Al confine tra Venezuela e Colombia, vicino la città di Cucuta, una stretta striscia di asfalto lunga 315 metri separa chi ha ancora qualche speranza da chi ormai non ne ha più. Il Puente Internacional Simon Bolivar collega i due Paesi e rappresenta la principale via di fuga per i venezuelani che scappano, per fame o per paura.

Dei circa 800mila venezuelani presenti in territorio colombiano, oltre la metà è passato per questa via. Molti arrivano senza più niente. Altri hanno qualche risparmio – magari ottenuto vendendo la macchina o la casa – e lo vedono durare solo pochi giorni per via del cambio sfavorevole. L’inflazione ha infatti polverizzato il valore del Bolivar (un tempo la moneta più forte della regione), che ormai non vale più nemmeno la carta su cui è stampato. E non tanto per dire: nello spiazzale antistante il ponte alcune ragazze fabbricano delle borsette con le banconote.

“Guadagno di più vendendo la borsa per qualche pesos piuttosto che tenermi questa moneta”, ci dicono. Un flusso immane di persone – solo una parte degli oltre 2 milioni fuggiti negli ultimi anni – che ogni giorno volge i suoi passi verso sud. C’è chi scappa con la speranza di arrivare a Medellin o a Bogotà, oppure ancora più lontano, in Perù o in Cile.

Alexander, nella piazza di Cucuta, ci racconta che tra pochi giorni partirà a piedi per raggiungere il Perù. Si tratta di oltre 2.500 chilometri di cammino. C’è poi chi invece fa avanti e indietro: arriva in Colombia la mattina e ritorna in Venezuela la sera, dopo aver cercato di guadagnare qualcosa, oppure dopo aver comprato beni di prima necessità che in Venezuela non si trovano più.

È il caso di Yanet, che incontriamo nella Casa de Paso degli Scalabriniani a Cucuta. Mamma di un bambino di 4 anni che ha avuto un incidente con una moto, è dovuta venire fino in Colombia perché dall’altra parte del confine gli antibiotici non ci sono più e il piccolo rischia di perdere il piede a causa della sopravvenuta infezione. Ha comprato le medicine e ora aspetta un passaggio che la riconduca fino al ponte Simon Bolivar. E poi a casa dal figlio.

Tutti quelli che attraversano il confine passando sul ponte Simon Bolivar, qualunque siano le loro intenzioni, devono passare per la città di Cucuta, primo centro abitato che s’incontra sulla strada. La città conta circa 500mila residenti, però la sua popolazione è praticamente raddoppiata sotto la pressione migratoria. Sebbene la maggior parte di chi arriva da nord sia solo di passaggio, la situazione sociale ed economica resta molto difficile. Anche perché tra i nuovi arrivati ci sono molti colombiani, che erano emigrati in Venezuela quando era li che c’era lavoro e che ora sono costretti a tornare indietro dopo aver perso tutto.

Le istituzioni colombiane fanno quello che possono, ma le risorse sono chiaramente insufficienti. Anche l’Acnur e la Croce Rossa, tra i pochi organismi internazionali presenti sul posto, hanno denunciato la cronica mancanza di risorse. Padre Francesco Bortignon, prete italiano a capo della Casa de Paso degli Scalabriniani, è tra quelli che più si sta spendendo per i venezuelani che arrivano. Ne accoglie molti tra le mura della Casa de Paso, ma non abbastanza. Sebbene sia motivato e combattivo, non nasconde che “la situazione è grave e non migliorerà nel vicino futuro”. Finora, gli appelli alla comunità internazionale sono rimasti per lo più inascoltati. La Colombia ha affrontato l’ondata migratoria quasi da sola. Se, come sembra, le cose sono destinate a cambiare in Venezuela nel giro di qualche mese, questo però non vuol dire che il flusso migratorio si interromperà. Ci vorranno anni per una ripresa effettiva dell’economia venezuelana e, nel frattempo, la gente continuerà a scappare. Non resta che augurarsi che la questione migratoria, quando si parlerà del futuro del Venezuela, diventi una priorità dell’agenda politica internazionale.

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