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Politica /

Emmanuel Macron non è nè Napoleone Bonaparte nè Charles De Gaulle, ma la Francia resta la Francia, indipendentemente dall’alternanza delle forme di governo e degli uomini al potere. L’aspirazione alla centralità in Europa è insita nella strategia dell’Esagono e anche nell’attuale fase di crisi economica legata al coronavirus Parigi si muove a tutto campo per ampliare la sua sfera d’influenza nel Vecchio Continente.

Senza incoerenza né timori di essere accusato di ipocrisia Macron prova a giocare su ogni tavolo: fa sponda con Giuseppe Conte Pedro Sanchez sul superamento dell’austerità tedesco-olandese, si muove con Angela Merkel per applicare il Trattato d’Aquisgrana e presentare proposte comuni, guarda con interesse ai tesori economici italiani ma al contempo non può permettersi che Roma sia messa sotto il fuoco di sbarramento dei falchi del rigore.

Basta una cifra per farlo capire: 330 miliardi di euro. A tale somma ammonta, infatti, il complesso dei titoli di Stato e di debiti di aziende italiane in mano alla finanza francese. Una massa critica notevole che Parigi non può permettersi di vedere evaporare sotto i colpi di un possibile collasso economico del Belpaese.

La parte del leone la fanno i titoli di Stato. Dei 425 miliardi di euro di debito pubblico italiano in mano a istituzioni straniere (circa il 17% del totale), 285 sono imputabili alle sole istituzioni finanziarie francesi. Dagli Anni Novanta in poi, tra pulsioni privatizzatrici, connivenze politiche (l’anomalo numero di Legioni d’Onore assegnate agli esponenti del centrosinistra è un campanelo d’allarme) e differenziali di potenza la finanza transalpina si è scatenata in Italia. Come scritto su Atlante, la Francia è una potenza finanziaria di altro tenore rispetto all’Italia, in particolare per la capacità di usare le banche d’affari per promuovere la crescita dimensionale di grandi gruppi” quali i principali colossi che hanno accumulato quote di debito. Bnp Paribas (143,2 miliardi) e Credit Agricole (97,2 miliardi), anche prese singolarmente, a metà 2019 battevano ampiamente il totale del debito italiano controllato dall’intero sistema finanziario tedesco, pari a 58,7 miliardi, e il complessivo delle passività italiane gestite dalla Germania (che si aggira sui 90 miliardi).

La stabilità dell’Italia consentirebbe alla finanza francese di continuare a incamerare le profittevoli cedole pagate dai Btp, decisamente più consistenti dei titoli nazionali il cui rendimento è sceso da tempo sotto lo 0,5%. A questo bisogna aggiungere la grande massa di dividendi, partecipazioni e investimenti che le aziende francesi operanti nel nostro Paese intendono tutelare e garantire sul lungo periodo. Da Parmalat a Telecom, da Bulgari a Bnl i campioni italiani in cui l’influenza della finanza francese è prevalente o dominante non si contano più.

In questo contesto, l’Italia ha prudentemente alzato i muri contro il rischio di ulteriori scalate straniere opponendo il golden power e discipline affini agli appetiti transalpini. Parigi incassa ma, al tempo stesso, non può non interessarsi alla ripresa e alla stabilità italiane. Il tentativo del commissario transalpino Thierry Breton di coinvolgere nel suo piano di rilancio dell’Europa il collega italiano Paolo Gentiloni si può spiegare in quest’ottica. E per Macron il rischio insito nel tentativo di giocare su ogni tavolo è che, alla lunga, il banco possa saltare. L’Italia vede, per le preoccupazioni francesi, confermata la necessità di tornare a tutelare con decisione la filiera finanziaria e industriale nazionale dopo la crisi. Per tornare a essere soggetto, e non più oggetto, dei grandi meccanismi decisionali europei.

 

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