Quale prima potenza globale, gli Stati Uniti possedevano tutte le risorse per arginare l’epidemia quando le prime avvisaglie rendevano chiaro che dalla provincia cinese dell’Hubei, il virus Covid-19 avrebbe raggiunto l’Occidente, portando la morte e la devastazione dell’economia nell’America continentale. Tutto era stato annunciato, previsto, i report degli esperti erano sulla scrivania della Casa Bianca, gli studi sulla minaccia pubblicati a puntate sul New York Times e in esteso sui best-seller venduti in tutto il mondo. Se solo i tamponi per il virus – posseduti in grande quantità – fossero stati usati prima, tutto questo si sarebbe potuto evitare. Adesso invece gli Stati Uniti rischiano di superare in breve tempo i numeri di contagiati – e di morti – registrati in Cina, e diventare così il nuovo e principale focolaio mondiale.
Attualmente negli Stati Uniti sono stati registrati 55mila contagi e oltre 800 morti. Ma come riportano le lunghe analisi pubblicate da Alexis C. Mandrigal sulla rivista The Atlantic, i dati presentati dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) rivelano come “il governo abbia frainteso in modo drammatico ciò che stava accadendo in America all’inizio dell’epidemia”. E che questo “fraintendimento” ora rischi di tramutarsi in una catastrofe per gli americani. Nell’ultimo giorno di febbraio – quando in Italia, secondo focolaio mondiale, si registravano quasi mille casi – negli Stati Uniti il Cdc riferita di appena 15 americani risultati positivi al tampone per Covid-19: la malattia respiratoria acuta da Sars-CoV-2, nota come coronavirus.
Un numero sufficiente per diffondere l’epidemia su vasta scala, ma tutto sommato ancora “ridotto” e facile da tenere sotto controllo seguendo l’esempio di realtà come la Corea del Sud o come la stessa Italia. Ma la situazione non era esattamente quella. La verità era che “nessuno” poteva essere veramente certo di quanti americani fossero stati contagiati in quel momento, e di quanti siano davvero infetti ora. Se il numero dei positivi e dei ricoverati dovesse continuare a salire come le stime si attendono, la Casa Bianca deve prepararsi ad applicare misure draconiane per il contenimento: misure che isoleranno o peggio “fermeranno” il paese con conseguenze devastanti. Uno studio pubblicato nei giorni scorsi dall’Imperial College di Londra ha previsto che, se Washington non imporrà al più presto le misure di contenimento adeguate, “il coronavirus potrebbe uccidere oltre due milioni di americani nei prossimi mesi”. L’ironia della sorte vuole che appena un giorno dopo la pubblicazione dello studio, il principale relatore abbia mostrato i primi sintomi di febbre, risultato positivo al Covid-19: perché se le proiezioni non sono rassicuranti negli Usa, non sono migliori nel Regno Unito.
Ma davvero era possibile evitarlo? Secondo le prime analisi, infatti, “da quando Wuhan ha iniziato a registrare un amento dei contagi a dicembre, il governo degli Stati Uniti ha intrapreso solo azioni illogiche e inadeguate per fermare la diffusione del virus – ha vietato agli stranieri di entrare dalla Cina, ma ha monitorato in modo incoerente gli americani che tornavano dal paese”. Il presidente Donald Trump, forse sottovalutando quella minaccia che oggi ha ribattezzato “chinese virus“, ha inizialmente guardato con incredulità chiunque proponesse di “fermare” il Paese per evitare un’ondata di contagio, ma come la storia europea ci ha dimostrato, era perfettamente in linea con i suoi omologhi che nel Vecchio continente si palleggiavano tra allarmismi e inviti a mantenere la calma per tutelare lo status quo. Ora però, di fronte a quella che è già stata annunciata come “una catastrofe americana” che incrinerà anche la leadership di Trump – se il suo piano “bazooka” non sarà sufficiente a salvare l’America – viene evidenziato come Washington non abbia reagito in tempo, “testando” le persone nei primi focolai continentali (sembrerebbe Seattle) per isolare il virus.
Se i primi resoconti dagli Stati Uniti tratteggiavano le linea di un Paese pronto al peggio, che aveva “distribuito” i kit per i test ai cittadini e che poteva reagire velocemente, la verità vuole invece il contrario. Mentre il numero dei casi aumentava e i campioni di potenziali infetti si accumulavano, la Food and Drug Administration (organizzazione preposta tra l’altro alla valutazione dei primi vaccini in fase di sperimentazione per Covid-19) negava a ricercatori sparsi nel mondo di testarli, lasciando via libera al virus per annidarsi e diffondersi silenziosamente. La Fda avrebbe inoltre mantenuto – nonostante il rischio manifesto – un atteggiamento restio e “pernicioso” nella fase di test dei campioni, rendendo estremamente “lento” il processo – in completa controtendenza con la velocità alla quale si diffondeva il virus – affermano su The Atlantic.
“Ogni sei giorni in cui il paese non ha testato, ogni sei giorni in cui non ha agito, il numero di americani infetti è raddoppiato”, afferma Nahid Bhadelia, direttore medico della Special Pathogen Unit della Boston University School of Medicine e esperta in malattie infettive e pandemie, supervisore del programma di uno dei pochi laboratori autorizzati negli Usa a gestire agenti patogeni che causano Ebola, antrace e peste bubbonica. Oggi basta controllare sui siti che monitorano il numero dei contagi mondiali per attestarne la veridicità. “Se sai dove si trova la malattia all’inizio dell’epidemia, non hai alcuna speranza di contenerla” ha dichiarato la dottoressa, ribadendo l’importanza di fare test a tappeto fin dal riscontro dei primi casa per cercare di “arginare” il contagio. E senza test, sembra esserci solo un modo per valutare la gravità dell’epidemia: “contare i morti“.
Contare i morti di un’epidemia che già a gennaio vedeva un ricercatore come Trevor Bedford pubblicare un report sulla minaccia di diffusione del virus zoonotico che si era incubato in Cina. Un virus che sarebbe arrivato anche in America. “Quando questo mi è diventato chiaro, ho trascorso la settimana del 20 gennaio avvisando tutti i funzionari della sanità pubblica che conosco”. Il 23 gennaio, il governo cinese, che secondo alcuni avrebbe provato a nascondere l’entità dell’epidemia di Covid-19, “bloccò la città di Wuhan e a metà febbraio impose il blocco a 700 milioni di persone”. Allora però sia in Europa che in America il virus era visto come un problema asiatico. Alcuni lo banalizzavano come una “semplice influenza“. Alla fine di gennaio, quando Bedford iniziò a mettere in guardia i funzionari della sanità pubblica sulla base delle sue ipotesi, nessuno era abbastanza preoccupato per dargli credito. Il presidente Trump dichiarava: “Abbiamo tutto sotto controllo” – asserendo che il paziente 0 negli Stati Uniti era “una persona proveniente dalla Cina posta sotto controllo” e che sarebbe “andato tutto bene”. Il seguito avrebbe dimostrato che aveva torto, direbbe George Brassen. Di fronte ai giornalisti il presidente ha sempre affermato di non assumersi “nessuna responsabilità” riguardo gli eventi.
“Ogni sei giorni, il numero di persone infette raddoppia”, secondo le stime di Bedford e quelle di altri epidemiologi statunitensi che ora hanno ottenuto la completa attenzione di quel governo che prima si lasciava tranquillizzare dal numero ridotto di casi certificati. Ma se gli Stati Uniti hanno riscontrato un numero limitato di casi fino alle fine di febbraio, era solo perché “nessuno li stava cercando” denunciano gli epidemiologi che forse conoscevano anche il report redatto dall’Oms dal titolo poco rassicurante: “Un mondo a rischio”. “Ci siamo girati i pollici mentre il coronavirus si avvicinava”, aveva scritto William Hanage, un epidemiologo di Harvard, sul Washington Post. Ed evidentemente lui, come gli altri, aveva ragione.
“Seattle, all’1 di marzo, si trovava nella stessa condizione di Wuhan il primo giorno di gennaio” secondo le stime di Bedford. Le conclusioni di questa proiezione – se si mostrerà corretta – possiamo tirarle da soli. Adesso la Casa Bianca si trova di fronte ad una catastrofe su scala nazionale, e può solo applicare misure di contenimento, anche a costo di bloccare completamente la propria economia; dato che ormai il virus – ovunque sia nato e incubato – ha conquistato a tutti gli effetti il suolo degli Stati Uniti, e rischia di provocare decine di migliaia di vittime.