Le dimissioni di Nikki Haley come ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite non sono un evento secondario nel panorama mondiale. E soprattutto per il Medio Oriente, la fine del mandato di Haley rappresenta (forse) una svolta nella strategia politica americana. O quantomeno la perdita di un elemento essenziale per un certo tipo di politica regionale.

Dall’inizio del suo mandato al Palazzo di Vetro, la donna è sempre stata considerato un vero e proprio “falco” dell’amministrazione americana. La sua linea intransigente nei confronti dell’Iran è stata chiara da subito. Come è stato chiaro, di conseguenza, il suo totale sostegno alle iniziative di Israele in Medio Oriente. 

Non che prima da Washington fossero arrivati grandi segnali di divergenza con lo Stato ebraico sulle politiche mediorientali. Alle Nazioni Unite, a parte in rarissimi casi sotto l’amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto Israele.

Ma con Haley le cose sono state diverse. Come ha scritto Haaretz, l’Iran e tutti i suoi alleati sono diventati una vera “ossessione personale” per l’ambasciatrice di Trump all’Onu. E quest’ossessione ha portato a un asse senza precedenti fra il governo israeliano e quello americano. Anche a costo di giungere a un’escalation di tensione in tutto il Medio Oriente.

 

È stato sotto il suo mandato che l’amministrazione Trump ha deciso di tagliare i fondi all’agenzia per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa. Una politica voluta dal premier Netanyahu e condivisa dall’amministrazione Trump. Stessa cosa avvenuta con il Consiglio per i diritti umani. Gli Stati Uniti di Trump sono rimasti 18 mesi prima di decidere che l’organismo Onu “non era degno del suo nome”, come detto dalla stessa Haley. E alla fine anno deciso di lasciarlo. Aggiunto alla 

A conferma di questo rapporto fra Haley e Israele, basta rileggere le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, che ha voluto personalmente ringraziare la funzionaria Usa per le sue politiche in favore di Israele. “Vorrei ringraziare l’ambasciatrice Nikki Haley, che ha guidato la lotta senza compromessi contro l’ipocrisia alle Nazioni Unite, e a favore della verità e della giustizia del nostro Paese”, così ha scritto Netanyahu sul suo profilo Twitter.

Ed è un messaggio abbastanza chiaro sulle idee israeliane sulla delegata all’Onu, tanto che adesso sono molti a interrogarsi sul futuro della posizione statunitense al Palazzo di Vetro. Anche se è difficile credere che questa amministrazione dia una svolta in chiave meno favorevole allo Stato ebraico. Forse meno pubblicamente e meno in maniera manifesta. Ma sicuramente non rivoluzionaria.

Detto questo, è comunque evidente che per Israele queste dimissioni siano una piccola battuta d’arresto, che può anche indicare un possibile cambio di prospettiva da parte di Donald Trump non tanto per l’approccio nei confronti di Israele quanto nei confronti del Medio Oriente.

Queste dimissioni non sono state decise da Trump per una svolta nella strategia regionale. Ma è anche possibile che possano essere foriere di un nuovo approccio meno intransigente: quantomeno nei confronti dei palestinesi, con questi ultimi che rappresentano in ogni caso dei protetti delle potenze arabe partner di Stati Uniti e di Israele.

In questo senso, le dimissioni potrebbero anche essere arrivate in un momento decisivo e far iniziare quella fase di “de-escalation” con i palestinesi per avviare un approccio diverso, soprattutto perché Trump ha effettivamente intenzione di portare avanti il suo piano per una soluzione dei due Stati

Una de-escalation che però non sembra essere in procinto di arrivare con l’Iran. La Repubblica islamica resta un obiettivo primario della Casa Bianca. E su questo, Netanyahu non vuole sentire ragioni. Proprio per questo motivo, i nomi che circolano nei media israeliani come possibili sostituti della Haley non sembrano dare grande fiducia.

Due in particolare, Richard Grenell e Dina Powell, sono fortemente ancorati a una certa linea anti-iraniana. Il primo è stato definito dallo stesso Netanyahu un “fan di Israele” ed è stato a lungo collaboratore di John Bolton. La seconda, è stata una delle maggiori sponsor del viaggio di Trump in Israele e Arabia Saudita ed è molto legata a Jared Kushner e a sua moglie Ivanka.

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