Sinistra radicale e conservatori duri e puri “alleati” contro l’accordo sul debito Usa. Questa la fotografia della nuova polarizzazione politica che è stata inaugurata dal voto al Congresso sul tetto al debito.
Nella scorsa settimana, lo ricordiamo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il leader della maggioranza repubblicana alla Camera Kevin McCarthy hanno scongiurato il rischio di una guerra totale sul debito e fugato il remoto spettro del default raggiungendo l’accordo sul tetto del deficit federale. Blindato ora fino al 31 dicembre 2024, quando ormai anche le prossime presidenziali saranno passate.
Repubblicani e democratici in versione bipartisan, ma non mancano le defezioni
La fredda conta numerica può lasciar pensare a un negoziato in discesa. Sia alla Camera a guida repubblicana che al Senato a controllo democratico la maggioranza con cui l’accordo sul rilancio del tetto del debito è passato è stata di circa due terzi, ben oltre la polarizzazione degli emicicli del Congresso.
314-117 la maggioranza alla Camera, 63-36 quella al Senato in un contesto che ha visto le ali più pragmatiche, centriste e moderate dei due partiti venire a patti. Il New York Times sintetizza i punti chiave del compromesso che vede i repubblicani “insistere su diversi cambiamenti politici, tra cui una minore spesa non militare; requisiti di lavoro nei programmi anti-povertà; meno finanziamenti per l’applicazione delle leggi fiscali; e l’approvazione di un gasdotto degli Appalachi. I Democratici hanno protetto i loro più grandi obiettivi politici, tra cui la recente legislazione sull’energia pulita, l’assistenza sanitaria e le infrastrutture”.
Decisiva, in quest’ottica, la presenza di McCarthy come Speaker della Camera e di Mitch McConnell, amico e interlocutore politico di lungo tempo di Biden, nel ruolo di leader della delegazione repubblicana al Senato. Ma proprio perché compromissorio, l’accordo ha suscitato malumori in una politica americana sempre più divisa.
Le diligenze dei due partiti sono assaltate dalle ali più radicali. Il Partito Repubblicano ha visto sul voto una conferma dell’ampia polarizzazione nel rapporto tra componente istituzionale e ala “movimentista”. I democratici emergere una fronda nella sinistra interna che Biden era riuscito, negli scorsi anni, a mantenere vicina con grandi compromessi.
Trump e DeSantis, partita a scacchi sul voto
In casa repubblicana, Donald Trump e Ron DeSantis hanno profondamente influito sul voto. The Donald è partito lungo: nelle scorse settimane ha provato a fissare la linea rossa di un durissimo contenimento della spesa pubblica come condizione a Biden. L’ex presidente Usa ha voluto alzare moltissimo il prezzo del negoziato per tutti. Per i dem, innanzitutto. Per McCarthy, suo storico sostenitore ai tempi della Casa Bianca, facendo sentire il peso della componente ultraconservatrice nel caucus repubblicano. E per i repubblicani più “mainstream”, così da ricordare loro che senza Trump la formazione non può decidere nulla.
Furbescamente, Trump si è poi mantenuto in silenzio dopo la chiusura dell’accordo. Ha lasciato parlare i suoi peones. Jim Jordan e Marjorie Taylor Greene, esponenti dell’ultralibertario Freedom Caucus che hanno ricevuto endorsement da Trump, hanno sorprendentemente votato a favore alla Camera. Mentre il trumpiano Eli Crane, ex incursore dei Navy Seal entrato al Congresso con un seggio in Arizona a gennaio e contestatore di McCarthy, ha dichiarato sardonico che “più democratici hanno votato per questa storica vittoria conservatrice” rispetto ai dem, dichiarandosi contrario parlando su una piattaforma tutt’altro che bipartisan: il programma “War Room” dell’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon.
Un Trump concavo e convesso al tempo stesso riesce ad avversare di fatto l’accordo pur mettendo le sue truppe nella schiera decisiva per sbloccarlo. Un atto acuto sul piano politico e che però farà sentire a McCarthy il fiato sul collo degli ultraconservatori. Il cui voto tornerà decisivo da qui al voto sul budget federale in autunno, un periodo durante cui si dovrà parlare di molti disegni di legge urgenti come il nuovo fondo per il Pentagono e la decisiva legge sull’agricoltura in cui molti Stati dell’America profonda a trazione repubblicana sperano di trovare stimoli fiscali finanziabili coi tagli alla spesa sociale dell’era Biden.
Chi ha criticato a testa bassa l’accordo è invece Ron DeSantis. Il governatore della Florida e candidato presidenziale sembra aver chiara la sua nuova strategia: porsi alla destra di Trump e dunque spingere in quella direzione la routine politica della corsa alla nomination presidenziale del 2024. Una sfida che passa anche con la volontà di presentarsi duro e puro nel confronto con i dem. I quali, a loro volta, non sono privi di divisioni.
La sinistra dem pungola Biden
Il giovane volto della sinistra democratica, Alexandria Ocasio-Cortez, ha duramente contestato un compromesso giudicato al ribasso per i motivi opposti rispetto alla componente ultraconservatrice del Grand Old Party. Per Aoc e gli ultra-progressisti dem il compromesso è al ribasso perché indurisce molte condizioni sul mercato del lavoro e l’assistenza sociale. La Ocasio si è dunque schierata tra i 117 contrari alla Camera.
Al voto della Ocasio ha fatto da contraltare, al Senato, l’analoga opposizione del veterano progressista Bernie Sanders al patto Biden-McCarthy. Inoltre, la deputata Pramila Jayapal, presidente del Congressional Progressive Caucus, ha elencato minuziosamente le disposizioni ritenute problematiche nell’accordo dalla sinistra, riprese da Rollcall: l’aumento delle spese militari incondizionato, la stretta sul welfare, l’aumento dei requisiti lavorativi per i programmi di assistenza sociale.
Anche tra chi ha votato a favore si sono visti malumori. Emanuel Cleaver, democratico del Missouri, ha sostenuto per disciplina di partito l’accordo definendolo però “un patto col Diavolo”. Insomma, la sfida politica aperta dal patto Biden-McCarthy è a tutto campo e anche in casa democratica, in vista del 2024, l’ala progressista vuole trovare un totem attorno cui compattarsi per fare pressione su Biden, a caccia del secondo mandato. E così come nel 2020, la sfida può essere quella di una dura spinta da sinistra per accelerare su giustizia climatica, politiche del lavoro, welfare. Dinamiche diametralmente opposte a quelle della destra repubblicana in una politica Usa che col voto sul debito si scopre, al tempo stesso, ancora capace di compromessi da un lato e ancora più soggetta a polarizzazioni agli estremi dall’altro.
