Mentre in Ucraina si continua a combattere e morire c’è chi ne approfitta per farsi i fatti suoi e regolare i conti in sospeso dentro e fuori casa. Tra tutti Recep Tayvip Erdogan. Lo scorso 17 aprile il ferrigno presidente turco ha dato ordine di bombardare le basi logistiche del Pkk curdo in Iraq. Ai raid aerei è seguito l’intervento degli elicotteri e dei droni; terminata la prima fase “d’ammorbidimento” i reparti speciali dell’esercito hanno attraversato il confine per rastrellare l’area e eliminare le ridotte curde superstiti. Ankara ha giustificato l’operazione militare spacciandola un semplice consolidamento della “fascia di sicurezza” creata da tempo sulla frontiera irachena e siriana.

Sistemati, almeno per il momento, i detestati curdi, Erdogan ha rivolto le sue attenzioni (non proprio benevoli…) agli oppositori interni. Il 25 aprile il tribunale di Istanbul ha condannato all’ergastolo senza appello Osman Kavala. Il 64enne imprenditore e filantropo, già detenuto da quattro anni e mezzo, è stato giudicato colpevole d’aver complottato “per rovesciare le istituzioni della repubblica” e d’aver foraggiato le manifestazioni antigovernative del 2013. Un passo indietro. Nella primavera di quell’anno la protesta, nata da alcuni ecologisti che cercavano d’impedire l’abbattimento dei 600 alberi di Gezi Park, il cuore verde nel centro storico dell’antica capitale ottomana, rapidamente si trasformò in una massiccia ondata di contestazione, soprattutto, contro il sempre più soffocante potere dell’Akp, il partito islamico conservatore di Erdogan. Nonostante i tentativi di mediazione esperiti da Kavala e dai suoi amici, la repressione fu brutale. La polizia, intervenuta su ordine diretto dello sdegnato presidente, agì con estrema durezza arrestando un migliaio di dimostranti e uccidendone otto.

Un bilancio pesantissimo. Non pago, negli anni Erdogan ha continuato a perseguitare i protagonisti di quelle incandescenti giornate, puntando il dito, complice una magistratura ormai allineata e supina al potere, contro gli esponenti più in vista della società civile. Da qui la lunga incarcerazione di Kavala, il processo farsa e la tremenda condanna. Assieme a lui sono stati condannati per “complicità nel complotto” a diciotto anni di galera ciascuno altri sette imputati, tra cui un architetto, un regista, un avvocato, un docente universitario.

Ma non è tutto. Archiviato il dossier Kavala, il 12 maggio la Corte suprema ha condannato a quattro anni e undici mesi Canan Kaftanciouglu, medico affermato e leader istanbuliota del Partito repubblicano del popolo (CHP), la principale forza d’opposizione sempre fedele agli insegnamenti di Kemal Ataturk, il padre della Turchia laica. Secondo i giudici la signora è rea d’aver “insultato il presidente, le istituzioni e lo stato”. Per il momento la donna è ancora a piede libero ma è stata dichiarata “ineleggibile” e privata dei suoi diritti politici. Un colpo basso. Il vero obiettivo rimane però il detestato sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, l’uomo che nel 2019 è riuscito a strappare (nonostante brogli e ricorsi pretestuosi) all’AKP la guida della metropoli sul Bosforo e prossimo candidato alle presidenziali.

Nell’avvicinarsi delle elezioni del 2023 (un appuntamento che s’intreccia al centenario della fondazione della repubblica…), Imamoglu è in testa ai sondaggi ed Erdogan si preoccupa sempre più. Nonostante la sua retorica populista e la fitta rete clientelare dell’AKP la situazione economica della Turchia è sempre più grave: la Banca centrale ha abbassato a più riprese il costo del denaro innescando massicce vendite sulla lira, la disoccupazione è aumentata in modo esponenziale e l’inflazione galoppa ormai intorno al 70%.

Da qui, sfruttando il crescente disinteresse dell’Occidente per i fatti turchi, il pavido silenzio del Consiglio d’Europa (e, ovviamente, il perdurare della congiuntura bellica), la ripresa dell’offensiva giudiziaria contro gli oppositori. Con esiti persino farseschi. Nel 2021 il sindaco-rivale è stato denunciato di “comportamenti irrispettosi” per aver mantenuto le mani dietro la schiena durante la visita alla tomba di un oscuro sultano ottomano e il prossimo primo giugno Imamoglu sarà nuovamente in tribunale per difendersi dall’accusa d’aver insultato i membri della commissione elettorale che arbitrariamente avevano annullato la prima tornata delle scorse municipali. In caso di condanna la pena prevista sono quattro anni…

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