Interpretare le intenzioni di voto dei curdi di Turchia non è cosa semplice. Sia perché sfugge alla visione manichea del pro e contro Recep Erdogan, sia perché la stessa geografia del voto risente di dinamiche territoriali, demografiche, economiche che rendono il Kurdistan turco una massa multiforme. Soprattutto perché voto curdo non è meramente Hdp o supporto a Kemal Kilicdaroglu: certamente va però ricordato che nelle elezioni municipali del 2019 l’Hdp, seppur dietro le quinte, sostenne l’asse Chp-Iyip che strappò Ankara e Istanbul all’Akp. Questa volta il sostegno all’opposizione è stato tutto tranne che sottotraccia, attraverso l’endorsement all’avversario di Erdogan.

La complessa geografia umana del voto curdo

Il partito, tra l’altro, rischia lo smantellamento per via di una causa che si trascina dal 2021, che imputa al Partito Democratico del Popolo la connivenza con il Pkk. Per questa ragione ha preventivamente inserito i suoi candidati sotto l’ombrello del Partito della sinistra verde. Per le strade i giovani curdi sembrano puntare decisamente su Kilicdaroglu, sebbene il loro voto non deve essere dato per scontato: molti infatti sostengono che il vero leader del loro cuore sia Selahattin Demirtas, non candidato perché perseguitato giudiziariamente dal 2016. Quest’ultimo, dai propri social, ha incitato i suoi sostenitori ad appoggiare il principale avversario di Erdogan, e i suoi seguaci sembrano disposti a seguire le sue istruzioni punto per punto.

Esiste, tuttavia, un mondo curdo che ha sempre sostenuto e continua a sostenere Erdogan: tendenzialmente over 60, questa fetta di elettorato curdo crede che solo quest’ultimo possa districare la matassa legata alla crisi economica e alle esigenze di sicurezza del Paese. Sebbene, infatti, i recenti rapporti tra curdi e Ankara siano incancreniti, nell’enclave curda Erdogan è storicamente riuscito a preservare il proprio voto superando il 40% sia nel 2014 che nel 2018.

Del resto, ampie frange del mondo curdo, soprattutto di estrazione conservatrice, plaudono ai valori tradizionali propagandati dal sultano, ma soprattutto vivono ancora nel solco delle promesse che Erdogan elargì nei primi anni del suo mandato e che la rottura della tregua con il Pkk mandò in malora. Su questa fetta di elettorale vincono facile poi i provvedimenti recenti, come l’aumento del salario minimo, che fa sì che si guardi al welfare d’emergenza di Erdogan come all’unica via d’uscita dalla crisi.

Il voto nel Kurdistan turco

Stando ai risultati, il Kurdistan turco sembra aver parlato molto chiaro colorandosi quasi interamente di rosso. Ad Agri, Kilicdaroglu supera il 65% lasciando Erdogan poco oltre il 32; Mus segna quasi il 57% all’opposizione mentre Erdogan si ferma al 41; uno stacco più deciso in quel di Bingol (con rispettivamente il 65,15% e il 32,47%); una vera disfatta in quel di Tunceli che affida poco più del 16% delle preferenze al sultano e oltre l’80% al suo avversario; uno stacco più ridotto in quel di Bitlis (50, 78 contro il 46, 56 di Erdogan); più di trenta punti di differenza nella storica Mardin, ove Kilicdaroglu guadagna oltre il 65% lasciando il 32, 76 a Erdogan; una vera Caporetto in quel di Hakkari per il presidente (che si ferma al 25% contro il 72% dello sfidante) e di Sirnak (75,59 % per Kilicdaroglu e 21, 62% per Erdogan) che riflettono la tendenza generale in corso a Dyarbakir, dove lo sfidante si attesta sul 72% e l’incumbent poco oltre il 26%. Chiudono, registrando la stessa tendenza, Siirt (quasi il 56% e 41,23%) e Van ( con quasi il 62% e il 35, 85%).

Unica provincia in controtendenza è Sanliurfa, che incorona Erdogan con il 61,62% e ferma lo sfidante al 36,45: il risultato della città appare ancora più importante, trattandosi di una delle 11 province ad essere state colpite dal terremoto nel febbraio scorso e nella quale il post-sisma avrebbe giocato un ruolo importante nelle elezioni. Nelle stesse province sopramenzionate, ottimi risultati per il Partito della sinistra verde, che pur attestandosi a livello nazionale al 10,51% (con 62 parlamentari) si afferma come formazione più suffragata nel Kurdistan turco, sempre con l’eccezione di Sanliurfa, che vede in netto vantaggio l’Akp.

Cosa può accadere adesso

Dopo una domenica elettorale al cardiopalma è certo che i due candidati andranno al ballottaggio. Altre due settimane di corsa elettorale che schiuderanno nuove dinamiche. Ma il voto curdo resta un nodo centrale nelle predizioni sul futuro prossimo di Ankara. L’elettorato, infatti, ora potrebbe galvanizzarsi di fronte a quel 45% raggiunto da Kilicdaroglu e dare una spallata al sistema Erdogan fra due domeniche. Del resto, costui ha fatto in campagna elettorale delle promesse ben chiare, che passano per la pacificazione con il mondo curdo: innanzitutto, scarcerare Demirtas e altri esponenti dell’Hdp. Un aspetto che potrebbe conferire respiro al caleidoscopio politico curdo. Un passo non semplice per la sua eventuale posizione all’interno della sua complessa alleanza, ove permangono sacche refrattarie al dialogo con l’Hdp.

Ma soprattutto, lo sfidante dovrà cercare di conciliare i suffragi provenienti dal sud-est con le richieste di sicurezza di un Paese che ha respinto il Pkk sempre più fuori dai confini turchi: Pkk con il quale Kilicdaroglu ha già promesso di non dialogare e verso il quale l’atteggiamento non si discosterà troppo da quello di Erdogan. Inoltre, sebbene il Pkk sia inviso a larghe fette di popolazione curda non politicizzate, la popolarità di Erdogan si spiega per via della mediazione con il gruppo di Abdullah Ocalan volta a riportare la pace nel sud-est del Paese, aspetto per il quale numerosi curdi si mostrano riconoscenti verso l’ultimo ventennio; ed è proprio tra questi aficionados che serpeggia il dubbio sulla formazione di Kilicdaroglu: un Leviatano a sei teste, che sarà incapace di governare tantomeno di risolvere il problema curdo.

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