Il petrolio oramai sta raggiungendo i livelli ante guerra: quando ancora a Tripoli sventolava la bandiera verde della Jamahiriya, in media, si producevano 1.6 milioni di barili al giorno. Poi ovviamente l’instabilità e la guerra hanno iniziato a far scemare l’estrazione dell’oro nero. Tra giacimenti insicuri e società che hanno iniziato una repentina evacuazione dei propri dipendenti, dalla Libia è iniziato ad arrivare sempre meno petrolio. Adesso, con 1.3 milioni di barili al giorno, ci si avvicina ai livelli pre 2011 e non è un caso, come sottolineato su Libero da Carlo Nicolato, che le più importanti potenze inizino a premere per una ricomposizione del frastagliato mosaico del paese. 

Le qualità del petrolio libico 

Del resto sotto la sabbia del Sahara, ma anche sotto una parte dello specchio d’acqua dirimpettaio alle coste libiche, si nasconde una qualità di oro nero che fa gola soprattutto nel vecchio continente. Il petrolio della Libia è poco denso e con poco zolfo. Dunque è più facile da lavorare e questo implica costi di raffinazione notevolmente minori. Ma non solo: la Libia è a meno di 300 km dal primo lembo di terra d’Europa, il trasporto del greggio soprattutto nel vecchio continente è molto più semplice. Per fare un esempio, le navi petroliere dall’Arabia Saudita impiegano in media quasi 25 giorni per raggiungere i porti del nord Europa. Dalla Libia si risparmia più della metà del tempo. Tornare dunque a pompare petrolio nel paese nordafricano è un guadagno per tutti, specie per quei paesi che hanno al loro interno alcune delle più importanti compagnie petrolifere. 

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Grazie ad una serie di contingenze, come detto i livello di produzione sono tornati a salire e sfiorano quelli antecedenti al conflitto scoppiato nel 2011. Questa, almeno sulla carta, è una buona notizia anche per gli stessi libici. Il 95% degli introiti del bilancio arrivano dalla vendita del petrolio, la propria azienda di Stato che si occupa dell’estrazione dell’oro nero, ossia la Noc, continua ad operare in tutte le parti del paese e risente solo in parte dell’attuale caos istituzionale e politico. Anche per questo si inizia a parlare di unificazione delle due banche centrali e della possibilità di rilanciare le attività economiche. Il giro d’affari indubbiamente è ghiotto: i principali attori libici vedono la possibilità di spartirsi l’enorme torta delle rendite petrolifere, molti paesi stranieri non vedono l’ora di mettere le mani nuovamente sul petrolio libico. 

I paesi interessati all’oro nero della Libia 

L’Italia ha un ruolo di primo piano nell’estrazione del petrolio dal paese nordafricano. L’Eni è in Libia dal 1959, già prima dunque dell’inizio dell’era Gheddafi. Durante il periodo del rais, la nostra azienda ha saputo ulteriormente ramificarsi nel paese: dalla Tripolitania al Fezzan, sono diversi gli stabilimenti dove l’Eni opera assieme alla Noc. L’azienda del cane a sei zampe anche nei periodi di maggiore crisi degli ultimi anni, ha saputo rimanere a galla in Libia aumentando anche gli investimenti. Lo dimostra il fatto che oggi l’Eni estrae circa il 70% del petrolio libico, così come anche l’avvio della produzione nei giacimenti off shore di Bahr Essalam. L’Italia quindi può rivendicare un importante primato sull’estrazione dell’oro nero, uno dei motivi che spinge Roma ad operare per non perdere l’iniziativa politica nella sua ex colonia.

Ma non c’è naturalmente solo l’Italia e l’Eni. In Libia è ben presente la Total, con la compagnia francese interessata soprattutto ad investire in Cirenaica, lì dove ancora molti giacimenti non sono stati esplorati del tutto. Interessata al petrolio libico è ovviamene anche Gazprom, non a caso la Russia sta imprimendo una politica sempre più incisiva sul dossier che riguarda la Libia. Mosca sostiene Haftar ed intrattiene con il generale della Cirenaica importanti rapporti. Il Cremlino è stato in prima linea nel supportare l’Italia nell’organizzazione del vertice di Palermo, mandando in Sicilia anche il primo ministro Medvedev. Inoltre la Russia vorrebbe anche impiantare una nuova base navale sul Mediterraneo proprio nell’est della Libia. Alla “partita” per il petrolio libico partecipa pure la Britsh Petroleum, che con l’Eni nei mesi scorsi ha concluso un importante contratto dove vengono cedute alla nostra azienda il 42.5% delle proprie partecipazioni nei giacimenti in Libia. 

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La Germania, che pure ha mantenuto un profilo apparentemente basso sulla Libia, potrebbe entrare in gioco con la Wintershall. In lizza pure aziende d’oltreoceano, tra società americane e canadesi. Una corsa, quella verso l’oro nero libico, che forse è appena iniziata. Una vera maratona che fa rendere molto ottimista la Noc, il cui presidente Mustafa Senalla ha dichiarato nei mesi scorsi l’intenzione di arrivare a 2.2 milioni di barili estratti al giorno nel paese africano. 

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