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Gli ultimi sei mesi dell’era Obama sono destinati ad essere segnati da una spaccatura al vertice dell’amministrazione statunitense. Dall’altra parte dell’Oceano continuano infatti le polemiche sulla gestione della crisi siriana, dopo le critiche sollevate una settimana fa nella lettera firmata da 51 funzionari del dipartimento di Stato americano che chiedevano al presidente Obama di cambiare rotta e costringere Assad a scendere a patti con gli Stati Uniti attraverso “l’uso giudizioso di missili da crociera e raid aerei”, per poter finalmente acquisire la guida del processo di pace.Per approfondire: Senatore Usa: “Noi dietro il caos in Siria”Ma se nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione delle prime indiscrezioni sul documento nessuno, da Washington a Damasco, passando per Mosca, si era sbilanciato nel commentare, i toni hanno iniziato ad accendersi quando il segretario di Stato americano John Kerry si è pronunciato, qualche giorno fa, nel merito delle lamentele espresse dai diplomatici statunitensi tramite il “dissent channel”. Qualche giorno dopo la pubblicazione del memorandum, Kerry non ha esitato, infatti, a definirlo come “un testo molto buono”. E, secondo il New York Times, non poteva essere altrimenti, perché le stesse tesi contenute nel documento sarebbero state “propugnate per mesi alla Situation Room come allo Studio Ovale” proprio dallo stesso Kerry. Il segretario di Stato avrebbe, quindi, accettato di incontrare 8 dei 51 funzionari “dissidenti”. Durante il colloquio però, secondo i testimoni citati dal quotidiano statunitense, pur discutendo in modo “cordiale” le proposte dei funzionari, Kerry si sarebbe mostrato molto cauto e avrebbe  fatto “attenzione a non concordare mai apertamente con le posizioni espresse dai suoi interlocutori”. Se Kerry si è mostrato disponibile al dialogo, è stata stizzita, invece, la reazione del vice di Obama, il democratico Joe Biden, il quale, intervenendo in tv alla trasmissione Cbs This Morning, aveva notato come nel testo non ci fosse “una sola raccomandazione con una sola risposta concreta ad essa allegata, che spieghi come conseguire in concreto ciò di cui parlano”.Le reazioni a quello che è stato visto da molti come un endorsement di Kerry verso il contenuto del documento che critica la linea morbida di Obama nei confronti di Assad, sono arrivate anche da Mosca. Ai toni più o meno pacati del portavoce del Cremlino che, poche ore dopo la pubblicazione delle notizie relative al memorandum, si era limitato a chiarire ai partner d’Oltreoceano che qualsiasi iniziativa contro Assad avrebbe contribuito soltanto a “gettare ulteriormente la regione nel caos”, ha fatto seguito la posizione più dura, espressa dal portavoce del ministero della Difesa di Mosca, il generale Igor Konashenkov, secondo cui gli Stati Uniti dovranno assumersi la responsabilità di questi “bombardamenti”. E ieri, da Mosca, è intervenuta anche la portavoce del ministero degli Esteri. “Siamo scioccati e sorpresi dal fatto che i funzionari del dipartimento di Stato abbiano firmato una lettera in cui lo scenario militare di un attacco in Siria venga considerato come una soluzione da implementare per risolvere la crisi siriana”, ha detto Maria Zakharova nella giornata di mercoledì. “Tutti i formati internazionali impostati insieme agli Stati Uniti rifiutano l’opzione militare per risolvere la questione siriana, considerando come unica strada il dialogo politico”, ha ricordato, quindi, la portavoce del ministero degli Esteri russo. “L’uso della forza peggiorerà soltanto le cose”, ha concluso la Zakharova, “tutti abbiamo visto l’Iraq e la Libia, dove gli stessi Stati Uniti hanno ammesso di aver messo in atto delle politiche sbagliate”.Per approfondire: I reparti speciali occidentali in SiriaContro la posizione dei funzionari del dipartimento di Stato si è schierato anche il New York Times con un editoriale pubblicato giovedì. Pur giudicando legittima la “frustrazione” di molti diplomatici americani, il quotidiano ha sottolineato, lanciando un assist al presidente Obama, come i diplomatici non hanno fatto “un esempio di azione militare diretta degli Stati Uniti che non sia stata già considerata e saggiamente bocciata” dalla Casa Bianca.  Secondo il board editoriale del quotidiano statunitense, per quanto chirurgico e calibrato possa essere, non è esclusa la possibilità che un intervento militare americano in Siria possa condurre gli Stati Uniti ad “impantanarsi” ancora una volta nello scenario mediorientale o, ancor peggio, spingersi ad un confronto militare con la Russia. Per il New York Times mancherebbero, inoltre, totalmente, le basi legali per un intervento americano in Siria. E il quotidiano attacca pure chi crede che incoraggiando le potenze sunnite, come l’Arabia Saudita, ad aumentare il proprio sostegno economico e militare nei confronti dei ribelli anti-Assad, Putin possa rinunciare a sostenere Damasco. Mandare all’aria l’intesa sul cessate il fuoco, raggiunto grazie all’accordo tra Russia e Stati Uniti, e lasciare che i sauditi incrementino il loro appoggio agli alleati sul terreno, porterebbe soltanto ad “un nuovo bagno di sangue”. La situazione in Siria sta peggiorando ma, conclude il quotidiano, “un coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti contro Assad non è la risposta”.Ai vertici dell’amministrazione americana però si sta delineando chiaramente una spaccatura tra chi sostiene la linea del dialogo e i “falchi” che vogliono la linea dura. Quella dell’aumento delle forniture di armi ai ribelli anti-Assad, e dell’uso “giudizioso” dei missili da crociera contro il presidente siriano. E se la candidata democratica Hillary Clinton dovesse essere eletta come prossimo presidente degli Stati Uniti, non è difficile immaginare quale sarà, delle due linee, a prevalere. 

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