La Cina ha mentito sul coronavirus? Un punto interrogativo sollevato da più parti legato non solo ai ritardi nell’aver resa nota la diffusione del virus, ma anche e soprattutto sul reale impatto numerico che ha avuto il coronavirus in tutto il Paese. A far dubitare sono i circa 84mila casi confermati dalle autorità sanitarie cinesi, di cui la maggior parte nella città di Wuhan e nella provincia dello Hubei epicentro della pandemia. Numeri che potrebbero essere decisamente al ribasso rispetto alla realtà.

Il database dei contagi

Stando a una raccolta dati dell’Università Nazionale di Scienza e Tecnologia dell’Esercito popolare di liberazione -ottenuta e pubblicata da Foreign Policy e 100Reporter– in realtà i contagi sarebbero stati almeno 640mila e sparsi in circa 230 città. Numero ottenuto sulla base degli aggiornamenti fatti al database “segreto” nel quale sono contenute informazioni relative a tutti i casi, specialmente alle località in cui sono avvenuti. Una mappa ben dettaglia del contagio utile per gli epidemiologi e per gli esperti di sanità pubblica in tutto il mondo, ma che non è stata resa nota da Pechino.

Il numero maggiore di casi, però, potrebbe essere frutto anche di un conteggio diverso da quello ufficiale di Pechino, basato principalmente sui tamponi effettuati alla popolazione. Ma ad avvalorare la tesi che vede sottostimato il numero dei casi c’è il fatto che i dati della provincia dello Hubei sono stati rivisti già a metà febbraio, quando è stato aggiornato in eccesso il reale numero di persone entrate a contatto con il coronavirus. A creare queste discrepanze numeriche sono stati due fattori: il primo di carattere medico-sanitario riguardante l’assenza di test precisi a inizio epidemia, il secondo più squisitamente politico. Non sarebbe, infatti, la prima volta che un regime ridimensioni e manipoli i dati per evitare potenziali ripercussioni. Le accuse alla Cina, ma anche alla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, non sono mancate nelle ultime settimane. Al tempo stesso un altro “limite” è stato anche il timore dei dirigenti sanitari e politici di Wuhan “di essere rimossi” dalla loro posizione qualora avessero resi noti i reali tassi di infezione e di mortalità del coronavirus.

Le conseguenze dei ritardi

Le agenzie di intelligence di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno considerato come volontario l’atteggiamento disinformativo di Pechino, specialmente per quel che riguarda al “tenere nascosta” l’epidemia al mondo il più possibile. Ritardi che hanno ridotto drasticamente i tempi di reazione di tutti i Paesi, i quali si sono trovati a fronteggiare un virus in parte sottovalutato anche in virtù delle informazioni comunicate dalle autorità cinesi e dall’Oms. La serie di ritardi nel comunicare il reale impatto della diffusione del Coronavirus e l’aver sottostimato il numero di contagiati ha provocato l’esplosione della pandemia e l’impossibilità ai medici di creare modelli predittivi funzionanti. Ma la possibilità di accedere a questo database “trafugato” potrebbe cambiare tutto. Questo darebbe modo agli epidemiologi di valutare come si è propagato il virus prima in Cina e poi nel resto del mondo, dando così modo di elaborare modelli efficienti sull’epidemia. Una necessità cruciale in ottica futura.

Sia il governo cinese sia l’Oms hanno negato l’esistenza di questo database, ma i dubbi restano e presto le informazioni raccolte dall’Università Nazionale di Scienza e Tecnologia dell’Esercito cinese potrebbero essere rese disponibili pubblicamente online, rendendole fruibili a tutti i ricercatori e gli scienziati. Se dovesse esserne confermata l’esistenza sarebbe un duro colpo per il governo di Xi Jinping che ha costruito una precisa narrazione mediatica, imperniandola attorno alle capacità della Cina di proteggere la propria popolazione da una pandemia, riuscendo -nel frattempo- anche ad aiutare i Paesi a fronteggiare l’emergenza.

Non solo però, perché se dovesse essere confermato che i casi reali in Cina sono stati ben superiori a quelli comunicati verrebbe avvalorata la tesi delle agenzie di intelligence statunitensi, che hanno informato la Casa Bianca di ritenere che Pechino abbia ridotto volutamente i numeri, ostacolando gli sforzi della comunità internazionale di contenere la diffusione del coronavirus approfittando della situazione per accumulare materiale sanitario per l’emergenza. Un nuovo, potenziale, terreno di scontro tra la Cina e gli Stati Uniti, pronti a sostenere la necessità che Pechino faccia chiarezza sulla diffusione del coronavirus.