La Romania ha un potenziale tremendamente inespresso in termini di energia che, se adeguatamente sfruttato, potrebbe rivoluzionare la geografia politica e la divisione del potere nei Balcani e nell’Europa orientale.
L’instabilità politica di natura semi-cronica che affligge il Paese ha senz’altro contribuito a rallentare la corsa egemonica della “Tigre dell’Est” per antonomasia – negli ultimi cinque anni si sono succeduti sei governi – ma ragioni di natura esogena, ovvero la riscrittura dell’anatomia dell’Alleanza Atlantica e l’interesse degli Stati Uniti ad avere un satellite a cui delegare la gestione dei Balcani orientali, potrebbero spingere la dirigenza di Bucarest a sviluppare quel potenziale energetico inespresso in chiave antirussa.
L’agenda di Petrom
Petrom, primo produttore di petrolio e gas nell’Europa sud-orientale e parte del gruppo petrolifero austriaco OMV (Österreichische Mineralölverwaltung), ha dei grandi piani per il futuro della Romania. Franck Neel, membro del consiglio di amministrazione di Petrom, il 25 novembre ha partecipato ad una conferenza sullo sviluppo del mercato energetico nei Balcani e ha svelato che “la Romania, con il gas del Mar Nero, diventerà il più importante produttore dell’Unione europea e avrà un ruolo importante nel garantire la sicurezza dell’approvvigionamento nella regione”.
Il motivo per cui il destino di Bucarest è di egemonizzare energeticamente la penisola balcanica, e potenzialmente l’intera Ue, è dato dalla ricchezza dei giacimenti di gas naturale localizzati nelle acque del mar Nero ricadenti sotto la sovranità rumena. Inoltre, la Romania gode di una posizione geostrategicamente privilegiata nel Vecchio Continente: è il cuore pulsante dei Balcani orientali, attraverso il porto di Costanza ha la capacità di raggiungere il Caucaso meridionale, la contiguità geografica con l’Ungheria è una porta d’accesso per l’area Visegrad e la vicinanza a Moldavia e Ucraina permette la creazione di un mercato unificato.
Il gas rumeno, in breve, se adeguatamente utilizzato e poggiante su una solida rete di trasporto transnazionale, potrebbe essere reindirizzato facilmente e celermente nell’intera penisola balcanica, e anche oltre, trasformando Bucarest nella centrale elettrica de facto dello spazio postcomunista e postsovietico dell’Europa orientale. In questo contesto si inquadra, ad esempio, la costruzione della rete Iași-Ungheni-Chișinău, un gasdotto di 120 chilometri progettato con l’obiettivo specifico di emancipare la Moldavia dalla dipendenza da importazioni di beni energetici russi e collegarla al mercato rumeno.
Petrom sta lavorando intensamente affinché la Romania diventi una potenza energetica e la conferenza del 25 novembre è stata l’occasione per fare il punto della situazione: la liberalizzazione del mercato rumeno del gas naturale e la riforma della sua burocrazia sono state avviate, i collegamenti a livello di rete con Bulgaria, Moldavia e Ucraina sono stati migliorati, il potenziale per un’espansione drammatica della produzione locale esiste, e la compagnia sta allestendo dei piani d’azione per il prossimo futuro ai fini del consolidamento del settore energetico nazionale nel suo complesso, dall’elettricità alla petrolchimica e all’idrogeno.
La situazione attuale
La Romania è il secondo produttore di gas naturale dell’Ue, dietro i Paesi Bassi, ma continua a rivestire un ruolo secondario nell’intera catena di rifornimento continentale, soprattutto nell’Europa orientale – il cui mercato continua ad essere dominato da Gazprom – per una serie di circostanze, tra le quali il sottosviluppo della rete infrastrutturale, il basso livello di investimenti esteri e l’assenza di una strategia politica per il lungo termine.
Petrom è consapevole che nelle acque del mar Nero sia custodito un vero e proprio tesoro che potrebbe aiutare la Romania a rivoluzionare profondamente gli affari regionali e continentali, come dimostrano le recenti scoperte della Turchia all’interno del proprio perimetro, e sta portando avanti un’intensa campagna lobbistica a livello istituzionale per ottenere, tra le altre cose, lo snellimento della burocrazia asfissiante di eredità comunista e la revisione di una legislazione altrettanto avversa all’attrazione di investimenti esteri. Quest’ultima, infatti, è alla base del basso livello di interesse da parte delle compagnie occidentali ad investire nel promettente settore energetico rumeno e della possibile fuga della ExxonMobil, gigante petrolifero statunitense, dallo sviluppo del giacimento di Neptun.
Il giacimento di Neptun è stato scoperto nel mar Nero nel 2012 e si stima che possa contenere fino a 84 miliardi di metri cubici di gas, l’equivalente di un decimo del valore delle riserve totali censite, che ammontano a 726 miliardi di metri cubici. Sviluppare il giacimento è fondamentale nel quadro della strategia di egemonia energetica, alla luce delle sue dimensioni, e tale compito avrebbe dovuto essere svolto congiuntamente da ExxonMobil e Petrom.
Il piano iniziale prevedeva di avviare l’estrazione nel 2021 ad un tasso annuale di 6 miliardi di metri cubici, ma nel 2018 è entrata in vigore una legge sulla gestione dei siti offshore che ha avuto l’effetto contrario a quello preventivato, peggiorando il clima degli investimenti in luogo di migliorarlo. La ExxonMobil, di conseguenza, ha ritardato l’inizio dei lavori, evento che ha indotto la Petrom a giocare un ruolo più attivo nel panorama nazionale e a valutare l’ipotesi di sviluppare in solitaria l’intero giacimento.
Gas naturale a parte, la Romania del prossimo futuro sarà anche una piccola potenza nel settore nucleare (ad uso civile) – poiché gli Stati Uniti si occuperanno di ultimare il completamento della centrale di Cernavoda, funzionale al raggiungimento di uno stato di autosufficienza nella produzione di elettricità – e potrà esportare i propri prodotti energetici nell’intero spazio postcomunista con maggiore celerità grazie ai collegamenti infrastrutturali transnazionali che verranno creati nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari.