La creazione di una rete di partenariati strategici ed alleanze in Africa rappresenta un obiettivo primario per la Turchia. L’agenda, fino ad oggi, ha prodotto grandi risultati: l’influenza saudita è stata contenuta ricorrendo ad una saggia diplomazia a base di potere morbido, ossia centri culturali, moschee e cooperazione allo sviluppo, mentre a vecchi rivali (come l’Italia) sono state sottratte aree di influenza senza colpo ferire.
Uno dei principali strumenti che Ankara ha utilizzato, e sta utilizzando, per ritagliarsi un ruolo da protagonista nella nuova corsa all’Africa è una compagnia di consulenze e servizi militari: Sadat.
La rete di Sadat nel continente nero
La Sadat ha iniziato le proprie operazioni in Africa nel 2013, presentandosi come un ente di consulenza su questioni strategiche e fornitore di importantI servizi, come l’addestramento delle forze armate. La Turchia, attualmente, è legata a più di 35 paesi sahariani e subsahariani da accordi per la cooperazione bilaterale di natura multidimensionale e gli affari militari rientrano fra i settori di collaborazione.
Spesso, negli accordi di cooperazione nel campo della difesa, la Turchia chiede che sia introdotta la possibilità di inviare specialisti privati in loco, per lavorare fianco e fianco con le istituzioni e gli eserciti. La Sadat è, ovviamente, l’ente che beneficia in maniera esclusiva di tali clausole, che le hanno consentito di radicarsi dal Magreb all’Africa nera: Libia, Sudan, Uganda, Costa d’Avorio, Ciad; soltanto per citare alcuni paesi in cui la potente compagnia sta operando.
Le operazioni nel teatro libico sono iniziate nell’immediato post-fondazione: la compagnia è stata ufficialmente registrata il 28 febbraio 2012 e il suo fondatore, l’ex generale Adnan Tanriverdi, ha visitato Tripoli nel maggio 2013 con l’obiettivo “di determinare i bisogni delle nuove forze armate libiche e vagliare la possibilità di [fornire] consulenza e addestramento”. L’ex generale fu accolto dall’allora ambasciatore a Tripoli, Ali Kemal Aydın, e da una squadra di ufficiali libici. La visita, conclusasi con un accordo fra la Sadat e Tripoli per l’addestramento e l’erogazione di servizi di consulenza agli uomini di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, può essere considerata uno degli eventi premonitori di quel che sarebbe accaduto negli ultimi due anni, ossia il coinvolgimento attivo di Ankara negli affari interni del paese con lo scopo di partecipare alla sua spartizione.
La decisione della Sadat di intervenire in Libia si è rivelata una mossa vincente, da ogni punto di vista: l’avanzata di Khalifa Haftar è stata fermata e il destino della partita è stato riscritto, al di là di ogni previsione, e la compagnia ha acquisito una conoscenza pratica, sul campo ed in prima linea, che potrà tornare estremamente utile negli anni a venire, in quanto trasmissibile a tutti quei paesi, africani e non, che si rivolgeranno ad essa per migliorare la qualità delle proprie forze armate.
Sadat: che cos’è?
Sadat, acronimo di Uluslararası Savunma Danışmanlık İnşaat Sanayi ve Ticaret, è un’agenzia privata di consulenza militare che ha sede ad Istanbul ed è stata fondata nel 2012 da Adnan Tanriverdi, un generale allontanato dall’esercito nel 1997 nel corso delle purghe anti-islamiste che sono costate la presidenza del consiglio all’allora primo ministro Necmettin Erbakan, il mentore di Recep Tayyip Erdoğan.
Sin dall’inizio, come palesato dal caso libico, Sadat ha assunto un ruolo di primo piano nella gestione e nella conduzione degli affari militari turchi, rivelandosi braccio e mente di Erdoğan. La stretta vicinanza alla presidenza, o meglio al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), hanno spinto cronisti occidentali e turchi a ribattezzare la Sadat l'”esercito ombra di Erdoğan”, in quanto viene ritenuta una vera e propria istituzione parallela creata appositamente per proteggere il nuovo sistema di potere dai colpi di coda del morente stato profondo kemalista.
Il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016 è stato sventato anche grazie al perentorio intervento di questo esercito parallelo, i cui membri hanno assicurato il controllo di luoghi-chiave, come i ponti, e combattuto contro i golpisti. Non è una coincidenza che Tanriverdi, ad un mese dal golpe, sia stato nominato consigliere capo militare da Erdoğan, ruolo che ha ricoperto sino a gennaio di quest’anno, quando si è dimesso in seguito alle critiche ricevute da una parte del mondo politico per aver dichiarato che la Sadat sta lavorando per accelerare il ritorno del Mahdi, una figura messianica dell’escatologia islamica associata alla fine dei tempi.
La presenza di Sadat è stata segnalata in Siria, in supporto diretto (invio di combattenti) ed indiretto (addestramento) all’esercito siriano libero, in Palestina, dove armerebbe Hamas, ed in Germania, dove aiuterebbe i servizi segreti, Milli Istihbarat Teşkilati (MIT), a condurre operazioni coperte e spionistiche, e sarebbe in contatto con pericolose bande di strada come “Germania ottomana“.
A parte la tutela dell’ordine erdoganiano e l’addestramento delle forze armate straniere alle tattiche d’avanguardia nella guerra diretta ed asimmetrica, Sadat svolge ed offre altre funzioni di rilievo: è un think tank, ossia un incubatore di idee.
Uno dei progetti più ambiziosi proposti e sponsorizzati dall’ente è, senza dubbio, il cosiddetto “esercito dell’islam“. Si tratterebbe di amalgamare le forze armate dei 57 paesi membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) sotto un’unica bandiera, possibilmente turca, per dare vita al più corposo esercito del globo: 5 milioni e 206mila soldati all’attivo. Tale esercito servirebbe un unico scopo: fungere da deterrente contro l’imperialismo occidentale nel mondo islamico ed essere pronto e preparato alla guerra totale qualora necessario.
Sadat ha curato il piano nei minimi dettagli, realizzando anche un’analisi di scenario inerente un conflitto fra l’esercito dell’islam ed Israele. L’analisi prevede un attacco su larghissima scala in stile guerra lampo (blitzkrieg) che, si stima, dovrebbe assicurare una rapida vittoria in una settimana. A quel punto, con Israele completamente sottomesso, il blocco islamico turco-centrico potrebbe trasformarsi in un polo di potere capace di rivaleggiare con l’Occidente e creare un nuovo ordine internazionale.
L’idea del think tank ha colpito Erdoğan, che ha tentato di promuoverla in diversi paesi, anche in sede di OIC, ma con scarsi risultati: soltanto la Malesia ha accolto con favore il progetto, mentre il Pakistan ha mostrato un certo interesse. L’appoggio dei due paesi è bastato a convincere Ankara a focalizzare gli sforzi sulla formazione di un triangolo con Islamabad e Kuala Lumpur per spostare il baricentro della civiltà islamica dal mondo arabo al cuore dell’Asia. La proposta di una “NATO araba” lanciata dall’amministrazione Trump non è, quindi, semplicemente legata al bisogno estemporaneo di aumentare le pressioni su Teheran, ma si inquadra in questo più ampio di contesto di scontro fra Ankara e Riad per l’egemonia sul dār al-Islām.