Ci sono buone probabilità che Xi Jinping rimanga al potere per molti altri anni come leader supremo della Cina. Il XX Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) dovrebbe garantire all’attuale presidente cinese un inedito terzo mandato nelle vesti di segretario generale del partito, dal quale, nei prossimi mesi, estendere conseguentemente la carica presidenziale.

Abolito il limite dei due mandati nel 2018, e al netto di vari nodi non proprio trascurabili – dal rallentamento economico alle tensioni internazionali – per Xi, al potere dal 2012, la strada sembra dunque essere in discesa. In attesa di capire quale percorso seguirà il Dragone da qui ai prossimi anni, possiamo intanto tracciare il bilancio completo di come si è trasformata la Cina sotto la decennale guida di Xi Jinping.

Com’era la Cina prima della presidenza di Xi

Da quando ha ereditato la leadership della seconda economia più grande del mondo dal suo predecessore Hu Jintao, Xi ha rimodellato la Cina facendola emergere come potenza dominante sulla scena globale.

Nel 2012, più che a un serpentone con le fauci aperte pronto a inghiottirsi Paesi interi, la Repubblica Popolare Cinese era ancora paragonata ad un panda gigante. Un panda enigmatico, politicamente distante dall’Occidente, problematico per la sua capacità di inondare i mercati con paccottaglia a basso costo, dotato di una cultura diversa, ma tutto sommato innocuo. Anzi: c’era addirittura chi pensava che la Cina potesse gradualmente occidentalizzarsi, non solo nei brand e nei consumi, ma anche nella visione valoriale. L’avvento di Xi ha interrotto questi vani sogni di gloria. Il nuovo presidente ha fatto uscire allo scoperto le reali potenzialità del Paese nel tentativo di riportare Zhongguo, il “Paese di mezzo”, al centro del mondo.

Al termine di un lunghissimo percorso di riforme e aperture, inaugurato da Deng Xiaoping nel 1978, per la Cina era arrivato il momento di accelerare. Xi si è quindi ritrovato a guidare un Paese pronto a riscattare il secolo delle umiliazioni (‘900). È per questo che, a differenza dei precedenti presidenti cinesi, Xi Jinping può essere visto come un leader intenzionato a seguire una missione storica da compiere a qualunque costo.

In generale, prima di Xi l’economia cinese era fiorente, ma aveva anche molti seri problemi. Il prodotto interno lordo cinese, ha sottolineato il South China Morning Post, era cresciuto ad un tasso medio annuo del 10% annuo per oltre un decennio, salvo rallentare quasi ogni anno a partire dal 2008. All’inizio del Duemila, inoltre, in Cina la disuguaglianza aveva addirittura superato quella degli Stati Uniti, mentre l’inquinamento stava letteralmente uccidendo il Paese. Nel 2013 l’aria di Pechino contava una media di 102 microgrammi di particelle di PM2,5 per metro cubo. Il deflusso chimico di fabbriche, miniere e fattorie stava nel frattempo intossicando le acque, costringendo villaggi e comunità locali a spostarsi a causa della contaminazione dei rispettivi approvvigionamenti idrici.

Negli ultimi 10 anni, con Xi al potere, le letture di PM2,5 nelle principali città, come Shanghai e Pechino, si sono dimezzate. Il coefficiente di Gini è tornato al di sotto di quello Usa. Xi è però riuscito solo in parte a migliorare la situazione cinese. Sono rimasti nodi irrisolti: ad esempio il tasso di crescita annuale del pil, tra il 2012 e l’inizio della pandemia di Covid-19, è diminuito o rimasto costante. E ancora: il governo ha abolito la politica del figlio unico ma i tassi di fertilità sono rimasti bassi.

Possiamo affermare che Xi ha ereditato la maggior parte dei problemi della Cina – problemi figli della rapida modernizzazione del Paese – ma che è riuscito a risolverli soltanto in parte, e non necessariamente sempre per suoi demeriti.

Hu Jintao (Sx) e l’ex presidente Jiang Zemin nel Congresso del 2012 (Foto EPA/DIEGO AZUBEL)

Cosa ha deciso Xi durante la presidenza

Uno dei più grandi successi di Xi Jinping è stato il modo con il quale è riuscito a risolvere le presunte contraddizioni tra il ritorno della Cina a politiche maoiste di sinistra e lo spostamento del Paese verso la destra dengista. Alla fine della presidenza di Hu Jintao, la disputa su quale direzione avrebbe dovuto prendere il Paese si stava facendo sempre più serrata. Xi è stato abile ad imbracciare l’arma del pragmatismo e silenziare ogni contraddizzione capace di minare l’armonia sociale della nazione.

Le sue teorie politiche, riunite sotto l’etichetta de “Il pensiero di Xi Jinping“, hanno trovato spazio nella costituzione del partito. A livello nazionale, Xi Jinping ha reso popolare lo slogan ispiratore del China Dream, ha celebrato il 100esimo anniversario del Partito Comunista Cinese, ha represso il dissenso a Hong Kong e promesso di perseguire la riunificazione con Taiwan (anche se non si capisce ancora in che modo).

I suoi “Two Centenary Goals” hanno offerto alcuni indizi quantitativi su cosa sia il suo Sogno Cinese. Intanto, la Cina avrebbe dovuto costruire una società moderatamente benestante entro il 2021 (il governo ha annunciato di esserci riuscito) e, successivamente, diventare un Paese socialista moderno a tutti gli effetti entro il 2049.

Nell’ultimo decennio Xi ha poi proposto la Belt and Road Initiative, ha spinto per la rapida espansione della Cina nel Mar Cinese Meridionale e ospitato le Olimpiadi invernali del 2022.

Politicamente parlando, Xi ha accumulato sempre più potere, spostando la Cina da una tradizione di leadership collettiva, con il segretario generale considerato primo tra eguali nel comitato permanente del politburo, a quella che ora è ampiamente considerata una leadership suprema.

Oltre ad essere il presidente della Repubblica Popolare Cinese e della Commissione militare centrale, nonché segretario generale del Partito, Xi guida anche la Commissione per la sicurezza nazionale, il gruppo centrale per la sicurezza e l’informatizzazione di Internet e la Commissione centrale per lo sviluppo militare e civile integrato, solo per citarne qualche titolo.

Il caso della pandemia: le decisione di Xi

La Cina ha abbracciato fin da subito una rigida politica anti Covid, presto denominata strategia Zero Covid. L’approccio zero Covid è una delle politiche fondamentali di Xi, il quale ha promesso di “combattere risolutamente contro qualsiasi parola e atto che distorce, dubiti o neghi” la sua politica sanitaria.

Se questa mossa ha consentito alla Repubblica Popolare Cinese di limitare i decessi e i contagio, dall’altro lato la chiusura dei confini ha portato l’economia nazionale ad una brusca frenata, complici i lockdown e i controlli sempre più severi, soprattutto nella prima fase dell’emergenza sanitaria (per non parlare della crescente frustrazione sociale).

Calcolatrice alla mano, la crescita economica del Paese è precipitata ad un +0,4% su base annua nel secondo trimestre del 2022, con una contrazione del -2,6% rispetto al trimestre precedente.

Il Congresso del 2012 (Foto: EPA/DIEGO AZUBEL)

Quali sono i rapporti di Xi con Trump e Biden

Lo scorso 30 luglio, al termine di una videoconferenza durata 2 ore e 17 minuti, nel quinto meeting virtuale dei due negli ultimi due anni, Joe Biden e Xi Jinping promettevano di “tenere aperte le linee di comunicazione”. Allo stesso tempo Xi lanciava a Biden un avvertimento emblematico: “Chi gioca con il fuoco si dà fuoco, spero che gli americani lo capiscano bene”.

Qualche mese fa, in merito alla guerra in Ucraina, il presidente cinese aveva recitato a Biden un altro proverbio altrettanto incisivo: “jie líng hái xu xì líng rén”, che può essere tradotto come “è di chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”.

Detto altrimenti, Xi spiegava al suo omologo statunitense che il compito di risolvere la faccenda ucraina sarebbe toccato agli Stati Uniti, responsabili, sempre a detta del leader cinese, di aver fatto arrabbiare la “tigre” Russia. Oggi la tensione tra Pechino e Washington resta altissima e fra Biden e Xi permangono ancora divergenze forse incolmabili. Sulla Russia, su Taiwan ma pure sull’ordine globale.

Xi Jinping e Joe Biden nel 2013 (Foto EPA/LINTAO ZHANG / POOL)

Quali sono i rapporti di Xi con Putin

La guerra in Ucraina ha spinto la Russia ad abbracciare ulteriormente la Cina in una sorta di vicinanza strategica. Pechino e Mosca hanno dimostrato sì di far sul serio, ma la loro relazione dovrebbe essere concepita come una partnership e non come un’alleanza militare, politica o di altro tipo.

Passando ai leader, Xi Jinping ha ospitato Vladimir Putin a Pechino, in occasione delle Olimpiadi Invernali, alla vigilia dello scoppio del conflitto ucraino. Xi non ha mai condannato Putin per la guerra in Ucraina ma, negli ultimi mesi, abbiamo assistito ad un possibile raffreddamento nei loro rapporti. I due si sono incontrati anche a Samarcanda, a margine del vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), dove, al di là delle stratte di mano, Xi ha espresso preoccupazione per l’escalation in Ucraina. Ulteriori dubbi sono arrivati quando il leader cinese non ha, almeno pubblicamente, inviato alcun messaggio di auguri al capo del Cremlino.

In ogni caso l’amicizia senza limiti annunciata urbi et orbi da Xi Jinping e Vladimir Putin può essere soppesata nelle intese commerciali siglate tra i due Paesi – per lo più nel campo dell’oil and gas, dove troviamo un’intesa dal valore di 117,5 miliardi di dollari – e in un interscambio complessivo, nel 2021, di 146,8 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il petrolio, il gigante russo Rosneft, guidato da Igor Sechin, ha firmato un accordo con la compagnia cinese CNPC per fornire 100 milioni di tonnellate di oro nero attraverso il Kazakhstan da qui ai prossimi dieci anni, estendendo, di fatto, un’intesa esistente. Ossigeno prezioso per la Cina di Xi.

Vladimir Putin e Xi Jinping durante il vertice di Samercanda il 16 settembre scorso (Foto EPA/SERGEI BOBYLEV/SPUTNIK/KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT)

Cosa ci si può aspettare dal nuovo mandato

Xi deve affrontare almeno cinque importanti problemi. Il primo coincide con l’economia cinese. Il leader è chiamato a dare una scossa all’intero sistema che, come detto, risente fortemente della politica Zero Covid. Senza una nuova crescita, o comunque in assenza di numeri più confortanti, nel lungo periodo potrebbero sorgere problemi complicati.

In politica estera Xi Jinping dovrà scegliere come condurre la tanto sbandierata riunificazione di Taiwan alla Mainland. Anche perché gli Stati Uniti hanno fatto capire che non lasceranno Pechino libera di agire.

Dopo di che restano da monitrare altre due crisi: quella che coinvolge la penisola coreana e la disputa lungo i confini sino-indiani. Accanto ai rapporti con gli Stati Uniti, praticamente da ridisegnare, permane infine l’interrogativo riguardante la crisi ucraina: cosa fare per evitare di ritrovarsi in mezzo ad uno scontro tra blocchi, e rischiare di mandare in fumo affari milionari con Europa e Usa? Questa è soltanto la punta dell’iceberg che si ritroverà di fronte Xi Jinping.

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