ci sono ben 870 posizioni federali che compongono la totalità della magistratura federale statunitense. E nel mese di aprile ci sono esattamente 78 posizioni che devono essere riempite, tra Corti d’Appello e Corti distrettuali. Qual è dunque l’intoppo?

Strano a dirsi, ma è il mistero delle condizioni di salute di una singola senatrice, Dianne Feinstein della California, la decana della delegazione dem, che compirà 90 anni il prossimo giugno. Dallo scorso mese di gennaio la senatrice non è più tornata al lavoro, perché colpita dal fuoco di Sant’Antonio, per il quale da una certa età in poi si raccomanderebbe il vaccino, ma vabbè, passiamo oltre. Il problema è che Feinstein occupa una posizione nella cruciale commissione giustizia, dove i dem hanno 11 membri e i repubblicani 10, rispecchiando quindi i rapporti di forza dell’assemblea, dove dopo le ultime elezioni di metà mandato i dem hanno 51 seggi (che comprendono tre indipendenti) contro i 49 dei repubblicani.

L’incertezza che tiene i dem col fiato sospeso

Con l’assenza della senatrice quindi, i dem non hanno i numeri necessari per mandare avanti i giudici scelti dal presidente Biden per il voto di fronte al Senato. Bloccando quindi tutto il processo. Ironia della sorte, tra i repubblicani Chuck Grassley, coetaneo di Feinstein (anche se più giovane di qualche mese), gode di perfetta salute. Che fare quindi? La soluzione chiesta dal capogruppo dem Chuck Schumer è quella di nominare un temporaneo rimpiazzo, decisione per la quale ci vuole una maggioranza qualificata. Che ovviamente i repubblicani non vogliono fornire, trovando il modo di guadagnare tempo prezioso per limitare l’occupazione da parte dei dem delle cariche federali.

Ci sarebbe una soluzione, ma risulterebbe piuttosto traumatica: le dimissioni della senatrice e il suo immediato rimpiazzo da parte del governatore dem della California Gavin Newsom. E subentra un altro problema: Feinstein ha annunciato di non volersi ricandidare nel 2024 e ci sono già tre candidati alle primarie, tra cui due campioni antitrumpiani come i deputati Adam Schiff e Kate Porter. Newsom ha promesso che, qualora fosse capitato nuovamente quanto accaduto nel 2020, quando dovette sostituire Kamala Harris fresca di elezione alla vicepresidenza, avrebbe scelto una donna afroamericana. Ci sarebbe, ma anche la deputata Barbara Lee è candidata a succedere a Feinstein, e nominarla gli darebbe un vantaggio sui suoi avversari. Insomma, un bel pasticcio.

L’eterna battaglia con la sinistra radicale

Senza contare poi che manca anche un dettaglio: chi dovrebbe dire a Feinstein di dimettersi? Ci ha già pensato un altro deputato californiano, Ro Khanna, vicino alla sinistra radicale di Bernie Sanders, una voce non esattamente maggioritaria nemmeno nell’iperprogressista California. Altri autorevoli esponenti dem, come l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, residente a San Francisco come Feinstein, si sono limitati ad auspicare un ritorno della senatrice, che al netto dell’età, pur essendo stata un’icona progressista quale sindaca di San Francisco a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, negli anni ha scontentato i più radicali tra i dem affermando la sua contrarietà alla legalizzazione della marijuana a scopi ricreativi e la sua approvazione della pena capitale. Insomma, decisamente troppo eterodossa.

Ecco allora le voci messe in giro su Twitter riguardo una sua presunta demenza senile (mai confermata da alcuna fonte) per favorirne la rimozione. Che difficilmente però accadrà in tempi brevi. Fornendo quindi un bel grattacapo al presidente Joe Biden, anche lui alle prese con gli acciacchi dell’età; eppure, prossimo ad annunciare la corsa per la rielezione nel 2024, alla veneranda età di 82 anni. Come nel caso di Feinstein, anche il presidente è difficilmente sostituibile nelle fila dem.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.