Mentre i caccia russi e siriani continuano a martellare la parte meridionale della provincia di Idlib, a Teheran si riuniscono Vladimir PutinRecep Tayyip ErdoganHassan Rouhani. Un vertice di primaria importanza perché l’imminente offensiva contro l’ultima roccaforte dei ribelli avrà ripercussioni su tutta la Siria, stante le ultime minacce di Stati Uniti e Francia. 

È chiaro che un ruolo fondamentale lo avrà la Turchia che, in quest’ultimo mese, ha cercato (invano) di trovare delle soluzioni diplomatiche con i ribelli. Secondo quanto riporta Al Jazeera, l’obiettivo dell’incontro è quello di produrre un accordo di cooperazione militare in Siria, favorire il ritorno dei rifugiati e creare una commissione per indagare su chi è scomparso o arrestato durante il conflitto. 

Ma non solo. Secondo quanto riporta il quotidiano turco Daily Sabah, durante il vertice Ankara proporrà che i dodici gruppi che controllano Idlib depongano le armi e vengano spostati in una “zona cuscinetto” non controllata da Damasco. È probabile, a rigor di logica, che si tratti dei territori nel nord del Paese controllati dalle milizie filo turche. 

“I gruppi che si rifiutano di deporre le armi – fa sapere il Daily Sabah – saranno oggetto dell’offensiva di Damasco e dei suoi alleati”. Inoltre, i combattenti stranieri potranno tornare nei loro Paesi d’origine. 

Riprende la guerra delle immagini su Idlib

La zona controllata dai ribelli è ancora molto ampia e in essa vivono – secondo quanto riporta l’AdnKronos, circa 2,65 milioni di persone, tra cui 1,16 milioni di sfollati interni. Il rischio che l’avanzata militare si trasformi in una carneficina è dunque altissimo. Durante questi sette anni di guerra, infatti, sono stati i civili a pagare il prezzo più alto. Vittime innocenti di un conflitto non loro. 

Ma come spesso accade quando c’è di mezzo un’avanzata governativa, le agenzie si riempiono di foto di civili disperati. Che ci sono, ovviamente. E che spesso sono stati colpiti dalle bombe scacciate dagli aerei russi e siriani. Ma che vengono strumentalizzati dai canali di propaganda dei ribelli e poi rilanciati dalle agenzie. Il caso del piccolo Omran Daqneesh è ancora sotto gli occhi di tutti. 

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E così in questi giorni le immagini dei ribelli armati – molti dei quali legati ad Al Qaeda – hanno fatto spazio ai bimbi dei campi profughi. Che vivono in condizioni pessime, sia chiaro. Spesso sono denutriti e ammalati. Ma che sono innanzitutto delle vittime degli stessi miliziani che controllano l’area, definita “il santuario qaedista” dagli stessi Stati Uniti. 

Perché la vita ad Idlib è pessima. E non solo per le bombe russe e siriane che piovono dal cielo. Ma anche e soprattutto perché lì si è creato un vero e proprio regno del terrore. Abu Muhammad al Jawlani è a capo degli irriducibili di Hayat Tahrir al Sham. Fu lui, dopo aver combattuto contro gli Usa in Iraq, ad affiancarsi al Califfo Abu Bakr al Baghdadi e a comprendere che la guerra in Siria poteva rappresentare una possibilità per Al Qaeda di espandersi in Medio Oriente. Gli uomini di Al Jawlani controllano oltre il 60% del territorio di Idlib. Il restante 40% controllato dal Fronte di liberazione nazionale, sostenuto dalla Turchia.

Al Jawlani ha già detto che combatterà. E il rischio che la popolazione civile venga usata come scudo umano – come del resto è già successo a Douma con l’Esercito dell’islam – è molto alto.

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