Cento giorni dopo il 24 febbraio 2022, il mondo non è più lo stesso. La guerra, iniziata con l’annuncio di Vladimir Putin per la sua “operazione militare speciale”, ha cambiato il volo dell’Ucraina, della Russia, dell’Europa e in generale del mondo. C’è un prima e un dopo quel giorno di febbraio in cui il presidente russo ha parlato alla nazione dall’ufficio del Cremlino. E tutto questo sommovimento, i cui effetti li potremmo capire sicuramente solo a guerra finita ma forse anche dopo anni, può già essere definito come un terremoto che ha rivoluzionato la stessa idee delle relazioni internazionali e degli attori che ne sono protagonisti.

La guerra ha modificato radicalmente l’idea di Russia, considerata prima solo come ambiziosa potenza in declino dall’animo imperiale (o imperialista). Putin, che ha sempre avuto come suo incubo quello di essere un leader perdente della storia russa, ha fatto in modo che questo conflitto decretasse un nuovo ruolo di Mosca quale potenza globale, superpotenza a ogni costo. Al punto che la minaccia nucleare, agitata come uno spettro da una parte all’altra della barricata, sembra essere l’inquietante soluzione alternativa a decidere il rango della potenza russa. Inoltre, la Federazione russa è piombata in questi cento giorni non solo nell’isolamento internazionale, ma anche in una nuova percezione di sé da parte del resto mondo. L’Europa, che guardava a est con un misto di interesse, paura e rispetto, oggi vive il rapporto con il gigante del fianco orientale in maniera del tutto diversa. La stessa Germania sembra condannata a recidere il cordone che la lega ai giacimenti siberiani e al Baltico. E Mosca oggi sembra essere definitivamente una capitale imperiale, ma soprattutto di un Paese che non viene più considerato nel novero del consesso internazionale.

Anche l’Ucraina ha cambiato radicalmente il suo volto nei confronti del mondo. Da Paese considerato prima diretta emanazione di Mosca e poi una faglia geopolitica tra Oriente e Occidente, oggi Kiev è l’epicentro del nuovo modo di vedere la Russia. Paese martire in cui si svolge la grande guerra che può cambiare le sorti delle parti in campo e del mondo. Volodymyr Zelensky, dopo cento giorni, è il leader più accolto e acclamato del mondo. La sua figura passa dai grandi vertici internazionali ai più importanti eventi di costume, un eroe che per certi versi risulta anche scomodo, ma che rappresenta perfettamente un Paese che deve resistere a ogni costo all’invasione. Il suo governo, in genere composto da veri e propri “falchi” antirussi, è quanto di più lontano dalle logiche del Cremlino ma sta assumendo anche caratteristiche uniche nel panorama europeo. Non più solo filo-Ue, come chiesto da Kiev, ma soprattutto atlantista e nuova gamba di quel sistema balcanico-baltico che ha soppiantato Visegrad in Europa orientale.

L'”operazione militare speciale” ha poi inciso in modo evidente sulla stessa idea di Europa e dei rapporti transatlantici. L’Unione europea ha provato a autodefinirsi e proclamarsi come soggetto geopolitico, specialmente nella fase intermedia tra ritiro dall’Afghanistan e inizio dell’escalation tra Russia e Ucraina, ma ha evidentemente fallito. Bruxelles è apparsa sostanzialmente una capitale Nato, come del resto lo è formalmente, e non un centro politico eminentemente europeo. Francia e Germania hanno provato, attraverso Emmanuel Macron e Olaf Scholz, a evitare il peggio, ma nemmeno i lunghissimi colloqui con Putin hanno saputo fermare la catastrofe imminente. Al contrario, altri Paesi, soprattutto i baltici, hanno saputo offrire immediate certezze alla Nato mentre l’Ungheria ha strappato lo scettro della “mediazione”. La Nato, al contrario, ha preso il sopravvento. Il Regno Unito, che dall’Ue era uscito, è rientrato nel gioco europeo attraverso la sua strategia militare e diplomatica. Mentre a nord, con la richiesta di adesione di Finlandia e Svezia, si è assistito alla fine delle ultime avanguardie di neutralismo europeo frutto della Guerra fredda.

Gli Stati Uniti giocano la loro enorme partita facendo in modo di non perdere il loro “impero” europeo. In questi cento giorni, Washington ha saputo prima prevedere le mosse di Mosca e poi guidare il blocco euro-atlantico nella sfida al Cremlino, sia attraverso le armi all’Ucraina sia attraverso le sanzioni alla Russia. Ne è derivata un’immensa partita a scacchi in cui gli Usa sembrano al momento per aver teso una trappola strategica in cui Putin è caduto insieme alle sue forze armate. Kiev deve diventare il nuovo Afghanistan: quello che sconfisse l’Unione sovietica. Ma la vera sfida, per la Casa Bianca, rimane sempre l’Indo-Pacifico. Lì dove passano i destini del mondo, l’Ucraina appare lontanissima. Ma la guerra di Putin, saldamente ancorato alla partnership con la Cina di Xi Jinping, è un enorme “stress test” per capire fin dove può arrivare un conflitto in cui è coinvolta indirettamente anche l’America. Taiwan osserva interessata. Ma dopo il 24 febbraio 2022, niente può dirsi certo: nemmeno una nuova guerra.





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