Un altro mattone dei famosi Red Wall della sinistra inglese è caduto. Dopo 59 anni di dominio indiscusso, le elezioni suppletive del 6 Maggio hanno consegnato il seggio rosso di Hartlepool ai Conservatori. “Una sconfitta sconvolgente” per il laburista Steve Reed, ministro ombra per i governi locali. La prima sconfitta per il nuovo leader Sir Keir Starmer. In realtà, pochi dovrebbero dirsi veramente sorpresi da questo risultato. Diversi sono i fattori che, se osservati con attenzione, già da tempo stavano fornendo tutte le indicazioni utili per presagire un esito simile.

Cosa è successo in UK

Nel super giovedì elettorale britannico, 48 milioni di elettori sono stati chiamati alle urne per il rinnovo di 145 governi locali, dei parlamentari scozzesi dell’Holyrood e quelli gallesi del Senedd, alcuni sindaci tra cui quello di Londra e altre cariche nei territori; ma gli occhi della politica inglese erano tutti puntati sulle elezioni suppletive di Hartlepool. Questo seggio, dal 1964, è stato ininterrottamente nelle mani dei laburisti, ma come tante altre ex roccaforti della sinistra, oggi va ad unirsi al lungo elenco di quelli che hanno cambiato colore.

In questa località di 100 mila abitanti sulla costa Nord inglese, il deputato eletto nel 2019, il laburista Mike Hill, è stato costretto alle dimissioni perché travolto da uno scandalo sessuale per il quale si è sempre professato innocente. Un anno e mezzo fa, a giocare un ruolo chiave per la vittoria di Hill fu la presenza ingombrante del Brexit Party che, con 10.600 voti, drenò consensi ai Conservatori spaccando la destra. Oggi, Reform EU, erede del partito che fu di Nigel Farage, ha preso 568 voti. Un capitolo chiuso e un regalo ai Tories che hanno portato a casa il risultato con uno scarto di 6900 consensi. La fine del Brexit Party però, non significa la fine di un sentimento, nello specifico quello anti europeo tanto forte ad Hartlepool da portare al referendum sulla Brexit del 2016 il 70% dei sì. Un segnale molto chiaro per il leader laburista Keir Starmer, che evidentemente lo ha sottovalutato candidando un uomo che aveva fatto campagna per il no.

I candidati e il primo errore dei laburisti 

Jill Mortimer, titolare di un’azienda agricola del North Yorkshire è la prima donna e la prima Tories ad essere eletta ad Hartlepool. Nonostante sia stata tenuta lontana dai microfoni dopo aver regalato alla stampa qualche gaffe, per mancata conoscenza dei temi specifici di un territorio che non è il suo, forte dei suoi 15.529 voti (contro gli 8.589 dei laburisti) ha salutato la vittoria accanto ad un dirigibile gigante dalle fattezze di Boris Johnson e insieme all’originale, che l’ha raggiunta per celebrare il successo ottenuto.

elezioni regno unito Hartlepool
BoJo festeggia la vittoria nel seggio di Hartlepool

Il suo avversario invece si è negato alle telecamere per affidare i suoi brevi ringraziamenti a Twitter tagliando corto: “Ho il lavoro più importante da fare, adesso – ha cinguettato – devo portare i miei figli a scuola”. Capitolo chiuso. Ma del resto di lui a pochi importa perché i riflettori sono tutti puntati su chi si deve assumere la responsabilità della debacle. Come appare evidente, il primo errore commesso da Sir Keir Starmer è stato scegliere il candidato sbagliato. Paul Williams, volto noto alla politica, è un medico, uomo in prima linea nella battaglia in corsia contro il Covid ma, prima di oggi, in quella per restare in Europa e contrastare la Brexit. Difficile pensare che questa posizione potesse passare sotto traccia tra quel 70% di elettori che ancora oggi ringraziano Boris Johnson per avergliela consegnata, la Brexit. Da qui l’accusa dei delusi che oggi hanno cambiato bandiera e che rinfacciano alla sinistra di aver dato il loro voto per scontato e di non saper più  ascoltare il suo popolo.

BoJo imbattibile in campagna elettorale

Errori per Starmer, anche durante la campagna elettorale, anche se in questo si sa, BoJo è un campione. Il biondo di Eton, con il suo il suo stile fuori dagli schemi e il suo linguaggio forte e diretto, nell’ultimo Tweet prima del voto ha esortato tutti con un: “Gente, andate a votare!”. Dall’altra parte Starmer, sempre serio e corrucciato, ha pubblicato una lettera formale. Qualche giorno prima, nell’ultima intervista al programma BBC Breakfast,  il laburista aveva passato il tempo a giustificarsi per ciò che non era riuscito a fare in campagna elettorale; come a mettere le mani avanti in attesa della sconfitta.

Così aveva ricordato le tante difficoltà presentate dalla pandemia che impedisce di poter stringere mani, baciare bambini e arringare le folle,  tutto mentre quell’altro sfrecciava in bici sbucando da ogni dove da Nord a Sud salutando tutti col suo entusiasmo: “Vinciamo”, mentre già coniava il suo nuovo slogan: “… go from jabs, jabs, jabs to jobs, jobs, jobs”, cioè passiamo dalle iniezioni (del vaccino) al lavoro, dal Covid alle politiche per il lavoro.

E ancora, Starmer, da uomo serio quale è, si era detto consapevole di avere davanti una montagna e per questo era pronto ad assumersi la responsabilità del risultato. Praticamente un avviso di imminente sconfitta. Insomma, se la vittoria è l’atto più convincente di un leader al di là di ogni persuasivo carisma, Starmer fin qui è sembrato il primo a non crederci e  la sconfitta era l’unico risultato prevedibile.

Il secondo errore di Starmer

Se, come ha ricordato la professoressa Sara Hobolt della London School of Economics and Political Science, in tempi normali le elezioni locali non sono da leggersi come una risposta diretta all’azione del governo nazionale, bisogna considerare che oggi stiamo attraversando tempi senza dubbio eccezionali. La pandemia ha fatto sì che le persone si siano tendenzialmente strette intorno al governo per fare fronte comune davanti all’emergenza (il cosiddetto effetto bandiera, Flag Effect). Da parte sua, Johnson ha gestito bene la situazione, soprattutto la campagna vaccinale, riuscendo in questo modo a prolungare l’effetto luna di miele iniziato un anno e mezzo fa con la sua elezione.

A ciò va aggiunto che la progressiva fine del Lockdown e le conseguenti riaperture hanno galvanizzato il sentimento popolare aumentando la forza dell’esecutivo. Cosa ha fatto l’opposizione in tutto questo? Ha sostenuto il governo “nell’interesse del Paese” tenendo sopito ogni spirito critico. Oggi Starmer paga il prezzo di questa scelta che certo non ha giovato alla sua immagine e che gli ha impedito di darsi una identità politica forte e di contrasto. Un’occasione mancata per il leader laburista è stata anche l’incapacità di capitalizzare ed enfatizzare l’effetto degli scandali che hanno colpito Boris Johnson negli ultimi tempi. Con l’avversario sotto i colpi del fuoco di fila di Dominic Cummings, l’ex consigliere forte di Downing Street, Starmer è stato praticamente a guardare.

Il Wallpaper-gate, le rivelazioni legate al finanziamento delle spese di BoJo per la costosa ristrutturazione del suo appartamento al numero 11 di Downing Street, potevano essere deflagranti, ma l’effetto generato oltre a non aver stimolato l’aggressività dell’opposizione, non ha nemmeno intaccato la popolarità del governo.  Tanto per dare un esempio circoscritto, le intenzioni di voto ad Hartlepool registrate da Survation per ITV, il 29 Aprile, davano i Conservatori al 46% davanti ai Laburisti fermi al 31%. Boris Johnson in vantaggio con un gradimento personale pari al 51% contro il 22% di Keir Starmer.

Evidentemente per gli inglesi, sospettare che qualcuno possa aver pagato 58.000 Sterline per la nuova carta da parati (wall paper) e il nuovo eccentrico arredamento degli appartamenti di BoJo – in cambio di qualcosa? –  è meno significativo rispetto all’averli vaccinati tutti rapidamente, averli sostenuti economicamente durante il Lockdown (furlough scheme) e adesso aver ridato loro la libertà, soprattutto di andare al pub.

elezioni regno unito Boris Johnson
Johnson durante un giro in bici elettorale

Il terzo errore: lo storytelling

Anche le scelte comunicative del leader laburista hanno mostrato molti limiti. La sinistra, ancora ferma su vecchi schemi e su un linguaggio obsoleto, fa notare Daniel Finkelstein, sul Times, ha cercato di colpire parlando di immoralità e disonestà ricorrendo ad un vecchio termine inglese che lega questi principi alla politica: “sleaze”. Il guaio è che, oltre ad essere un termine che nessuno userebbe nel linguaggio quotidiano comune, sottolinea Finkelstein, questa accusa viene normalmente appiccicata addosso a tutti i politici. Per le persone comuni disincantate, deluse o peggio arrabbiate, tutti i politici sono corruttibili se non già disonesti e corrotti.

Dunque, quello che è mancato a Starmer, oltre alla forza di un attacco incisivo, è stato lo stacco, il rimarcare la sua diversità e quella di un partito oggi unito sotto la sua guida. Sarebbe stata una svolta, dopo gli anni difficili sotto la guida di Jeremy Corbyn, ma non è ancora arrivata. Sicuramente il nuovo leader laburista è considerato serio (anche troppo) e intelligente, l’uomo tutto d’un pezzo a rappresentare l’esatto opposto di Boris Johnson. Eppure, secondo i suoi critici, oltre a non aver valorizzato il fattore personale, competenza e affidabilità, non ha saputo nemmeno imparare dalla lezione del passato.

A bacchettarlo, l’ex deputato laburista di Hartlepool, Lord Mandelson che, ai microfoni di BBC Radio4, ha ricordato Tony Blair e il New Labour che, con il successore Gordon Brown, ha rappresentato l’ultima parentesi della sinistra al governo del Paese per tre mandati consecutivi. “Sono 11 anni che non andiamo al governo e chissà quando ci torneremo”, ha chiosato polemico. In effetti, come ha ricordato il Times, all’epoca, l’aver puntato tutto su un messaggio fresco e di cambiamento e affibbiando ai Tory un’immagine stanca e consumata fu una scelta di comunicazione vincente.

La seconda dimensione dei partiti britannici

I tracolli dei Laburisti e le vittorie dei Conservatori sono chiari indicatori di qualcosa di più profondo che va al di là delle scelte e delle politiche di Keir Starmer e dei suoi predecessori, a sostenerlo è la professoressa Sara Hobolt della LSE. Ad una prima analisi, si tende ad attribuire questi risultati alle divisioni generate dai grandi temi. È questo il caso della Brexit che dal 2016 ha spaccato in tanti pezzi i Labour e in due tutto il Paese. Poi ci sono le divisioni che si generano all’interno degli stessi partiti quando devono cambiare profilo, come le pulsioni che hanno cercato di spingere a sinistra i laburisti caratterizzando i conflitti vivi dall’era Corbyn.

In realtà questi, come ci spiega la professoressa Hobolt, sarebbero solo i sintomi rivelatori di un grande cambiamento in atto che riguarda l’identità culturale più profonda dell’elettorato e che svelano l’esistenza di una cosiddetta seconda dimensione nella politica inglese degli anni più recenti. Il risultato di questa mutazione è che i Conservatori sono diventati sempre di più il partito degli anziani, della classe operaia e culturalmente più bassa, mentre i laburisti si sono arroccati nelle città, tra i giovani delle aree urbane e con la scolarizzazione più alta.

Evidentemente, però, i laburisti non hanno preso abbastanza nuovi elettori per poter sopperire a quelli scappati con gli avversari e per disegnarsi addosso un nuovo profilo convincente. Azione, questa, perfettamente riuscita invece ai Conservatori che, come fa notare il professor Tony Travers (LSE), grazie alla loro  storica fluidità ed elasticità, hanno sempre saputo adeguarsi seguendo ed intercettando perfettamente il cambiamento e trasformandolo in consensi. Per concludere il ragionamento, secondo la professoressa Hobolt la seconda dimensione  dimostrerebbe che le vittorie consecutive e schiaccianti dei Conservatori, non sarebbero casuali, ma rappresenterebbero l’inizio della ridefinizione della politica inglese dove i Laburisti giocano ancora senza toccare palla, in piena crisi di identità.

Johnson batte Starmer, nonostante tutto

Queste elezioni sono state indubbiamente un banco di prova fallimentare per il nuovo leader dei laburisti Keir Starmer, che così perde il primo test in vista del mid-term (metà mandato) bruciandosi il vantaggio dell’effetto novità. La popolarità di Boris Johnson non è stata messa in discussione, la campagna vaccinale del governo ha superato l’effetto corrosivo degli scandali e l’effetto Brexit ancora non si respira. Johnson, a livello politico, continua a vincere con la promessa del “levelling-up” che significa dare alle periferie del Paese le possibilità che finora hanno avvantaggiato solo Londra.

Parlando alle zone remote BoJo promette che se le grandi industrie hanno spento la produzione esiste un’alternativa. Questa è ancora la sua forza e, grazie alla pandemia, la trasformazione delle promesse in fatti è rimandata sine die. Starmer, è chiaro, ha ancora molto su cui lavorare, dall’atteso rimpasto del suo Governo Ombra al più forte e necessario cambio di passo nelle sue strategie. Poi, ogni tanto, un sorriso in più non guasterebbe.

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