Joe Biden ha chiamato Vladimir Putin nella giornata del 13 aprile, in quello che è stato descritto come un apparente tentativo di seppellire l’ascia di guerra e tentare il disgelo. Il presidente statunitense, invero, dopo aver alimentato un’escalazione a mezzo di azioni militari (la mobilitazione navale nel Mar Nero) e diplomatiche (le pressioni sugli alleati europei e non affinché non acquistino lo Sputnik V), nonché di impiego di retorica reaganiana (la demonizzazione di Putin), ha voluto raggiungere telefonicamente l’omologo russo con l’obiettivo di proporgli un incontro chiarificatore.

La domanda è lecita: che cosa sta accadendo? Biden è stato descritto come un politico prevedibile e la cui visione del mondo manichea non ammette eccezioni alla regola del contenimento ad infinitum del Cremlino, ma queste caratteristiche non collidono con quanto accaduto? E qual è stato il motivo conduttore della telefonata: bandiera bianca o temporeggiamento tattico? La realtà è che la chiamata è molto meno sorprendente di quanto la stampa generalista voglia far credere e veicolare, perché riflette alla perfezione il modus operandi di Biden, e quanto successo nei due giorni successivi ne è la dimostrazione: nuove sanzioni e la proclamazione dello stato di emergenza nazionale.

Di cosa si è parlato

Era dal 26 gennaio che l’inquilino della Casa Bianca e il capo del Cremlino non parlavano al telefono. Quel giorno, come da pronostico, i due avevano discusso del prolungamento del trattato Start e di mantenimento del dialogo cooperativo su tematiche di interesse comune, come pandemia e cambiamento climatico.

Il 13 aprile, però, la telefonata è stata focalizzata su altre tematiche e, soprattutto, è stata improvvisa e ha irrotto nella quotidianità come un fulmine a ciel sereno. Nessuno, o quasi, si sarebbe atteso una nuova chiamata tra Putin e Biden, meno che mai su iniziativa di quest’ultimo. Ma di cosa si è discusso? Secondo quanto si apprende dal sito ufficiale della Casa Bianca, i presidenti hanno parlato “di una serie di questioni regionali e globali, inclusa l’intenzione di Stati Uniti e Russia di perseguire un dialogo di stabilità strategica su una gamma di tematiche [relative a] sicurezza e controllo degli armamenti”. Nello specifico, le parti hanno parlato di Donbass, Afghanistan, sicurezza cibernetica, corsa alle armi, programma nucleare iraniano e altro ancora.

Biden, si legge ancora, “ha riaffermato come il suo obiettivo sia la costruzione di una relazione prevedibile e stabile con la Russia […] e proposto un vertice in un Paese terzo nei prossimi mesi per discutere della vasta gamma di problemi con cui si confrontano gli Stati Uniti e la Russia”. A fare da sfondo alla chiamata, poi, l’inatteso annullamento del dispiegamento di due navi da guerra nel Mar Nero, in programma dal 14 aprile al 4 maggio.

Il verdetto della stampa generalista e degli analisti più spaesati è stato tanto celere quanto unanime: Biden avrebbe sventolato bandiera bianca e avanzato neanche troppo tacitamente un mea maxima culpa per l’escalazione dell’ultimo trimestre, da qui la richiesta al Cremlino di un incontro chiarificatore. Fine della storia e fine della nuova guerra fredda? No: tentativo di concordare una tregua tattica nell’attesa che cominci una nuova fase. Un’ipotesi, la nostra, che ha trovato riscontro due giorni dopo, il 15, quando Putin ha declinato (per ora) l’invito, perché bramoso di giocare secondo nuove regole – stavolta dettate da Mosca (e Pechino) –, e l’amministrazione Biden, come se la telefonata non avesse mai avuto luogo, ha imposto un esteso pacchetto sanzionatorio contro la Russia – il più rigido da tre anni a questa parte.

Nessuno aveva fatto attenzione ai dettagli

Gli stralci del riepilogo della telefonata riportati nel paragrafo di cui sopra erano incompleti, ergo distorsivi e falsanti, e non è da escludere che i più si fossero soffermati proprio su di loro, tralasciando e ignorando tutto il resto. Perché Biden “ha esplicitato che gli Stati Uniti agiranno con fermezza nella difesa dei loro interessi nazionali, in risposta alle azioni della Russia come le intrusioni cibernetiche e le interferenze elettorali, […] e ha enfatizzato l’impegno incrollabile degli Stati Uniti ai fini dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina”.

Ultimo ma assolutamente non meno importante, Biden ha, sì, proposto l’allestimento di una bilaterale all’omologo russo, possibilmente in una nazione terza e neutrale, ma specificando che la relazione “stabile e prevedibile” di cui si sta (erroneamente) decantando dovrà essere “in linea con gli interessi degli Stati Uniti” (consistent with U.S. interests).

Spiegato altrimenti, Biden, appunto perché prevedibile e abituato a giocare secondo regole predeterminate, ha invitato l’omologo a ponderare una prosecuzione “controllata” delle ostilità e, soprattutto, non ha sventolato bandiera bianca né ceduto dinanzi allo spettro di una guerra su larga scala in Ucraina. Perché il longevo padrino dei Dem non ha parlato di costruire un rapporto equo, cioè che soddisfi reciprocamente ed in egual misura gli interessi di ambedue le potenze, ma ha reso chiara la propria volizione con quel “consistent with U.S. interests”: una relazione modellata secondo i dettami e i criteri imposti da Washington per Washington e Mosca.

Una cordiale richiesta di seppellire l’ascia di guerra? No. Biden non ha chiamato per concordare i termini di una pacificazione. Ha chiesto una tregua temporanea, una cosa di gran lunga differente, nell’attesa di capire in che modo formulare la politica estera dell’America post-trumpiana e concepire il doppio contenimento nei confronti di Russia e Cina, sino ad oggi rivelatosi controproducente. Una volta compresa l’inefficacia dei piccoli olocausti offerti alla controparte, ossia l’annullamento dell’invio delle navi da guerra nel Mar Nero e il disinnescamento della crisi nel Donbass, l’amministrazione Biden ha tirato nuovamente fuori gli artigli: un pacchetto di sanzioni ampio e pesante.

Era possibile comprendere in anticipo che la telefonata non avrebbe dato luogo ad alcuna normalizzazione? Sì. Gli analisti occidentali avrebbero dovuto volgere lo sguardo ad Est, verso la Russia, per vedere il modo in cui la notizia era stata coperta dai media ufficiosi del Cremlino. RussiaToday, ad esempio, aveva scritto una disamina piuttosto critica dell’evento, dubitando delle intenzioni samaritane della Casa Bianca e rammentando ai lettori come la chiamata fosse avvenuta sullo sfondo della crisi tra Donbass e Mar Nero e degli attacchi verbali all’indirizzo di Putin; perciò il sentimento predominante nelle stanze dei bottoni russe sarebbe stato lo scetticismo.

Le nuove sanzioni contro il Cremlino

Coesistenza competitiva o confronto? L’amministrazione Biden sembra aver scelto indubbiamente la seconda. Nonostante gli apparenti tentativi di seppellire l’ascia di guerra, la presidenza statunitense, nel pomeriggio del 15, ha dato seguito alle indiscrezioni filtrate da Politico nei giorni scorsi relative all’implementazione di un nuovo ciclo di sanzioni. Il motivo? I Democratici continuano a pensare che Mosca abbia interferito nelle elezioni statunitensi del 2016, e dello scorso novembre, a sostegno del candidato repubblicano Donald Trump; e per questo, secondo l’amministrazione Biden, la Russia dovrà pagare.

Inoltre, i funzionari americani sostengono che gli hacker russi siano responsabili del massiccio attacco informatico che l’anno scorso ha preso di mira numerose entità e società del governo federale degli Stati Uniti. Secondo quanto riferito, gli hacker di Mosca avrebbero utilizzato il software SolarWinds per installare malware e altri programmi dannosi. Nelle scorse settimane, alcuni funzionari degli Stati Uniti avevano riferito al New York Times che l’amministrazione Biden starebbe pianificando un contrattacco cyber molto duro: il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha spiegato che la risposta statunitense alle interferenze russe sarebbe stata “sia visibile che invisibile“; una frase che ha sollevato ulteriori domande da parte degli esperti.

Secondo Jamil Jaffer, vicepresidente senior della società IronNet Cybersecurity, l’intrusione russa è stata così diffusa, ed è penetrata profondamente in così tante reti, che Washington sarebbe stata costretta a rispondere molto duramente. L’esperto ha spiegato a Politico che gli Stati Uniti dovrebbero anche essere pronti a rispondere con una seria campagna pubblica da parte dei militari o della comunità di spionaggio se Mosca minacciasse di andare oltre. Un confronto su più fronti, dunque, quello deciso dall’amministrazione a stelle e strisce: Ucraina, pressione internazionale sull’oppositore Aleksei Navalny, nuove sanzioni e contrattacchi cyber.

Ma che cosa prevedono le nuove sanzioni introdotte dall’amministrazione Biden? Trattasi, come già preannunciato, del pacchetto più rigido ed esteso formulato negli ultimi tre anni e la seguente è la sua composizione:

  • Divieto alle istituzioni finanziarie statunitensi di acquistare titoli di stato governativi russi emessi dalla Banca centrale russa, dal Fondo sovrano e dal Ministero delle Finanze a partire dal 14 giugno.
  • Espulsione di dieci diplomatici dell’ambasciata russa a Washington.
  • Congelamento di beni e divieto di ingresso negli Stati Uniti per trentadue soggetti (sia individui sia compagnie) ritenuti responsabili dei tentativi di interferenza elettorale del 2020 ed altre azioni disinformative e disturbanti. Fra i sanzionati figura Yevgeniy Prigozhin, il punto di collegamento tra Cremlino e Gruppo Wagner, che di recente è stato inserito nell’elenco dei ricercati della FBI.
  • Sanzioni nei confronti di tre ditte edili coinvolte nella costruzione del ponte di Crimea e cinque ufficiali governativi crimeani, incluso il direttore regionale del FSB.
  • Sanzioni nei confronti di sei compagnie appartenenti all’industria dell’alta tecnologia, in quanto reputate prossime al Ministero della Difesa della Russia e coinvolte nello “sviluppo di strumenti e infrastrutture che facilitano attività cibernetiche malevoli”.
  • Il servizio segreto russo per l’estero, SVR, viene formalmente accusato di essere dietro l’attacco cibernetico SolarWinds.
  • Agli affaristi e alle imprese statunitensi viene vietata la conduzione di ogni tipo di transazione e negozio con coloro che compaiono nel pacchetto sanzionatorio.
  • Viene proclamata, a mezzo di ordine esecutivo, un'”emergenza nazionale”; una situazione imputata “a dannose attività del governo della Federazione russa” che minacciano “la sicurezza nazionale, la politica estera e l’economia degli Stati Uniti”.

Cosa succede adesso?

La Russia, come abbiamo spiegato più volte sulle nostre colonne, ha mostrato e dimostrato innumerevoli volte di non essere interessata ad un aumento delle tensioni, ragion per cui propende verso l’adozione di reazioni rispondenti alla logica dell’asimmetria al ribasso. Il funzionamento di suddetto modus operandi è il seguente: espulsione per espulsione, quanto si tratta di ritorsioni diplomatiche, e non è raro che all’impiego di contro-sanzioni a detrimento dei grandi privati occidentali venga preferita l’indifferenza.

Le sanzioni annunciate dall’amministrazione Biden non sono in contraddizione con la chiamata del 13, ne sono il complemento perfetto. Gli Stati Uniti non ritrattano l’invito, ma tentano di giungere all’incontro se mai ci sarà da una posizione di forza: realpolitik allo stato puro. Inoltre, le misure vanno lette anche in un’ottica di politica interna: Trump aveva centrato la propria campagna elettorale sulla Cina, ma Biden sulla Russia, ergo il suo elettorato non può che essere stuzzicato attraverso un certo tipo di condotta. Lunaticità, dunque? No, coerenza.

Venendo al pacchetto punitivo, queste sanzioni gettano le fondamenta per l’adozione di misure straordinarie (dato lo stato di emergenza nazionale) e per un’intromissione diretta e coartata nel confronto egemonico delle agenzie di intelligence, da qui il mirino contro SVR e FSB. In determinati settori (come la  cantieristica autostradale) sono più simboliche che performative (per via dei legami scarsi o assenti tra i sanzionati e l’Occidente) e in due casi particolari sono realmente significative: difesa e bond governativi.

Le sanzioni contro le compagnie russe coinvolte in tecnologia e difesa potrebbero suggerire che gli Stati Uniti stiano tentando di dar luogo ad un regime sanzionatorio somigliante a quello iraniano, ergo in grado di inibire la crescita dei settori strategici a mezzo della loro esclusione pressoché totale dal mercato occidentale. Trattasi, comunque, di un meccanismo aggirabile da parte russa attraverso lo stabilimento di collaborazioni con potenze militari non occidentali.

Il duplice obiettivo del divieto di acquisto dei titoli di stato governativi è tanto lapalissiano quanto altero: disaccoppiamento finanziario e limitazione della capacità di Mosca di utilizzare i mercati finanziari internazionali ai fini dell’attrazione e della raccolta di denaro. Non è da escludere che gli alleati europei vengano “invitati” ad accodarsi, perché il regime sanzionatorio è valido e deleterio fintanto che supportato dall’Unione Europea, e che la mossa possa spianare la strada all’esclusione del Cremlino dallo SWIFT; eventualità, quest’ultima, alla quale le autorità russe sono pronte dal 2015, anno della nascita del sistema di pagamento Mir.

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