Racconti di torture abusi, storie di orrore quotidiano attuato dall’Isis agli occidentali trattenuti come ostaggi. È questo quello che emerge dai verbali di Federico Mokta, italo svizzero membro dell’Ong francese Acted. Dal marzo 2013 fino al maggio 2014, Mokta vive l’incubo di essere una delle 38 persone occidentali rapite dallo Stato islamico quando ancora le bandiere nere non fanno paura. Il cooperante, in particolare, viene rapito in Siria e per la precisione nella cittadina di Atmeh. Da allora inizia un calvario fatto di torture giornaliere, finito soltanto dopo tredici mesi con la sua liberazione sempre in Siria. 

I verbali di Mokta importanti per ricostruire le dinamiche dell’Isis

Mokta finisce in una cellula dell’Isis non certo secondaria. Tra i suoi carcerieri vi è infatti, tra gli altri, Mehdi Nemmouche. Si tratta di colui che, con il nome di battaglia di Abu Omar, compie l’attentato presso il museo ebraico di Bruxelles nel giugno del 2014. Triste ed inquietante preludio della stagione del terrore inaugurata dall’Isis in Europa e, in special modo, tra Belgio e Francia. E non a caso Nemmouche proprio in quei mesi, secondo gli investigatori francesi, è in diretto contatto con Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attacchi di Parigi del novembre 2015. In poche parole, Federico Mokta è rapito dal gruppo dello Stato Islamico che proprio durante la sua forzata detenzione tra le macabre carceri delle bandiere nere organizza l’ondata di attentati nel vecchio continente. Ecco perché le deposizioni del cooperante italo svizzero appaiono importanti. Gli stessi investigatori italiani stanno raccogliendo materiale prezioso per capire dinamiche ed organizzazione della cellula responsabile degli attacchi tra il 2014 ed il 2016. Un modo per prevenire attentati nel nostro paese ed aiutare le forze soprattutto francesi a far luce su una delle pagine più nere sul fronte della sicurezza nel paese transalpino. 

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Mokta racconta che inizialmente i carcerieri sono inglesi o, almeno, parlano fluentemente l’inglese. Vengono proprio per questo motivo soprannominati con i nomi dei Beatles. Sono quattro ed il capo di questa cellula anglofona dell’Isis operante in Siria e giunta probabilmente dalla Turchia nell’estate 2012 si fa chiamare “George”. Il suo nome vero è però Mohammed Emwazi. Non proviene da alcun quartiere degradato e né da storie di emarginazione. Al contrario, George è nato da una famiglia molto ricca del Kuwait ed a Londra giunge qualche anno prima per studiare informatica. Poi all’improvviso la conversione alla causa jihadista, l’adesione all’Isis ed il comando del gruppetto che rapisce Mokta. In Siria il kuwaitiano è protagonista di decine di decapitazioni, sia di occidentali che di siriani. 

Degli altri tre della banda, due sono londinesi di origine magrebina: Davis Aine Lesley, soprannominato “John”, Alexanda Amon Kotey, soprannominato “Ringo”. Infine vi è il sudanese El Shafee Elsheikh, soprannominato “Paul”, anche lui giunto a Londra per studio. I quattro appaiono spietati. Mokta racconta di pestaggi fino a svenire, di mazzate date sulle piante dei piedi, anche di waterboarding ed uso costante del teaser. A volte vengono simulate esecuzioni e vengono mostrati video di altri ostaggi decapitati. Nell’estate 2013 Mokta viene posto sotto custodia da un gruppo francofono. Ed è qui che entra in contatto con la cellula che organizza gli attentati tra Belgio e Francia. Non solo il sopra citato Mehdi Nemmouche, tra i carcerieri vi è anche Najim Laachraoui, ossia il belga che si fa esplodere nel 2016 nell’aeroporto di Bruxelles. Mokta, assieme ad altri occidentali rapiti, viene portato prima al centro psichiatrico di Aleppo, occupato dai terroristi, infine viene trasferito nella provincia di Raqqa. 

Qui è riscontrata la presenza di Salim Benghalem, legato agli attacchi contro il giornale Charlie Hebdo del gennaio 2015, così come di Alilou Soufiane, altro elemento indagato per le stragi parigine. Mokta non li conosce, ma la descrizione che ne fa agli inquirenti coincide con i volti dei soggetti in questione. Nel suo interrogatorio, l’italo svizzero fornisce altri particolari agghiaccianti: uno dei carcerieri francofoni pesta gli ostaggi ridendo e cantando sigle di cartoni animati, mentre in generale le vittime vivono in stanze anguste e con poca aria. 

La facilità di spostamento tra Siria ed Europa dei terroristi

Oltre ai macabri racconti sulle condizioni disumane in cui versano gli ostaggi, dai verbali di Mokta emerge un fatto non secondario. Molti degli aguzzini dell’Isis riescono a viaggiare indisturbati tra la Siria ed il vecchio continente. Alilou Soufiane ad esempio, spesso sparisce dai luoghi in cui Mokta è incarcerato. La ricostruzione degli inquirenti è che, nel solo 2014, il terrorista riesce per ben quattro volte a fare la spola tra la Siria e l’Europa. Nessun sospetto, nessun arresto, nessuna segnalazione. Si viaggia tra medio oriente e vecchio continente in modo normale, quasi ignorando il fatto che i soggetti in questione muovono avanti ed indietro da un paese in guerra e sotto scacco in quel momento dei terroristi. 

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Sul gruppo di carcerieri francofoni, soltanto dopo gli attacchi posti in essere tra Francia e Belgio gli inquirenti ed i servizi occidentali iniziano a mettere le mani. Gli attentati vengono dunque pianificati nella Siria occupata dall’Isis tra il 2013 ed il 2014, le cellule si occupano di rapire ostaggi occidentali e chiedere il riscatto. Lo stesso Mokta racconta di come gli ostaggi dell’Europa continentale vengono lasciati vivi per poter domandare cifre ai governi, quelli inglesi ed americani invece vengono incarcerati come monito per Londra e Washington. “Un ostaggio russo – afferma Mokta – viene invece considerato inutile e viene ucciso”. Nel maggio 2014 l’italo svizzero viene liberato, pochi mesi dopo i suoi aguzzini pongono in essere gli attacchi che sconvolgono l’Europa.

Attualmente dei suoi carcerieri risultano liberi Benghalem e Laachraoui, colui che si faceva chiamare George è invece deceduto a seguito di un attacco di un drone americano. Gli altri sono in galera, chi in Europa, chi in Turchia e chi in Siria. 

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