Il 2022 è stato sicuramente l’anno di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, leader in guerra nel durissimo conflitto ucraino, ma su scala globale diverse altre figure di peso sono emerse: pensiamo per fare un solo esempio al premier italiano Giorgia Meloni, prima donna a guidare un governo a Roma, o all’omologo britannico Rishi Sunak, primo “figlio dell’Impero” a Downing Street. A Isabel Diaz Ayuso, pioniera della nuova destra iberica da governatrice di Madrid, e a Gustavo Petro, fautore di una Sinistra campesina arrivata al potere in Colombia.
Per tutte queste figure il 2023 sarà l’anno della conferma, in cui dovranno rispondere a elevate aspettative. Ma molte altre figure sono date in predicato per giocare ruoli da protagonista.
Erdogan si gioca il “sorpasso” su Ataturk
Un nome fra tutti, tra le figure di notorietà globale, è quello di Recep Tayyip Erdogan, che nell’anno del centenario della Repubblica di Turchia alle elezioni si giocherà la congiunzione definitiva con Mustafa Kemal Ataturk, padre della patria, in un anno che vedrà la Turchia al centro di grandi scenari geopolitici.

La mediazione tra Russia e Stati Uniti sta proiettando Erdogan nel ruolo di meno atlantico ma più indispensabile dei partner Nato. Le armi date all’Ucraina da prima dello spartiacque del 24 febbraio 2022 lo assolvono di ogni accusa di sintonia col Cremlino in termini paragonabili a quelli con cui Viktor Orban tresca con Mosca, ma al tempo stesso per la Turchia non esistono alleati o nemici fissi, esistono interessi. E gli interessi puntano nella direzione del rilancio del Paese come hub energetico, nella proiezione securitaria all’esterno, nella gestione dei grandi progetti geopolitici come ponte tra Europa e Asia. Ma Erdogan deve guardarsi dalla crisi interna, da un’inflazione vicina alla tripla cifra e da una latente ansia sociale alimentata dalle recenti recrudescenze terroristiche. Vere mine per la riconferma al potere.
Il ritorno di Lula
Sarà un anno decisivo anche per Lula. L’ex sindacalista già presidente del Brasile dal 2003 al 2011 è tornato in sella battendo, a ottobre, Jair Bolsonaro in un duello presidenziale all’ultimo voto. Ora tornerà a guidare un Paese diviso, segnato da grandi tensioni sociali, problematiche connesse all’eredità del Covid, disuguaglianze e crisi energetica.

Anche per l’ex oppositore della dittatura militare incensata in passato da Bolsonaro e storico sindacalista di sinistra la partita più grande sarà tra ambizioni e contraddizioni. Le ambizioni sono quelle di ricucire un Paese che, per una buona metà, ritiene però Lula un corrotto e truffatore per via dell’inchiesta Lava Jato in cui è stato condannato e poi scagionato, e di ricostruire un’immagine globale alla presidenza puntando su temi come l’ambiente e la difesa dell’Amazzonia.
Le contraddizioni sono quelle di un modello che non potrà essere quello di inizio secolo, fondato su spesa in welfare a pioggia, sfruttamento delle materie prime e apertura a mercati come la Cina. Il Brasile vuole studiare da grande potenza ma rischia di trovarsi terra di conquista nella Guerra Fredda 2.0 a trazione sino-americana. E Lula non può farsi schiacciare.
Modi e la “vetrina” del G20
Nel gruppo Brics un altro osservato speciale sarà Narendra Modi. Nell’ultimo anno pieno del suo secondo mandato prima del 2024 elettorale il premier nazionalista indiano dovrà mettersi in campo per consolidare la posizione del suo Paese in una fase di grande visibilità mondiale: l’India è dall’1 dicembre scorso presidente di turno del G20 e organizzerà il prossimo summit tra i grandi della Terra il 9-10 settembre 2023 a Nuova Delhi.

Modi studia da protagonista dell’agenda politica globale e il 2023 del G20 può dargli una sponda. L’India al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai tenutosi di recente a Samarcanda si è mostrata come nazione capace di rapporti pragmatici con la Russia, storicamente amica, e con la rivale Cina. Sempre più intenta al contenimento di Pechino in materia marittima e commerciale, è al fianco di iniziative come Aukus e membro del Quad senza però recedere dalla sua posizione di non allineata. Per Modi sarà un 2023 denso di prove di maturità politiche per il suo Paese, comprese le elezioni nel confinante Pakistan e la gestione di un processo da cui Nuova Delhi spera nasca un esecutivo aperto alla risoluzione delle controversie bilaterali.
Kaczynski e i nuovi fronti della Polonia
Tornando in Europa, sarà invece un anno elettorale per la Polonia in cui in autunno i cattolici conservatori di Diritto e Giustizia saranno chiamati alla prova della verità contro il centrodestra liberale e i partiti più progressisti sotto la guida del deus ex machina Jaroslaw Kaczynski. Il fondatore del PiS è il vero regista del governo polacco di Mateus Morawiecki e in primavera si è fatto notare durante una visita a Kiev per aver chiesto una no-fly zone Nato sull’Ucraina.

Kaczynski ha viaggiato nella carica di vicepremier polacco, da lui lasciata a giugno per concentrarsi sulla guida del partito che proverà a radicarsi al potere. Dal rilancio dell’economia alla centralità nel mercato nordeuropeo del gas garantita da Baltic Pipe, dalla sfida totale alla Russia al riarmo graduale del Paese, Varsavia ha segnato una serie di punti nell’ultimo anno, complice la vicinanza agli Stati Uniti e la fragilità dell’Europa. Ora, forte del via libera al suo Pnrr, Kaczynski vuole depotenziare la sfida degli europeisti guidati dall’ex premier e presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk in elezioni in cui sarà in gioco la visione valoriale, dalle limitazioni all’aborto alla riforma della giustizia, costruita per la Polonia negli ultimi otto anni.
Sanna Marin, la progressista e l’atlantista
Last but not least, Sanna Marin. La giovane premier finlandese è attesa dalle elezioni il prossimo 2 aprile e da ciò si capirà in che misura avrà pagato la svolta “atlantica” imposta al suo governo dall’invasione russa dell’Ucraina. Dopo la quale la socialdemocratica progressista, anti-austeritaria e ecologista si è fatta “falco” antirusso, guidando Helsinki verso la storica rottura della neutralità. Posizione da tempo sostenuta dall’opposizione di centrodestra di Coalizione Nazionale che ora guida i sondaggi, mentre la destra radicale dei Veri Finlandesi sogna di replicare quanto fatto a Stoccolma dai Democratici Svedesi, divenuti sostenitori esterni di un esecutivo liberalconservatore con appoggio populista.

A Sanna Marin avrà fatto gioco politicamente la svolta da leader progressista di stampo nordico a nuova Cold Warrior? Riuscirà la premier a capo di una coalizione eterogenea di centrosinistra a essere in sella mentre l’area baltica sarà decisiva per la successione alla guida della Nato, oggi avente come segretario lo scandinavo Jens Stoltenberg (ex premier norvegese) e in cui Helsinki vuole entrare? Se supererà lo scoglio delle elezioni, Sanna Marin sarà uno dei volti del 2023. Ma tra i cinque volti del prossimo anno è quello che rischia di più.