Una partita a scacchi dove si è deciso di rompere un equilibrio che da mesi creava molti grattacapi alla diplomazia italiana. Si può riassumere così la nomina di Giuseppe Maria Buccino Grimaldi quale nuovo ambasciatore a Tripoli. La diatriba sul nuovo numero uno della missione diplomatica italiana in Libia nasce lo scorso 10 agosto con il richiamo di Giuseppe Perrone. L’ambasciatore, dopo alcune dichiarazioni rese ad una tv libica, inizia ad essere considerato “persona non gradita” da Khalifa Haftar e dal parlamento di Tobruk. Anche nella stessa Tripoli emergono alcune rimostranze alle dichiarazioni di Perrone, per cui la Farnesina lo richiama a Roma. Ufficialmente per motivi di sicurezza.

Nel frattempo nella capitale libica iniziano furiosi scontri, la situazione torna nuovamente in una fase di stallo sia diplomatico che militare. L’Italia prova intanto a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore nella sua ex colonia, iniziando una strategia cosiddetta “inclusiva” che mira al dialogo anche con Haftar e non solo con le autorità di Tripoli.

Roma riesce a mettere in piedi il vertice di Palermo, ma rimane in ballo anche una grave anomalia: l’Italia è senza rappresentante in Libia. Sia da Tripoli che da Bengasi questa è una circostanza che viene fatta presente al governo di Giuseppe Conte. Nel frattempo la polemica sembra placarsi. Lo stesso generale Haftar, che ha avviato le rimostranze come Perrone, afferma che l’ambasciatore non è più persona non gradita.

Da ambienti vicini all’uomo forte della Cirenaica trapela come, al contrario, Perrone viene visto adesso come l’unico in grado di poter mediare. La commissione Difesa del parlamento di Tobruk giudica l’ambasciatore italiano in maniera molto positiva, riconoscendogli il fatto di aver intuito l’importanza dell’unificazione dell’esercito libico. Circostanza questa su cui punta molto Haftar. Ed il generale, come dichiarato da alcuni deputati libici, avrebbe dato per certo un imminente reintegro di Perrone a Tripoli.

Il ritorno di Perrone in Libia, dopo il vertice di Palermo e l’incontro tra Conte ed Haftar, sembra cosa fatta. E invece mercoledì pomeriggio arriva l’ufficialità di un altro ritorno, quasi del tutto inatteso: quello di Buccino Grimaldi.

Il braccio di ferro nel governo italiano

Cosa è successo in questo frangente dunque? Come si legge su La Stampa, la non decisione dei mesi precedenti su Perrone è figlia di un braccio di ferro interno al governo. Salvini preme per il ritorno di Perrone, il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi invece vuole un’altra figura. Il titolare della Farnesina, in particolare, vorrebbe giocarsi le sue chance di incidere sul dossier libico. E Perrone viene visto troppo vicino al segretario leghista, che già è riuscito a mettere lo zampino sul rinnovo dei vertici della sicurezza.

Ma non solo: Enzo Moavero Milanesi sarebbe tra i papabili per avere un posto nella prossima commissione europea. Lo si vocifera da giorni ed il fatto che, come scritto su Libero, i deputati leghisti “giurano vendetta” promettendo il vero sul suo nome, lo confermerebbe. Buccino, all’interno della Farnesina, dal 2015 è direttore generale per l’Unione Europea. Dunque una personalità ben conosciuta a Bruxelles, la sua potrebbe essere una nomina volta a far aumentare le quotazioni dello stesso Moavero all’interno delle istituzioni comunitarie.

La nomina di Buccino inoltre, è avvenuta in un consiglio dei ministri dove Salvini è assente. Mentre a Palazzo Chigi approvano il rientro di Buccino a Tripoli, il segretario leghista visita i tunnel di Hezbollah in Israele. E pronuncia, soprattutto, le considerazioni sul partito sciita libanese che creano un certo imbarazzo a Roma per via della presenza italiana nel sud del paese dei cedri.

Piccoli dettagli che spingono a credere che Moavero, mercoledì pomeriggio, ha voluto forzare i tempi e togliere l’anomalia di un’Italia senza ambasciatore a Tripoli. E nel frattempo spedire, con nomina avvenuta all’interno dello stesso consiglio dei ministri, Perrone a Teheran. Scelte e nomine che si incrociano, in pomeriggi dove i principali protagonisti dello scenario politico italiano hanno provato, chi vincendo e chi perdendo, di muovere repentinamente le proprie pedine.

Come cambia la partita in Libia

La scelta di un ambasciatore non è mai priva di conseguenze internazionali. Innanzitutto sulle relazioni con il Paese in cui opererà il diplomatico. Ma ci sono anche delle evidenti ripercussioni sui rapporti con tutti gli Stati coinvolti in un determinato Paese o in una specifica crisi, quale può essere appunto la transizione libica o il programma nucleare iraniano.

La scelta di Buccino in Libia così come di Perrone in Iran è un segnale importante non solo dal punto di vista interno, ma anche internazionale. Come spiegato in precedenza, un ambasciatore rappresenta prima di tutto un’agenda politica interna. Di conseguenza, rappresenta anche il programma che vuole avere un determinato governo nei rapporti con le varie parti interessate a quel Paese. E Tripoli e Teheran, in questo momento storico, sono forse le due capitali più complicate per i rapporti di forza fra fazioni interne e potenza esterne.

La designazione di Buccino a Tripoli è innanzitutto una scelta che va in una direzione non particolarmente affine a quanto previsto da Conte e da Salvini. Il che significa che questa designazione ha già una sua connotazione di rottura rispetto agli schemi costruiti dall’esecutivo giallo-verde. Il ritorno in Libia di un uomo come Buccino, già presente a Tripoli nella fase post-caduta di Muhammar Gheddafi, è un segnale chiaro da parte della Farnesina.

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L’idea è che agli Esteri non abbiano voluto marcare troppo la differenza rospetto ai predecessori. C’è un segnale di continuità con gli anni della guerra civile che contraddice per certi versi quanto fatto in questi mesi da Conte sul fronte libico. E soprattutto, che non abbiano voluto inviare un segnale di sfida nei confronti dei partner europei. Perrone non piaceva alla Francia, nostra potenza rivale in Nord Africa. E almeno in una prima fase, il fatto che non piacesse ad Haftar era anche il segnale di come Parigi avesse ancora un peso fondamentale nelle scelte del Maresciallo libico.

La nomina quindi non può essere considerata un ritorno alle origini, ma sicuramente un messaggio di ricomposizione delle forti divergenze con Parigi sulla Libia. Buccino è un uomo profondamente legato a Tripoli. Tanto è vero che il deputato Al Saidi, ai nostri microfoni, arriva anche a mettere in discussione i rapporti tra l’est della Libia e Roma.

Una doccia fredda che significa un riassestamento a Occidente, sia in Libia che nel mondo? Non del tutto. Ma significa un riequilibrio dei rapporti fra Roma e le diverse fazioni e potenze a esse legate. Lo scontro con la Francia, che aveva in Perrone uno dei grandi nodi da sciogliere, si è appianato. E da Washington probabilmente è arrivato il placet. Perché alla Casa Bianca non è mai piaciuto l’eccessivo scontro fra Roma e Parigi, visto che avrebbe leso la strategia americana, da sempre improntata a un mantenimento di una sorta di caos controllato. Con la Russia a guardare interessata ai rapporti strategici con l’Italia in Libia, specialmente sul fronte del gas.

La partita di Perrone in Iran

Se la scelta di Buccino appare una decisione di Moavero per riprendere il controllo della Libia da parte degli Esteri evitando uno scontro con la Francia e con l’Unione europea, la designazione di Perrone in Iran appare altrettanto interessante. Perrone è un esperto di Africa settentrionale e Medio Oriente. Ha seguito i principali dossier mediorientali da quando ha iniziato la carriera diplomatica. E sia negli Stati Uniti (all’interno dell’ambasciata italiana) che in Italia negli uffici della Presidenza della Repubblica, ha approfondito e gestito molti affari che riguardano le aree di crisi nella regione fra Africa, Asia ed Europa.

Un’esperienza che servirà tantissimo in un contesto complesso e molto articolato come quello dell’attuale Iran, visto che l’Italia si ritrova a essere partner importantissimo di Teheran in Europa, ma anche alleato strategico degli Stati Uniti. E le due cose, con l’avvento di Donald Trump, contrastano in maniera totale. Lo hanno dimostrato anche le ultime parole dell’inviato Usa Brian Hook sull’Italia e sull’esenzione dal rispetto delle sanzioni.

“Abbiamo concesso alcuni waiver e il prezzo del petrolio è sceso. Noi pensiamo che nel 2019 l’offerta supererà la domanda. Ciò ci mette in una posizione molto migliore per accelerare la strada verso zero importazioni di greggio iraniano. L’80% dei ricavi del regime viene dalle esportazioni di petrolio. Se vuoi essere serio nella deterrenza di questo Stato, primo sponsor mondiale del terrorismo, devi colpire i soldi, e ciò significa il greggio”, ha spiegato Hook a La Stampa. Che poi ha aggiunto: “Nel prossimo futuro vedremo meno petrolio sul mercato, e non intendiamo offrire esenzioni, perché è molto importante negare al regime le risorse che usa per destabilizzare il Medio Oriente, e mettere pressione affinché torni al tavolo negoziale per ottenere un nuovo accordo migliore”.

Quindi Perrone si trova in questo pericoloso scontro fra interessi nazionali. Da una parte l’asse con gli Stati Uniti, dall’altra la salvaguardia degli interessi economici, imprenditoriali e politici che legano Roma a Teheran. E il fatto che esista un legame quantomeno politico fra Perrone e Salvini, che ultimamente ha mostrato una profonda sinergia con Trump e Benjamin Netanyahu, potrebbe anche voler dire che la Farnesina ha voluto mandare in Iran un uomo che conosce il Medio Oriente, che sa gestire le crisi, che sa mediare, ma che conosce bene soprattutto le dinamiche della strategia americana nella regione.





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