Un milione, mezzo milione, centinaia di migliaia. Non c’è ancora un dato preciso in grado di quantificare il numero di persone scese in piazza e nelle strade di Hong Kong per protestare contro un progetto di legge richiesto a gran voce dalla Cina, anche se le ultime indiscrezioni parlano di un milione di manifestanti. La protesta, iniziata in modo pacifico, è poi naufragata in violenti scontri fra cittadini e forze dell’ordine. La legge nel mirino degli oppositori farebbe sì che i sospetti criminali fermati in territorio hongonghese fossero trasferiti a Pechino per affrontare lì il processo sulla loro colpevolezza.

Un milione di persone in strada

La protesta è partita con la marcia di 3.000 avvocati di venerdì scorso. Poi è stato il turno delle associazioni per i diritti umani, vere organizzatrici della marea umana apparsa a Hong Kong già dalla mattinata di oggi per una manifestazione oceanica e collettiva. Il bersaglio del malcontento è sempre il solito: la legge sull’estradizione forzata chiesta con estrema urgenza da Pechino. L’emendamento è in attesa di essere approvato dal Parlamento locale; in caso di fumata bianca gli effetti, accusano i manifestanti, saranno disastrosi per il sistema giudiziario di Hong Kong.

Cosa dice la legge nel mirino dei manifestanti

In pratica, se l’amministrazione locale approvasse il progetto di legge promulgato da Pechino, le persone accusate di aver commesso crimini a Hong Kong verrebbero processate nella Cina continentale. Secondo gli oppositori questa legge consentirebbe al governo cinese di estendere il suo controllo sulla giustizia hongkonghese. Non solo: uno scenario simile potrebbe facilitare la repressione del dissenso politico da parte delle autorità centrali. Gli avvocati hanno messo in guardia sull’eventualità di persecuzioni politiche a tappeto e soppressione della libertà di parola.

Le rassicurazioni del Parlamento locale non bastano

Un altro problema nasce dal funzionamento delle corti cinesi, diverso da quelle di Hong Kong. Nella Cina continentale le corti possono impiegare anche più di 20 anni per fare luce su casi i cui reati commessi prevedono ergastolo e pena di morte; queste, sempre secondo i manifestanti, non sarebbero indipendenti e non garantirebbero la difesa dei diritti umani dell’accusato. Eppure il capo esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, ha dichiarato che l’emendamento proposto da Pechino è necessario per sciogliere diversi nodi nel sistema legislativo dell’ex colonia britannica. Lam ha poi sottolineato come il progetto di legge conterrà al suo interno dei paletti che eviteranno sue strumentalizzazioni collegate a episodi di dissidenza politica o religiosa. A essere estradiate, inoltre, saranno soltanto le persone accusate di aver compiuto reati punibili con una pena di almeno sette anni.

Violenti scontri fra manifestanti e forze dell’ordine

Pechino probabilmente non si aspettava una simile protesta dei cittadini di Hong Kong. La Cina continentale è riuscita a riprendere il controllo della situazione delle sue vecchie colonie, anche se da queste parti vige una legislazione speciale, sia dal punto di vista economico che politico. In ogni caso è da Hong Kong che sono partite alcune fra le più recenti proteste democratiche contro il governo di Xi Jinping: dal movimento degli Ombrelli Gialli alle commemorazioni dei fatti di Piazza Tienanmen. Anche nel caso della manifestazione contro l’estradizione chiesta da Pechino non sono mancati incidenti. La marcia, inizialmente pacifica, si è trasformata in un campo di battaglia fra oppositori e forze dell’ordine; la folla ha innalzato barricate, la polizia ha risposto con manganelli e spray al peperoncino.





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