I caucus in Iowa hanno raccontato una sola storia: un disastro per il Partito Democratico americano. Mentre scriviamo, Real Politics – uno dei principali siti di risultati e rilevazioni statistiche per la politica a stelle e strisce – riporta un risultato che è fermo al 71% delle schede scrutinate.

Una percentuale inchiodata, che non si sblocca, per via dei ritardi della macchina partitica, che non ha funzionato. La colpa – fanno sapere gli asinelli – è da attribuire alla tecnologia, in specie all’applicazione che era stata predisposta. Ma cambia davvero poco. È come se una nave fosse rimasta ancorata al momento della partenza, che è “falsa” nel senso sportivo dell’espressione. La società dello spettacolo, su cui la politica americana è imperniata, non perdona. E la narrativa prevede tempi che vanno rispettati.

Il primo passaggio delle primarie degli asinelli, comunque sia andato, è compiuto. Ma è il nome del vincitore a non essere noto. Il giovane sindaco di Sout Bend, ossia Pete Buttigieg, avrebbe, e il condizionale rimane d’obbligo, ottenuto la maggioranza dei delegati. A Bernie Sanders, invece, sarebbe destinata la maggioranza relativa dei voti complessivi. Entrambi, in qualche modo, possono esultare. Però bisogna ancora aspettare. E non si sa quanto. Sembra paradossale, ma a distanza di quarantotto ore dalla chiusura dei seggi, non conosciamo ancora l’entità dello scarto effettivo tra i primi due, che dovrebbero essere separati da un paio di punti, e tutti gli altri. Con tutto quello che ne consegue in termini di strategie politiche per i vari comitati dei candidati, che si apprestano a competere nel secondo Stato chiamato alle urne, il New Hampshire, senza avere contezza numerica della performance d’esordio.

Sappiamo – questo sì – che Joe Biden può tutto, ma non dormire sonni tranquilli. Anzi, l’ex vicepresidente di Barack Obama dovrebbe essere arrivato persino dietro Elizabeth Warren, che era data in fase calante. Quarto, dunque, in una competizione che di solito conta qualcosa in termini di scaramanzia: in passato chi ha vinto in Iowa, a parte qualche caso, ha staccato un biglietto per la nomination presidenziale. Joe Biden, che è partito col favore dei pronostici, deve buttare più di un occhio sulla sua tattica, e magari rettificarla. Se non altro perché la sua campagna rischia di naufragare prima di marzo, quando si comincerà a fare sul serio. Michael Bloomberg, il principale rivale nel campo moderato, è pronto ad approfittare di ogni passo falso.

Pete Buttigieg – lo avevamo annotato in tempi non sospetti – è una variabile difficile da calcolare. Ora il primo cittadino dell’Indiana può sperare in una sorta di “effetto Obama”. Replicare la parabola del primo presidente afroamericano della storia statunitense non è semplice, ma neppure impossibile, considerando pure il caos registrato. E infatti, prima ancora che emergessero i dati, Buttigieg ha comunicato agli americani di aver conseguito un risultato “vittorioso”.

Dopo l’Iowa, il primo candidato apertamente gay alla Casa Bianca dovrebbe sgonfiarsi, ma a questo punto nulla può essere dato per scontato. C’è un’ulteriore conseguenza, che non è per nulla irrilevante. Non conoscendo i nomi dei vincitori, cioè di coloro che hanno superato lo sbarramento previsto, che era al 15%, non possiamo procedere con l’eliminare proprio nessuno dalla competizione interna. I candidati che non passano il primo turno sono chiamati a stringere accordi con chi rimane in gara. Gli accordi, in questo genere di elezione, sono all’ordine del giorno. Ma i tavoli delle trattative, per essere aperti, hanno bisogno di numeri veri. Le mere ipotesi non sono sufficienti. L’unico vincitore dell’Iowa, a ben guardare, è Donald Trump.

The Donald ha trionfato alle primarie del Partito Repubblicano, con il 92% dei consensi peraltro. E su questo non sono mai esistiti troppi dubbi. Ma al tycoon è piombata addosso anche la disorganizzazione dei Dem. Non sanno votare tra di loro, possono governare gli Stati Uniti d’America. Un bell’argomento, non c’è che dire.





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