Visegrad  è una delle parole entrate nel vocabolario politologico continentale. Il “gruppo di sovranisti”, l'”insieme delle nazioni che non vogliono ospitare migranti”, coloro che “hanno intenzione di destrutturare l’Unione europea dall’interno”. Questi sono solo alcuni degli adagi che è possibile ascoltare o leggere di questi tempi.

L’attenzione è tutta orientata alle prossime elezioni per il Parlamento europeo. I partiti che sostengono il patto sottoscritto nella città ungherese durante il 1991 dovrebbero sbancare nelle loro rispettive nazioni. In Ungheria, il consenso di Viktor Orban sommato a quello di Jobbik, che tanto unioneuropeista non è, potrebbe arrivare attorno al 65%. Giusto per dare un’idea del fenomeno in questione.

Certo, l’Ungheria fino a poco tempo fa era considerata alla stregua di  unicum sovranista assieme agli altri contraenti dell’alleanza: Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Ma la situazione oggi è cambiata. Il dibattito, adesso, è esteso alle possibili contiguità programmatiche tra il gruppo di  Visegràd e i cosiddetti “movimenti populisti” vittoriosi e/o in ascesa negli altri paesi dell’Ue. 

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L’idea promossa da questi attori politici, soprattutto dalla Slovacchia, è quella di costituire un secondo “gruppo Visegràd” con una finalità diversa: non più solo quella di consolidare la comune visione sovranista tra queste quattro nazioni, ma aprire anche un dibattito con tutti quei Paesi a maggioranza critica all’Unione europea per così com’è strutturata oggi.

Gli obiettivi dichiarati sono: una “Europa forte”, la difesa delle frontiere comunitarie, il far sì che le istituzioni europee riconoscano il ruolo del V4 in ogni discussione sulle prospettive dell’Europa e la difesa del modello che sta portando i contraenti del patto in vetta alle classifiche riguardanti la crescita economica. 

Tra meno di un mese inizia il semestre austriaco. È chiaro a tutti che il governo popolar – sovranista guidato da Sebastian Kurz viene considerato un alleato potenziale di Orban &Co. Il giovane Cancelliere vorrebbe che l’Austria divenisse l’anello di congiunzione tra Visegrad e il resto dell’Unione europea. Per sua stessa ammissione, Kurz ritiene necessario che le tensioni tra l’Est e l’Ovest Europa si allentino.

Sullo sfondo, manco a dirlo, c’è la battaglia per l’identità nazionale, quindi quella contro la proliferazione nel vecchio continente di un modello sempre più multietnico e sempre più  multiculturale. Le istituzioni sovranazionali europee hanno contestato le restrizioni del gruppo di Visegrad  sulle politiche migratorie. Polonia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca ritengono indispensabile che la loro indisponibilità all’accoglienza rimanga tale, ma esiste lo strumento delle sanzioni. 

Per questo diverrà necessario constatare la presenza di sponde a ovest dell’Unione europea. Kurz è pronto a costruire un’asse con il governo gialloverde italiano, con Visegrad  e con il ministro dell’Interno tedesco. Su quest’ultimo converrà soffermarsi dopo e in modo più dettagliato.  

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Visegrad, avevamo accennato, ha la necessità di evitare che la contrattazione con l’Unione europea diventi tanto burrascosa da compromettere la crescita economica. Viktor Orban, che di questa alleanza è il leader mediatico e carismatico, rimane nel Ppe, scelta che ai popolari europei fa parecchio comodo, specie considerando i seggi che porta in dote ogni volta, ma guarda anche altrove.

Ai suoi simpatizzanti italiani, per esempio, ma anche al risultato di  Marine Lepen, a quello del belga  Geert Wilders e a quello di  Alice Weidel con la sua Alternative für Deutschland. Il vento populista continua a spirare e la buona affermazione di questi partiti tra un anno è abbastanza prevedibile.

Tra i poteri che il Parlamento europeo ha, c’è quello di designare il presidente della Commissione. Pronosticare una maggioranza populista a Bruxelles non è più fantapolitica.

Poi c’è Horst Seehofer, potentissimo ministro dell’Interno tedesco, che non ha mai fatto mistero di simpatizzare per le politiche di Orban e alleati. Il leader della  Csu è divenuto un personaggio centrale della politica teutonica. Non sono in pochi a scommettere sul fatto che, presto o tardi, Seehofer si separerà dalla Cdu per dare vita, magari alleandosi proprio con la Weidel, a una versione tutta germanica del populismo. L’opinione del bavarese sull’accoglienza dei rifugiati si differenzia dalla linea migrazionista di Angela Merkel. Proprio sulla gestione dei  migranti sta traballando la tenuta del governo di grossa – coalizione. 

Non ci sarà più l’Ukip di Nigel Farage. Il partito ha raggiunto il suo scopo con la Brexit e, dopo l’addio del suo storico leader, è sparito dalle urne elettorali. L’assenza inglese, però, potrebbe essere colmata dal MoVimento 5 Stelle nel caso in cui Luigi Di Maio, una volta sposata la linea leghista, decidesse di sposare il progetto di un “secondo gruppo Visegràd”. Questa sì, è fantapolitica,  ma nella frizione sul caso Aquarius è possibile intravedere tutti gli albori di questo scenario. 

Bisogna capire, infine, se le esigenze dei populisti dell’Ovest coincideranno con quelle dei sovranisti dell’Est. Anche questo caso, come quello dell’internazionale sovranista di Steve Bannon, sembrano esistere contraddizioni. Quella sul ripristino della sovranità nazionale è una battaglia che può essere fatta, in modo comunitario, fuori dai propri confini? Un osservatore interessato, intanto, sbircia dal binocolo in direzione di questi possibili accadimenti: Vladimir Putin.

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