Idlib, la madre di tutte le battaglie, chiuderà il conflitto in Siria. È qui che i ribelli si sono rifugiati dopo le avanzate dei governativi ad Aleppo, a Deir Ezzor, nella Ghouta orientale e, infine, nella provincia di Daraa. È qui, nel nord del Paese, che si combatterà la battaglia finale tra governativi e ribelli. Ed è qui che potrebbe spaccarsi l’asse tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan.
L’importanza di Idlib per la Russia
Dal punto di vista russo, la riconquista di Idlib è fondamentale. Quella provincia è per la Russia una centrale di problemi, che rendono quell’area il crocevia degli obiettivi di Putin nella guerra in Siria. Il primo, chiaramente, è che questo scontro sarà quello che concluderà la riconquista dell’Occidente siriano da parte dell’esercito. La vittoria di Bashar Al Assad passa forzatamente pere la liberazione di Idlib
Sotto il profilo esclusivamente geografico, la liberazione della sacca di Idlib dal terrorismo consente la stabilizzazione di tutta la regione prossima alle basi russe in Siria. Le aree intorno Latakia, Tartous e Khmeimim sarebbero libere da nemici che da tempo minacciano e provano a colpire le basi, in particolare attraverso l’utilizzo di droni.
Una minaccia costante, dal momento che solo nella notte tra il 27 e il 28 luglio, la Russia ha comunicato di aver neutralizzato un drone partito da un avamposto ribelle. Inoltre, da un punto di vista logistico, il governatorato di Idlib è posizionata tra le basi russe e Aleppo, città fondamentale nello scacchiere siriano.
Ma per i russi, la partita non può essere soltanto di livello territoriale. Quello che si nasconde a Idlib è il nucleo dell’impegno militare russo nel Paese. Putin ha sempre avuto tre obiettivi in questo conflitto: mantenere Assad al potere, mantenere le basi russe nel Mediterraneo orientale, rendere la guerra la tomba per migliaia di terroristi che, come foreign fighter, hanno raggiunto il Paese per unirsi allo Stato islamico. Quest’ultimo elemento a Idlib c’è. E per il Cremlino ora è arrivata la resa dei conti.
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Il governatorato della Siria nord-occidentale si è trasformato in questi anni, ma soprattutto nell’ultimo periodo con la fine dell’Isis a livello territoriale, un grande contenitore delle sigle del terrore. Fra questi, meritano particolare attenzione molti gruppi di ceceni, e altri provenienti dal Dagestan e dalle ex Repubbliche sovietiche asiatiche che hanno raggiunto Idlib per combattere le forze russe prima ancora che l’esercito siriano.
Lo ha ricordato a tutti un episodio avvenuto nelle ultime ore: il ritrovamento del cadavere di Abu Islam al-Uzbaki, comandante di al Nusra di origine uzbeka. Assassinato mentre viaggiava in auto per le strade di Jisr al-Shughur, nella provincia di Idlib, il leader terrorista rappresenta il simbolo di questa guerra del terrore avviata dai nemici della Russia dall’Asia centrale al Caucaso. E ora è arrivata la resa dei conti.
La carta politica di Putin
Da un punto di vista politico, Putin sa che a Idlib si gioca molto. È chiaro che la vittoria sui terroristi e su tutta la galassia ribelle significherebbe concludere quasi definitivamente la guerra in Siria. Ma sa anche che Idlib è il centro nevralgico degli interessi di Erdogan dopo Afrin, Jarabulus e Manbij.
L’assedio a Idlib significa giocare al rialzo. I russi e i siriani potrebbero colpire in maniera devastante. Ma forse a Mosca la questione è considerata in maniera diversa. Se riescono a convincere i ribelli a cedere le armi – almeno quelli che già sono fuggiti dalla Ghouta, da Daraa e Quneitra – potrebbero anche decidere di non agire con i bombardamenti a tappeto. Ci sono più di due milioni di civili nell’area. E la Russia non può permettersi di passare per criminale proprio ora che sta ottenendo un risultato storico.
Dall’altro lato, serve un patto con Erdogan. Se il Cremlino riesce a tenere i contatti con il presidente turco e far reggere la traballante infrastruttura costruita ad Astana, la Turchia rimane ancorata alla strategia di Mosca e di Damasco. Putin non è certo un alleato del presidente turco. Ma adesso fa comodo. Soprattutto perché il post-conflitto ripartirà anche dalla pacificazione del nord, dove i turchi continuano a sostenere molti gruppi islamisti e detengono aree di fondamentale importanza.
L’importanza di Idlib per la Turchia
Il governatorato di Idlib è sempre stato fondamentale per la strategia turca. E per diverse ragioni. Una di queste è evidentemente il motivo più semplice: quello geografico. La provincia di Idlib confina con quella turca di Hatay.
Qui terminava una delle grandi “autostrade del jihad” che conducevano terroristi in Siria dal territorio turco. Ma qui era anche dove finivano i convogli di petrolio sottratto alla Siria durante le conquiste dello Stato islamico e che erano contrabbandate nei porti della provincia. Secondo i russi, una delle rotte del petrolio terminava proprio nell’Hatay, in particolare nel porto di Iskenderun (o Alessandretta).
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Ma c’è anche un motivo politico: avere il governatorato di Idlib sotto il controllo delle forze islamiste significa avere un’estensione della propria influenza politica al di là del confine e nel post-conflitto siriano. Erdogan voleva rovesciare Assad proprio per far sì che suoi ribelli prendessero una fetta di potere nel momento della caduta di Damasco.
Questo piano è evidentemente fallito grazie all’Iran e alla Russia. Ma Erdogan si è sempre mosso con l’intento di avere aree pienamente filo-turche a ridosso del confine. E le operazioni nel nord della Siria contro i curdi, in particolare Ramoscello d’Ulivo, nasce dall’esigenza di eliminare un problema (i curdi) ma per soppiantarli con abitanti legati alla Turchia, come sta avvenendo ad Afrin con continue denunce da parte delle associazioni umanitarie.
Infine, non va dimenticata l’importanza delle basi turche in quella regione per controllare il flusso di migranti dalla Siria e il ritorno verso la Siria. Anzi, proprio ora che si rischia un nuovo esodo di ribelli e famiglie, ma anche di civili in fuga dalla battaglia di Idlib, Erdogan vuole avere il pieno controllo della situazione.
La carta politica di Erdogan
La Turchia ha almeno 12 posti di osservazione nel governatorato di Idlib, come frutto degli accordi di Astana sulle de-escalation zones. Per molti sono l’anticamera della creazione di una base turca in territorio siriano. Sul fatto che questo possa avvenire, dipende da gli accordi fra Assad, Erdogan e Putin. Ma è chiaro che le forze turche non si ritireranno senza aver ottenuto quanto desiderato.
E ora Erdogan sa di avere una carta fondamentale nel suo mazzo. Anzi, la vera ultima carta da giocare. Può decidere le sorti del conflitto nel nord-ovest siriano. E per farlo ha già truppe sul territorio, legami con le sigle jihadiste, una fitta rete politica e milioni di profughi. Lui ha in mano le chiavi per entrare nella provincia che decide la fine della guerra di Damasco nell’ovest. E può fare in modo che siriani e russi fermino la loro avanzata offrendo in cambio la resa degli jihadisti e il fatto che i ribelli scendano a patti con Damasco. Opzione non facile nemmeno per Erdogan.
Il presidente turco però una mina vagante. E ha sempre dalla sua parte l’accordo con gli Stati Uniti per Manbij e l’appartenenza alla Nato. Se la Russia non cede sul fronte di Idlib, Erdogan, potrebbe nuovamente tradire Putin spostandosi verso le strategia del Pentagono. Ed è questo il vero rischio: che si rompa l’accordo di Astana.
Il Cremlino, dal canto suo, sa che la presa turca su Idlib si è ridotta. I gruppi islamisti presenti nella regione sono ormai dediti al fanatismo e molti non prendono ordini da nessuno e certamente non da Ankara. E a Erdogan, tradire Putin non conviene, anche per gli enormi interessi economici fra Russa e Turchia.
Ma restano le truppe turche, restano i profughi e restano i curdi, che ultimamente sperano di unirsi all’offensiva su Idlib come vendetta sul governo turco. E il Sultano sa che se Assad vuole vincere la guerra, deve anche scendere a compromessi con lui. Questo fatto dal Cremlino è preso in seria considerazione. Non a caso, Alexander Lavrentyevha detto che operazioni su larga scala nella provincia di Idlib sono da escludere. Ancora una volta sarà la Russia a dover fare da mediatore.