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L’escalation controllata tra Donbass e Mar Nero è rientrata senza degenerare in una guerra aperta, contribuendo in maniera determinante a reinstaurare tra i belligeranti un clima di dialogo potenzialmente produttivo e costruttivo. Casa Bianca e Cremlino hanno accelerato il ritmo dei lavori in relazione all’allestimento dell’evento del 2021, ovvero la bilaterale tra Vladimir Putin e Joe Biden, mentre il Marinskij ha cominciato a palesare una volontà conciliativa in merito alla risoluzione del fascicolo Donbass.

Tutto ha avuto inizio il 20 aprile, quando Volodymyr Zelensky, nella consapevolezza di aver perduto la rischiosa e azzardata partita, ha invitato l’omologo russo ad un incontro chiarificatore nelle terre martoriate del Donbass. Due giorni dopo, il 22, giunge la replica (positiva) di Putin: totale disponibilità ad un vertice a due, ma preferibilmente a Mosca – una meta sia tattica che strategica: Zelensky, accettando, avallerebbe la firma di un accordo di pace in casa del rivale, ergo accondiscenderebbe ad una vittoria mutilata.

Nella piena cognizione della logica dietro all’invito a Mosca, e nolente ad apparire come la parte riluttante alla pacificazione, nei giorni successivi la diplomazia del Marinskij ha giocato due jolly inattesi, Vaticano e Israele, impetrando il primo affinché ospiti il vertice e il secondo perché interceda presso il Cremlino facendo leva sull’ottimo rapporto intercorrente tra Putin e Benjamin Netanyahu.

Un incontro tra Putin e Zelensky in Vaticano?

Mostrando una conoscenza approfondita della tradizione diplomatica dei pontefici, il presidente ucraino ha aggiunto che “il Vaticano sarebbe veramente il luogo ideale per dialogare sulla pace”, dal momento che “la Santa Sede è un’autorità morale a livello globale che, da sempre in modo efficace, svolge il ruolo di mediatrice perché è imparziale e affidabile per tutte le parti in conflitto”.

L’Ucraina, ha spiegato ancora Zelensky, vorrebbe introdurre direttamente il sovrano di Roma nella questione Donbass perché “la Sede Apostolica spesso nella storia è stata chiamata a risolvere i conflitti tra Stati costruendo un futuro di pace”, “il Vaticano tradizionalmente incarna l’autorevolezza e il desiderio sincero di aiutare e assicura una garanzia di responsabilità” e il “Papa, per la sua vocazione, è un profeta della pace”.

In breve, secondo il capo del Marinskij, potrebbero essere i diplomatici al servizio dell’erede di Pietro a risolvere uno dei due punti di maggiore attrito tra Mosca e Kiev (l’altro è la Crimea), perché “il Vaticano è (…) una potenza morale, (che) interviene in modo disinteressato, senza interessi politico-militari o economici”.

La reazione del Cremlino

Il Cremlino ha reagito prontamente all’intervista di Zelensky, affidando a Dmitrj Peskov l’onere di comunicare che Putin potrebbe non essere disponibile ad un appuntamento fuori Mosca e che la Russia, non ritenendosi una parte in conflitto, non sente la necessità di una bilaterale sul tema, quanto, piuttosto, di un nuovo incontro del quartetto Normandia. Se, invece, Zelensky volesse discutere di relazioni bilaterali, eccetto il Donbass, le porte sarebbero aperte nella capitale russa.

Nello stesso comunicato di cui sopra, apparentemente da interpretare come un “niet“, v’è un passaggio di Peskov che risalta in maniera particolare. Il portavoce della presidenza russa, invero, spiegando che “il Vaticano non ha informazioni ufficiali a proposito [dell’offerta di Zelensky]”, ha indirettamente confermato che il Cremlino, una volta sentita l’intervista, ha immediatamente contattato l’ufficio del pontefice.

In sintesi, sebbene il comunicato alla stampa di Peskov sia stato volutamente freddo, ai limiti dell’ostile, quel passaggio concernente l’assenza di informazioni presso la Santa Sede è indicativo dell’esistenza di un interesse da parte russa. Ad ogni modo, accettare o meno l’invito di Zelensky ad una bilaterale in Vaticano dipenderebbe più dal patriarcato di Mosca che dal Cremlino, perché fra le due Chiese continua a vigere uno stato di cooperazione competitiva, a tratti antagonistica, come dimostrano i punti sulla delimitazione del proselitismo presenti nell’accordo di L’Avana e l’assenza di un viaggio apostolico nella Terza Roma in programma nell’agenda pontificia.

Il fattore Israele

Sullo sfondo dell’intervista a La Repubblica, concepita con lo scopo precipuo di attivare un canale di dialogo tra il Marinskij e la Santa Sede, e tra quest’ultima e il Cremlino, Zelensky ha provato a giocare un’altra carta (potenzialmente) vincente: Israele.

Il 22 aprile, intervistato dal canale televisivo israeliano i24News, Yevhen Korniychuk, ambasciatore dell’Ucraina in Israele, ha informato il pubblico di un fatto che, anche in questo caso, è sorprendente a metà: Zelensky ha chiesto a Netanyahu di intercedere presso Putin, per via del rapporto cordiale intercorrente tra i due, ai fini della materializzazione della bilaterale e del raggiungimento di un accordo.

Netanyahu, che, secondo Korniychuk, ha accettato l’onere ed onore ricevuto dal collega ucraino, spiegandogli che avrebbe fatto “del suo meglio” per persuadere il presidente russo, è stato raggiunto per una ragione specifica: è correligionario di Zelensky, ovvero è di fede ebraica. E di un possibile asse per la pace ucraino-israeliano, foggiato giust’appunto sul fattore giudaismo, si erano fatte illazioni già nel 2019 – quando l’Ucraina era divenuta il secondo Paese al mondo, dopo Israele, ad avere sia un presidente sia un primo ministro (Volodymyr Groysman) di fede ebraica. Le due diplomazie avevano preso contatti, consapevoli dell’irripetibile opportunità, ma senza che si concretasse alcun asse Kiev-Gerusalemme proteso verso Donbass e Mosca.

Il rinnovato tentativo di Zelensky di fare leva sulla comunanza religiosa con Netanyahu, nonché il più rilucente intento di coinvolgere il Vaticano, sono la prova corroborante dell’influenza sempreverde esercitata dal sacro nelle relazioni internazionali. Perché dove non arrivano il machiavellismo e il pessimismo antropologico dello statista, potrebbero riuscire i chierici-diplomatici formatisi all’ombra di chiese e sinagoghe.

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