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Più il tempo si allontana da quelle ore frenetiche e convulse di venerdì sera, più nuovi dettagli e nuove sensazioni contribuiscono a diradare alcune delle tante nubi che circondano ed attorniano il tentativo di colpo di Stato operato in Turchia contro il presidente Recep Tayyip Erdogan.Per approfondire: Turchia, cinquant’anni di colpi di StatoIl mancato golpe appare come uno dei dilemmi più intricati della storia recente mediorientale, un evento che può essere letto sotto diverse interpretazioni ed in cui molti interrogativi possono trovare risposta fra molto tempo; intanto, ancora per qualche giorno o qualche settimana, le telecamere restano accese in quel di Istanbul ed Ankara, nel tentativo sia di ricostruire quanto accaduto la notte del 15 luglio e sia di immortalare quanto avviene in una Turchia scossa e frastornata.Pur tuttavia però, la Turchia non è soltanto Istanbul ed Ankara; quando accade un importante evento mediatico, per motivi logistici ed organizzativi, i riflettori si accendono quasi esclusivamente sulle capitali o sulle città più rappresentative di un determinato Paese: è accaduto così, per esempio, nel recente referendum sulla Brexit, in cui le tv di mezzo mondo riprendono una Londra che fischia coloro che hanno appoggiato il ‘Leave’ mentre l’esito della consultazione oltre ad essere diametralmente opposto alle percentuali riportate nella capitale inglese, è stato di fatto decretato dal voto espletato in provincia, nelle contee della Inghilterra profonda e lontana dai circuiti mediatici internazionali. La stessa cosa, in parte, si può dire del mancato golpe turco: sono state riprese numerose scene ed immagini tra le due principali metropoli del Paese, ma la sensazione è che un ruolo alquanto decisivo è stato giocato dalla provincia turca, da quelle aree rurali in cui è ancora forte il peso dei richiami degli imam, in cui la tradizione è elemento costante nella quotidianità della popolazione ed in cui il secolarismo delle aree metropolitane viene avvertito come grave minaccia.Per approfondire: Tutto quello che non torna sul golpeIn poche parole, questa è la Turchia più profonda che costituisce il bacino di voti più importante per Erdogan e per il suo AKP; mentre le telecamere venerdì sera riprendono camionette dell’esercito che camminano tra ali di folla festante ad Istanbul, nella provincia turca le parole di Erdogan in cui si invita a resistere ai militari hanno un peso enorme, iniziano a fare breccia e dalle zone rurali parte il contrassalto ai golpisti.

Secondo te Erdogan è ancora un partner affidabile per la Nato?
L’AKP nasce nel 1998 dalle ceneri di un altro partito islamista, il ‘Partito della Prosperità’, sciolto nel 1997 sotto la pressione di un esercito preoccupato per la deriva presa dal governo guidato da Necmettin Erbakat, giudicato attentatore alla laicità dello Stato; è quindi da 20 anni che nella società turca emerge in maniera molto forte la richiesta di considerare l’islam quale componente guida della vita politica del Paese, una richiesta proveniente soprattutto dalla provincia turca, la quale vede quindi in Erdogan l’artefice del cambiamento di prospettiva dello Stato turco nato da Mustafah Kemal. Nelle aree rurali turche, questo tipo di radicamento è presente comunque da molto tempo; non è un caso che l’esercito è dovuto intervenire quattro volte (cinque con il mancato golpe di venerdì) dal 1960 in poi per arginare le derive islamiste e conservare l’impianto laico della Repubblica nata dalle ceneri dell’impero ottomano e non è un caso che, dopo svariati colpi di Stato, dalla ‘pancia’ della società turca continuano ad emergere chiare spinte volte ad andare in contrapposizione al Kemalismo.Per approfondire: Assad: “Erdogan si è fatto il golpe da solo”Ecco perché dalle moschee per tutta la notte ha riecheggiato l’invito a combattere i golpisti, ecco perché la provincia turca, dopo l’iniziale smarrimento, ha iniziato a sostenere Erdogan specialmente dopo il suo discorso tenuto via FaceTime; si può quasi azzardare a parlare di contro golpe: dalle periferie di Istanbul ed Ankara e dalle campagne circostanti le grandi città, sono arrivati quegli islamisti capaci di fermare i carri armati e di attuare una caccia alle streghe che sta loro consentendo di essere principali attori protagonisti della resa dei conti del presidente contro i suoi nemici. Uno scenario che indubbiamente, già nelle prossime settimane, è destinato ad incidere profondamente nella futura impalcatura del ‘nuovo’ Stato turco nato dal fallito golpe.Ovviamente le contrapposizioni città/campagna e metropoli/provincia non solo le uniche in Turchia e non sono nemmeno così marcate e decise; del resto, lo stesso Erdogan ha iniziato la sua carriera politica come Sindaco di Istanbul, la città più ‘europea’ del paese e proprio da primo cittadino di questa megalopoli ha iniziato a mettere in discussione la natura laica dello Stato turco, affermando come essa non deve essere un dogma specie se non è sostenuta dalla maggioranza della popolazione. Indubbiamente però, il ruolo di quella provincia così fedele ad Erdogan e così insofferente ad un secolarismo visto come un elemento quasi imposto, specie nelle regioni più remote, è stato importante e determinante.Nei precedenti golpe della storia della Turchia, l’esercito è risultato spesso compatto e la popolazione ‘non metropolitana’ poco rappresentata; oggi l’esercito si è presentato disunito mentre la provincia è rimasta fedele ad Erdogan, un rapporto di forza che, se non essenziale per gli esiti di quanto accaduto venerdì notte, di sicuro è però uno degli elementi principali da tenere in considerazione.

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