In cima alla lista delle telefonate da fare una volta entrato a Downing Street, per il nuovo primo ministro inglese c’era l’Eliseo.

I rapporti tra Francia e Gran Bretagna, negli ultimi anni, sono stati segnati da una certa conflittualità; ai tempi della negoziazione della Brexit, Macron vestiva il ruolo del “poliziotto cattivo” mentre Angela Merkel era quello “buono”. 

All’epoca c’era Theresa May, ma poi è stata la volta di Boris Johnson che, con i francesi, ha ingaggiato un braccio di ferro armato dai toni duri dell’allora Ministro dell’Interno, Priti Patel. Inflessibile sulle politiche migratorie, Patel ha contribuito ad aumentare le tensioni tra i due paesi lievitate fino alla scorsa estate, quando, l’ex premier Liz Truss ha scandito chiaramente: “La giuria ha già dato il responso per dire se Macron è un amico o un nemico”. E mentre lo diceva, davanti al suo trespolo, non stava sorridendo.

Oggi, dunque, la prima sfida per l’ultimo inquilino di Downing Street, Rishi Sunak, è quella di ammorbidire i toni e raggiungere il risultato: fermare il flusso incontenibile di sbarchi che dall’inizio di quest’anno ha portato sulle scogliere inglesi 38.000 migranti; per lo più salpati dalle coste francesi.

La telefonata tra Londra e Parigi

Un portavoce di Downing Street ci ha fatto sapere che la telefonata con Parigi, “amica e alleata”, ha affrontato vari temi in uno scambio di promesse e necessità. Dalla collaborazione sul piano energetico e sul nucleare, al nodo del controllo del canale della Manica. “Quella rotta deve essere chiusa a tutti i trafficanti di uomini”, chiarisce la fonte, ma per fare ciò, la collaborazione tra i due stati va rinsaldata.

Oggi il governo in carica ha tutta l’intenzione di cambiare registro siglando con i francesi un patto che preveda la presenza di  ufficiali di frontiera e forze di polizia inglesi sulle coste del nord della Francia per aumentare l’efficacia dell’azione congiunta. 

I francesi quest’anno avrebbero intercettato e bloccato circa 28.000 tentativi di attraversare il canale della Manica, un risultato pari al 42%, che riflette però un calo rispetto al 50% ottenuto lo scorso anno.

Il governo Johnson la scorsa estate aveva promesso alla Francia il pagamento di 54 milioni di Sterline per bloccare le partenze, ma era il 9 ottobre 2021 quando, il ministro degli Interni francese, Gerald Darmanin, dichiarava ad Associated Press che in realtà gli inglesi “non avevano ancora pagato un euro”. Ecco perché il nuovo esecutivo ora preferisce mandare direttamente personale in forze intervenendo direttamente sul numero di barconi bloccati alla partenza con un meccanismo premiale che cresce al diminuire delle barche in mare.

I voli per il Ruanda

Ciò che appare comunque chiaro è che le politiche di deterrenza studiate finora non hanno sortito alcun effetto. Il piano dei voli per trasferire in Ruanda i clandestini, lo scorso giugno, è precipitato davanti alla sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 

Non solo, di recente, la compagnia charter spagnola, con sede a Maiorca, che era stata ingaggiata per operare sulla tratta dalla Gran Bretagna all’est dell’Africa ha cancellato la sua disponibilità.

Oggi, al posto di Priti Patel c’è un’altra indiana e fervente sostenitrice della necessità di attuare i trasferimenti in Ruanda. Si tratta di Suella Braverman, l’ultimo ministro dell’Interno nominato da Sunak, che non ha mai fatto mistero del desiderio di far decollare quei voli quanto prima.

Nel frattempo, però, la situazione sull’isola sta diventando talmente esplosiva che, secondo fonti raccolte dal Times, qualcuno nelle sedi ufficiali avrebbe persino proposto di sistemare chi è in attesa di venire identificato ed eventualmente espulso, in tende piazzate nei parchi londinesi.

Naturalmente l’idea è stata presto accantonata, ma il problema resta. 

I centri di prima accoglienza al collasso

Gli hotel che accolgono chi arriva sui barconi stanno scoppiando, la popolazione che vive sulla costa è stanca e comincia ad avere paura, i migranti sfuggono al controllo e la linea dura di Suella Braverman sta portando al tracollo del sistema di prima accoglienza.

In questo momento in Gran Bretagna circa 70 alberghi stanno ospitando i richiedenti asilo ad un costo di 6,8 milioni di sterline al giorno.

 Nell’ultimo rimpasto di Liz Truss, quando Bravermann era stata costretta alle dimissioni, il suo breve successore, Grant Shapps, (ala più moderata dal partito), in sei giorni di attività aveva ottenuto la disponibilità ad aprire le porte di altri tre hotel, per dichiarata emergenza e per sgravare i centri come quello di Manston Airport.

In quella sede, i migranti appena sbarcati dovrebbero restare solo 24 ore. 

Ma non è così. C’è chi è rimasto intrappolato un mese in quell’hub il cui limite di capacità sarebbe di 1000 persone, mentre in ottobre si è arrivati a contarne almeno 3000.

Un gruppo di disperati buttati su materassini da campeggio, senza servizi igienici adeguati, nessuna pulizia, il cibo che passa il convento e una promiscuità che ha portato allo scoppio di epidemie, come quella più recente di difterite e scabbia. Naturalmente non sono mancate le denunce di violenza nei confronti dello staff.

“Ci sono più persone detenute qui che nelle prigioni del paese” ha commentato in tv Diana Johnson, della commissione degli affari interni.

Suella Braverman ora rischia anche una denuncia perché accusata  di aver bloccato il trasferimento di centinaia di persone detenute nel centro di Manston negli alberghi, per risparmiare soldi. Questo sarebbe accaduto durante le sue sei settimane di attività nel governo Truss.

Una bomba ad orologeria. 

La burocrazia

La lotta all’immigrazione nel Regno Unito si svolge su due fronti: quello del mare e quello della burocrazia.

Se nel primo caso, la risoluzione del problema sarebbe affidata alla capacità di mediazione con i francesi, sul fronte amministrativo, Sunak deve lavorare per ridurre i tempi per processare ogni singolo caso.

Al momento, in 117.945 sono in attesa di ottenere il diritto d’asilo; il numero più alto raggiunto negli ultimi 20 anni.

Persone che vivono nel limbo, sostenute dai servizi sociali del Paese, alloggiate in strutture al collasso con una prospettiva di vedere risolta la loro situazione in anni.

Nel limbo perché le regole sull’immigrazione prevedono che i richiedenti asilo siano autorizzati a cercarsi un lavoro solo dopo un anno di permanenza in Gran Bretagna, ma possono accedere solo ai posti nelle liste del collocamento riconosciute delle autorità per l’immigrazione.

Il piano di Sunak prevede una drastica riduzione dei tempi di analisi dei singoli casi: 8 su 10 devono essere ultimati nel prossimi 6 mesi con incentivi al lavoro degli ufficiali che devono portare a termine almeno 4 casi a settimana.

Intervistata da BBC Radio 4, Lucy Moreton, funzionario presso l’Immigration Services Union, ha fornito un quadro lucido dalla situazione. Dal momento in cui un caso viene posto all’attenzione degli uffici preposti passano almeno 480 giorni prima che si dia una definizione della situazione. Naturalmente, se viene rifiutato lo status di avente diritto all’asilo, esistono molte possibilità per fare ricorso e questo trascina la burocrazia avanti per anni, fino a otto. Quest’anno, ad oggi, solo il 4% dei casi di richiesta di asilo sarebbe stato esaminato dagli uffici preposti agli Interni.

Una manna per i migranti cosiddetti economici (si segnalano sempre più albanesi), che nel frattempo hanno tutto l’agio per restare qui pur non avendone i requisiti.

Una sfida, questa, che si somma alla crisi economica e di credibilità della Gran Bretagna che si sta esponendo ad una instabilità inedita e che rischia di far naufragare nel Canale della Manica tutti i sogni di gloria post Brexit.