“Vogliamo raccontare i drammi senza fine del Congo, una terra tormentata da gruppi armati anche di matrice islamista, depauperata dallo sfruttamento delle risorse minerarie, travolta da epidemie e da sfide che riguardano tutti noi. Vogliamo farlo attraverso lo sguardo di chi da anni si occupa di questo Paese: il fotografo Marco Gualazzini e il giornalista Daniele Bellocchio.
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L’ultimo mese dell’anno per i congolesi si è aperto con una sorpresa. Il potentissimo Albert Yuma, a capo dell’azienda statale mineraria Gecamines, è stato rimosso dall’incarico dal presidente Felix Tshisekedi. Una scelta clamorosa. Fino a poche ore prima, Yuma era considerato l’uomo più potente e ricco della Repubblica Democratica del Congo. Le sue fortune derivavano soprattutto da un preciso minerale, molto presente nel Paese: il cobalto. Croce (per molti) e delizia (per pochi), la presenza di questo materiale nel sottosuolo sta caratterizzando la storia recente del Congo e non solo.

Tutti a caccia del cobalto

In Europa e negli Usa si parla incessantemente oramai di transizione ecologica. Un piano a lungo termine che prevede, tra le altre cose, l’impiego di fonti alternative al carbone e al petrolio. E tra le materie prime più ricercate in tal senso vi è proprio il cobalto. Senza questa fonte mineraria, ad esempio, non potrebbero essere realizzate le batterie per le macchine elettriche. Così come non potrebbe andare avanti la produzione di computer, cellulari e smartphone. Già oggi la domanda di cobalto appare molto alta, ma in futuro è destinata a salire ulteriormente. La Repubblica Democratica del Congo sta al cobalto come l’Arabia Saudita sta al petrolio. Nel Paese africano si stima la presenza di riserve in grado di soddisfare almeno la metà del fabbisogno globale. Ecco perché in tanti hanno messo gli occhi sulle miniere congolesi. Un affare non da poco. A testimoniarlo sono anche le recenti mosse della Casa Bianca. Il presidente Usa Joe Biden ha ammonito il governo cinese di non intromettersi negli affari americani legati alle miniere del Congo. Questo dopo la notizia dell’acquisizione, da parte della China Molybdenum, del sito minerario di Kisanfu in precedenza nelle mani del colosso statunitense Freeport- McMoRan.

L’attenzione di Washington sulle riserve di cobalto congolesi è molto forte. Basti pensare che negli archivi del dipartimento di Stato è possibile trovare inchieste e informative su Albert Yuma. Secondo gli americani, quest’ultimo gestirebbe le miniere come una proprietà privata. Anche in patria è partita un’inchiesta nei suoi confronti per una presunta appropriazione di 8.8 miliardi di dollari ricavati dal cobalto. L’indagine sembrava destinata a naufragare visto il peso politico ed economico assunto negli anni da Yuma. Fino a quando poi il 3 dicembre in diretta nazionale il presidente Tshisekedi ha reso nota la rimozione di “mister cobalto” dal suo incarico. La Gecamines è stata affidata a Alphonse Kaputo Kalubi. Su di lui adesso graveranno i destini della più importante risorsa contesa dal resto del mondo.

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CAUSALE: Reportage Congo
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Il disastro sociale creato dalle miniere

Fin qui i discorsi economico-politici relativi allo sfruttamento dei giacimenti. C’è però un altro segmento del discorso da dove emergono le preoccupazioni più gravi. Ed è quello di carattere sociale e ambientale. Da anni diverse organizzazioni internazionali denunciano condizioni di lavoro insostenibili per i minatori. Buona parte di loro viene impiegata senza le minime misure di sicurezza. Soltanto dopo le informative emerse dal dipartimento di Stato Usa Albert Yuma ha promesso la dotazione di stivali e caschetto. In un Paese, quale la Repubblica Democratica del Congo, dove buona parte della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e dove mancano concrete prospettive lavorative, anche il guadagno di pochi dollari al giorno è fonte di attrazione. E così in migliaia soprattutto negli ultimi dieci anni hanno raggiunto le zone delle miniere, andando a rinforzare una manodopera priva di tutele e formata anche da minori. L’Unicef ha stimato in 40.000 la forza lavoro formata da bambini che, pur di portare a casa qualcosa per la famiglia, rinunciano all’infanzia e all’educazioni scolastica e passano intere giornate nel buio delle miniere.

Oltre ai costi sociali, il Congo paga dazio anche sul fronte ambientale e sanitario. I giacimenti di cobalto inquinano e nelle aree adiacenti non sono mancate segnalazioni relative all’incremento di tumori e malattie gravi. Un’inchiesta di The Lancet ha messo in relazione l’incremento di malformazioni nei neonati con la presenza di miniere. Molte donne in gravidanza infatti hanno concentrazioni di metallo non riscontrate altrove. Malformazioni associabili anche a malattie contratte dai padri che lavorano all’interno dei giacimenti. La Repubblica Democratica del Congo, così piena di risorse indispensabili per il nuovo corso economico, invece di arricchirsi sta assistendo all’inasprimento dei propri atavici problemi e al peggioramento delle condizioni di vita.

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