La strategia della dominanza energetica elaborata dall’amministrazione Trump funziona, a confermarlo è proprio il Dipartimento dell’Energia: l’anno scorso, per la prima volta in 67 anni, le esportazioni di beni energetici hanno superato le importazioni. È il segno che una transizione di portata storica è appena iniziata: la trasformazione degli Stati Uniti in una superpotenza energetica; le conseguenze saranno profondissime per la Russia, l’Arabia Saudita e gli altri protagonisti degli idrocarburi.

La svolta storica: boom di esportazioni

La transizione da uno stato di dipendenza da importazioni di idrocarburi ad uno di maggiore autosufficienza, con conseguente possibilità di esportare, è iniziata nel lontano 2008 grazie alla rivoluzione del gas ottenuto da argille (shale revolution), consentita dalla tecnica della fratturazione idraulica, che rivoluzionando il mondo della perforazione e dell’estrazione, ha consentito agli Stati Uniti di aumentare rapidamente le proprie capacità di produzione.

L’ascesa di Trump alla Casa Bianca e l’enfasi data alla questione energetica hanno quindi consolidato una tendenza già in atto, ma il cui esito era tutt’altro che prevedibile. La decisione di proseguire la guerra fredda con la Russia iniziata dal predecessore, Barack Obama, allargandola ai gasdotti e velocizzando la de-russificazione del mercato del gas europeo per mezzo di ricatti e pressioni, sfruttando l’ascendente esercitato dai paesi dell’alleanza Visegrad, ha giocato un ruolo chiave nel determinare il successo della strategia della dominanza strategica.

Così, mentre le esportazioni di gas naturale liquefatto statunitense nell’Unione Europea hanno registrato un boom, fra il 2018 ed il 2019 le vendite della Gazprom hanno registrato una riduzione complessiva del 27% in nove paesi balcanici. I casi più emblematici sono quelli di Grecia e Bulgaria, verso i quali le esportazioni hanno registrato una diminuzione rispettivamente del 12,7% e 17,4%.

Le esportazioni di gas naturale liquefatto sono in aumento costante da un decennio, ma l’entrata in scena di Trump e della sua dottrina della dominanza strategica hanno galvanizzato la tendenza in maniera significativa. Nel 2019 le esportazioni sono aumentate del 30% rispetto all’anno precedente, toccando quota 23.6 quadrilioni di unità termali britanniche, un record storico.

L’obiettivo di Trump è ambizioso: sfidare l’oligopolio a trazione russo-saudita sul quale si fonda il mercato energetico mondiale, aumentando le esportazioni in ogni regione del pianeta e sfidando i due paesi anche nei teatri di loro tradizionale dominio, ossia Medio oriente, Asia, Europa. È un modo per ridurre il deficit commerciale ed aumentare le entrate, ma anche per incrementare la propria proiezione di potere nel mondo, toccando un ambito, quello energetico, che è stato trascurato fino agli anni recenti.

Alla partita per il gas e per il petrolio è strettamente collegata la battaglia per l’uranio, annunciata nei giorni scorsi, che servirà tanto a rilanciare la produzione nazionale quanto ad utilizzare il nucleare come uno strumento di pressione geopolitico in chiave anti-russa e anti-cinese.

Uno status già acquisito

L’intromissione degli Stati Uniti nello scontro fra Mosca e Riad per il prezzo sul petrolio, pur avendo mancato l’obiettivo, ha voluto segnalare alle due potenze energetiche che il cambio di paradigma è in corso e che, d’ora in poi, si dovrà tenere in maggiore considerazione la posizione di Washington nella risoluzione di determinate controversie. È l’influente Atlantic Council a sostenere questa visione, evidenziando come la pandemia non potrà che accelerare ed esacerbare le tendenze maturate prima del suo scoppio.

La rivoluzione tecnologica che ha consentito alla Casa Bianca di lanciare la sfida ai capisaldi del mercato degli idrocarburi, ossia Mosca e Riad, è oggetto di crescente attenzione a Pechino, che nei prossimi anni potrebbe riuscire ad emanciparsi dalla condizione di importatore di energia grazie alla fratturazione idraulica. La volontà di irrompere nel panorama energetico è stata motivata da due interessi: uno di lungo termine, ossia la prospettiva di una Cina come futura potenza-guida nel gas e nel petrolio e la necessità di contrastarla in anticipo, ed uno di breve termine, ossia l’aumento delle pressioni sul Cremlino, per ridurne le entrate e quindi limitarne il raggio d’azione.

Per raggiungere i due obiettivi, gli Stati Uniti massimizzeranno le proprie capacità estrattive, ricorrendo in maniera sempre più frequente alla diplomazia della pressione per aumentare la propria esposizione nel mercato energetico dell’Unione Europea, nell’aspettativa di superare Riad e Mosca, in termini di produzione di gas e petrolio, entro la fine degli anni 2020.