Hanno ricevuto assistenza economica, militare o politica dagli Stati Uniti, o, in certi casi, continuano addirittura a riceverne ancora adesso. E però, nella sempre più spinosa tensione internazionale venutasi a creare tra Washington da un lato, e l’asse Cina-Russia dall’altro, non intendono schierarsi pubblicamente a favore degli Usa. È questa la posizione assunta da una nutrita schiera di Paesi che, anziché mostrare gratitudine o vicinanza alla Casa Bianca, preferiscono restare in disparte, pronti a sfruttare ogni possibile vantaggio generato dall’attrito tra le tre potenze citate.
La rivelazione è contenuta in un report visionato dal Washington Post e presumibilmente facente parte dei numerosi file del Pentagono (e non solo) altamente classificati e condivisi online da Jack Teixeira, un ex aviere della Massachusetts Air National Guard, adesso arrestato.
Nello specifico, da alcune valutazioni top secret dell’intelligence statunitense emerge quanto l’agenda globale del presidente Joe Biden debba fare i conti con sfide significative, visto che i principali Paesi in via di sviluppo starebbero cercando di eludere l’intensificarsi della crisi geopolitica tra Stati Uniti, Russia e Cina, in alcuni casi persino sfruttando la situazione per i propri interessi nazionali.
Emergono, dunque, in tutto il loro cinismo i calcoli segreti delle potenze emergenti, tra cui India, Brasile, Pakistan ed Egitto, intenzionate a mantenersi in equilibrio all’interno di una rete di alleanze nella quale gli Stati Uniti non risultano più essere l’unica superpotenza incontrastata del pianeta.
Tutto questo, offre uno spaccato emblematico degli ostacoli che Biden è chiamato ad affrontare per assicurarsi il sostegno globale – e quindi anche di questi “franchi tiratori” – al fine di realizzare i principali dossier della politica estera Usa: respingere la diffusione dell’autoritarismo , contenere la belligeranza della Russia oltre i suoi confini e contrastare la crescente portata globale della Cina.
Chi insidia l’agenda di Biden
I Paesi in via di sviluppo stanno ricalibrando la loro posizione nello scacchiere internazionale in un momento in cui gli Stati Uniti devono affrontare una concorrenza insidiosa. Pechino, infatti, ammalia e seduce sempre più nazioni africane, latinoamericane e del sud est asiatico, proprio come un tempo faceva Washington, mentre Mosca, seppur indebolita dalla guerra in Ucraina e incapace di proporre un modello politico-economico, dimostra di saper deviare la pressione occidentale offrendo accordi allettanti (soprattutto relativi alla vendita di petrolio e gas).
L’esempio di quanto detto è ben visibile in Pakistan. Dopo l’11 settembre, Islamabad ha ricevuto dagli Usa miliardi di dollari di aiuti economici e per la sicurezza, eppure adesso dipende fortemente dagli investimenti e dai prestiti della Cina. Secondo uno dei documenti trapelati, Hina Rabbani Khar, ministro di stato pakistano per gli Affari Esteri, lo scorso marzo avrebbe sostenuto che il suo Paese “non può più cercare di mantenere una via di mezzo tra Cina e Stati Uniti”.
In una nota interna intitolata “Le scelte difficili del Pakistan“, Khar, che in precedenza era stato ministro degli Esteri pakistano, ha avvertito che il suo Paese dovrebbe evitare di dare l’impressione di placare l’Occidente. Per il ministro, l’istinto di preservare la partnership del Pakistan con gli Stati Uniti, alla fine, sacrificherebbe tutti i benefici della “vera partnership strategica” con la Cina. Il documento dell’intelligence, non datato, non descrive in dettaglio come gli Stati Uniti abbiano ottenuto l’accesso al promemoria di Khar.
Il Sudafrica, altro esempio lampante, ha recentemente tenuto esercitazioni militari con la Russia. L’India è invece indicata espressamente in uno dei documenti trapelati, che ricostruiscono una conversazione risalente al 22 febbraio tra il consigliere indiano per la Sicurezza Nazionale, Ajit Kumar Doval, e il suo omologo russo, Nikolay Patrushev. Da quanto emerso, Doval avrebbe assicurato a Patrushev il sostegno dell’India alla Russia nelle sedi multilaterali. Lo stesso alto funzionario indiano, ha inoltre evidenziato il report diffuso sul web, avrebbe anche citato la resistenza dell’India alle pressioni per sostenere la risoluzione delle Nazioni Unite sull’Ucraina sostenuta dall’Occidente, affermando che il suo Paese “non si discosterà dalla posizione di principio che aveva assunto in passato”.
E però, a differenza del movimento dei Paesi non allineati emerso durante la Guerra Fredda, dove le nazioni in via di sviluppo si opposero al colonialismo e al dominio occidentale, c’è chi fa notare come oggi non esista un’ideologia comune capace di riunire i franchi tiratori degli Usa, come in passato poteva valere per il comunismo.
Tra Usa e Cina
Un altro esempio lampante dell’atteggiamento di equidistanza da Usa e Cina lo si ottiene osservando le nazioni dell’Asia centrale, come il Kazakhstan. Nazioni che, secondo una valutazione del 17 febbraio dell’Ufficio del direttore dell’Intelligence Usa, stanno cercando di sfruttare la concorrenza sino-americana e, al tempo stesso, di capitalizzare l’interesse crescente nei loro confronti di Washington, Pechino e Unione europea, nel tentativo di diminuire l’influenza russa. I leader della regione “sono ansiosi di lavorare con chiunque offra i risultati più immediati, che per ora è la Cina”, afferma il documento.
Spostandosi nel cosiddetto Sud del mondo, troviamo Paesi che intendono posizionarsi come ponti diplomatici tra i tre rivali. Tra loro c’è sicuramente il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, che nelle ultime settimane ha cercato di conquistare un ruolo globale; prima incontrando il suo omologo cinese Xi Jinping a Pechino, poi accogliendo a Brasilia il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov.
L’Egitto, invece, stando ad altri paper, tenterebbe di bypassare la situazione di stallo sull’Ucraina per richiedere aiuti militari tanto dagli Stati Uniti quanto dalla Federazione Russa. Il presidente Abdel Fatah El-Sisi, secondo le valutazioni dell’intelligence Usa, avrebbe inizialmente ordinato la produzione di un massimo di 40.000 razzi da fornire segretamente alla Russia, salvo poi sembrato piegarsi alle pressioni statunitensi e rinunciare all’accordo, accettando invece di produrre proiettili di artiglieria per l’Ucraina.
L’amministrazione Biden ha cercato di convincere (piuttosto che intimidire) numerose nazioni in via di sviluppo a sostenere le priorità globali di Washington, senza tuttavia ricevere risposte chiare ed affidabili. Clamoroso il caso degli Emirati Arabi Uniti, in un’altra rivelazione emersa pochi giorni fa.
Un anno fa le agenzie di intelligence statunitensi avevano appreso una notizia preoccupante. La Cina stava costruendo in gran segreto una presunta struttura militare in un porto degli Emirati Arabi Uniti, uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Allarmata dalla notizia, l’amministrazione Biden si era subito mossa per avvertire il governo emiratino: una presenza militare cinese all’ombra di Abu Dhabi avrebbe potuto minacciare i legami tra le due nazioni. In seguito ad un turbinio di riunioni e visite nel Paese di svariati funzionari Usa, alla fine la costruzione era stata interrotta. Ebbene, lo scorso dicembre i servizi di spionaggio americani avrebbero rilevato, sempre negli Emirati Arabi, la ripresa delle costruzioni della stessa “presunta base militare cinese”. Il tutto ad un anno di distanza dall’annuncio dell’alleato di Washington di aver interrotto il progetto a causa delle preoccupazioni Usa.