C’è una frase, pronunciata da un amico libanese a Beirut, che porto con me: “In Occidente non riuscite proprio a capire cosa sta accadendo qui. In Siria e in Libano”. Parole tremendamente vere. Che mi sono piovute addosso come macigni. Non basta – ed era questo il senso delle parole dell’amico libanese – leggere di Medio Oriente. Bisogna andarci, in Medio Oriente. Bisogna incontrare chi vive là, chi ha deciso di stare da una parte o dall’altra della barricata. Oppure chi ha deciso di stare in disparte, cercando solamente un po’ di quieto vivere mentre gli eserciti di una nazione o dell’altra si danno il cambio. E poi bisogna provare a raccontare tutto con onestà, come ha scritto Robert Fisk in Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra: “Immagino che il giornalismo sia questo, o almeno dovrebbe essere questo: osservare ed essere testimoni della Storia e poi, malgrado i pericoli, i limiti e le nostre umane imperfezioni, riportarla il più onestamente possibile”.E mi sembra che questo abbiano fatto Stefano Fabei e Fabio Polese con I guerrieri di Dio. Hezbollah: dalle origini al conflitto in Siria (Mursia, 2017). Un libro corposo – quasi 400 pagine – che ripercorre la storia, completa, onesta e obiettiva, di questo organismo politico-militare. Tutto, come è giusto che sia, ruota attorno alle travagliate vicende del Libano, dalla sua fondazione, passando per l’occupazione siriana e le guerre eterne con Israele. In queste pagine c’è tutto Hezbollah: c’è il partito politico, ci sono le strutture assistenziali (gli ospedali, per esempio, e le moltissime scuole) e pure quelle militari. Ma ci sono pure i media. Il Partito di Dio, infatti, è stato uno dei primi gruppi mediorientali a comprendere l’importanza della tv e dei giornali, tanto da aprirne di suoi. C’è la storia, ma c’è anche la cronaca dei giorni nostri. Hassan Nasrallah, e quindi Hezbollah, che decide che il Partito si deve schierare al fianco di Bashar Al Assad in Siria (aprile 2013). Innanzitutto perché la rivoluzione ha preso fin da subito una brutta piega ed è stata sequestrata dagli uomini col fucile, ovvero le frange più estremiste dei sunniti. E poi per difendere la minoranza sciita e, secondo la visione di Hezbollah, il mondo intero dal terrorismo di matrice islamista.La storia del Partito di Dio è fatta di luci e ombre. C’è chi lo accusa di aver istigato Israele a radere al suolo il Libano nel 2006 e chi, invece, ha nei suoi confronti una fede incrollabile che spinge al martirio. Queste luci e ombre hanno un’intensità visiva nelle foto che Polese ha scattato durante i suoi reportage e che ha deciso di inserire nel libro. Luci e ombre che non sono solamente di Hezbollah. Ma che si riflettono anche sulla storia del Libano. Una nazione martoriata e testarda. Ma anche coraggiosa e carica di speranza. Si sarebbe potuto scrivere un altro (per non dire l’ennesimo) libro di storia. Ma I guerrieri di Dio non è un libro di storia (anche se al suo interno ne troverete parecchia). È un libro che sembra un reportage perché è fatto di incontri, di fotografie, di scarpe consumate sui marciapiedi di Beirut oppure sulla terra della Bekaa. È un libro che sa di sangue e di martirio. O, più semplicemente, un libro che val la pena di leggere.





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