È golpe “morbido” in Tunisia, il Paese culla della primavera araba del 2011 da mesi al centro di una profonda crisi economica, politica e sociale che potrebbe avere conseguenze anche in Italia. Insideover lo aveva previsto lo scorso maggio: l’inflessibile presidente della Repubblica, Kais Saied, alla fine ha davvero applicato l’articolo 80 della Costituzione, che consente al capo dello Stato di assumere il potere in caso di “pericolo imminente che minacci le istituzioni della nazione, la sicurezza o l’indipendenza del Paese, e che ostacoli il normale funzionamento dello Stato”. Con l’appoggio dei militari, il presidente “Robocop” – soprannome che ben si accosta al suo rigido stile da professore di diritto costituzionale – ha estromesso in un sol colpo i suoi principali rivali: il primo ministro Hichem Mechichi e il presidente del Parlamento e leader del partito islamico Ennahda, Rachid Ghannouchi. Poco prima del “colpo di Stato costituzionale”, le strade della capitale Tunisi – città a un’ora di volo da Roma e che (è bene ricordarlo) si trova più a nord di Pozzallo, il porto siciliano dove sbarcano i migranti – erano gremite di manifestanti inferociti per la pessima gestione della pandemia di Covid-19 da parte delle autorità.

Il Covid ha fatto traboccare il vaso

La crisi tunisina non è certo un fulmine a ciel sereno. Da gennaio, infatti, il Paese era paralizzato da una crisi politica dovuta alla “guerra delle tre presidenze”. Saied, infatti, si è sempre rifiutato di accettare un rimpasto di governo attuato da Mechichi con l’avallo di Ghannouci, leader del movimento islamico Ennahda, per far fuori gli uomini del presidente all’interno dell’esecutivo. Il presidente-professore si è messo di traverso, rifiutandosi di convocare la cerimonia di giuramento dei nuovi ministri, accusando quattro di loro di conflitto di interesse.

Come risultato, l’azione di governo è rimasta paralizzata per oltre sei mesi, la disoccupazione è schizzata al 18 per cento, la campagna di vaccinazione anti-Covid è stata un flop e la Tunisia è piombata in una quarta, violenta ondata di coronavirus che ha fatto collassare l’intero sistema sanitario. Il premier ha cercato di correre ai ripari licenziando il ministro della Sanità e scaricando la colpa su Saied: quest’ultimo, per tutta risposta, ha approfittato delle proteste di piazza per dare scacco matto al suo ex uomo di fiducia.

Il fallimento della rivoluzione dei gelsomini?

Secondo un leak del “Middle East Eye”, portale web edito a Londra considerato vicino alla Fratellanza musulmana, per rendere il colpo di Stato più “popolare” i pagamenti relativi a elettricità, acqua, telefono, internet, prestiti bancari e tasse verrebbero sospesi per 30 giorni e il prezzo dei beni di prima necessità e del carburante verrebbe tagliato del 20 percento. L’idea, in sostanza, è di instaurare una sorta di dittatura costituzionale per sbloccare uno stallo che dura da gennaio.

Ma Saied può davvero fare tutto questo? Di fatto si: la Corte costituzionale, l’unico organismo super partes sulla questione, non è mai stata completata e quindi nessuno ha l’autorevolezza per esprimersi al riguardo. Il parlamento in teoria non è stato sciolto, ma sospeso per trenta giorni. Al termine di questa scadenza, tuttavia, è difficile ipotizzare una serena ripresa dei lavori dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo. Il tempo dirà se Saied è un brillante statista o un aspirante dittatore. Sta di fatto che se domani si votasse stravincerebbe Abir Moussi, la leader del Partito dei costituzionalisti liberi (Pdl) che si rifà apertamente al passato regime di Zine el Abdine Ben Ali. I sondaggi, infatti, dicono quello che non si può dire nei salotti buoni della diplomazia internazionale: la rivoluzione dei gelsomini e più in generale l’Islam politico hanno fallito e la popolazione tunisina ha nostalgia del vecchio regime.