La Russia sta interferendo nel processo democratico in vista delle elezioni di Bruxelles. È questa, ancora una volta, la denuncia degli apparati di sicurezza americani che lanciano l’allarme raccolto dal commissario alla Giustizia per l’Europa Vera Jourova. Citando i report del Federal Bureau of Investigation, l’agenzia governativa americana specializzata in reati federali e sicurezza interna, il commissario europeo ha affermato che ci sono chiari segnali che “sulle elezioni sono già iniziate le interferenze dei russi”. Questa sarebbe l’ennesima accusa lanciata nei confronti di Mosca, che potrebbe nuovamente cadere nel vuoto, soprattutto dopo il flop dell’inchiesta “Russiagate”.

Il commissario europeo per la Giustizia, Vera Jourova, ha recentemente lanciato un’allarme ufficiale sulla possibile ingerenza russa nelle prossime elezioni europee, che si terranno il 26 maggio, dopo essersi recata il mese scorso a Washington per discutere di questa minaccia incombente con i funzionari della Casa Bianca. Nei mesi scorsi gli Stati Uniti hanno lanciato già diversi moniti agli Stati europei, considerando l’Italia tra i paesi più soggetti al rischio di interferenza russa nelle elezioni politiche.

Secondo il capo dell’Fbi, Christopher Asher Wray, l’attività russa basata su una vasta campagna di disinformazione e influenza del voto, che mira a portare il consenso in partiti e movimenti che potrebbero destabilizzare l’Unione Europea, è “ripresa ovunque”; e queste elezioni di medio termine non sono altro che una “prova generale per il grande show del 2020” che si manifesterà per le presidenziali negli Stati Uniti. All’attenzione del Council on Foreign Relations, Wray ha affermato che “non si tratta di un pericolo legato solo ad un ciclo elettorale, ma una minaccia che dura 365 giorni l’anno”.

Ma è davvero una minaccia incombente questa “attività russa”, dato che non sembra preoccupare seriamente nessuno, al di fuori degli americani? Nonostante l’intelligence statunitense continui a guardare con grande attenzione al voto europeo di fine maggio, ritenendo che Mosca abbia l’interesse strategico di testare il suo apparato di “interferenza elettorale” con una doppia finalità – destabilizzare l’Europa al fine di avere una base più solida per influenzare le sue scelte in futuro, e tararsi al punto giusto per intraprendere una vera e propria “guerra” in occasione delle prossime presidenziali americane – in Europa sono pochi i governi che si stanno davvero “preoccupando” di queste interferenze.

Gli specialisti della cybersicurezza che lavorano per i servizi occidentali sostengono di aver già individuato tra 250 account di Twitter attivi in Francia, 100 in Germania, e 22 in Italia che fungerebbero da piattaforme per influenzare il voto del 26 maggio attraverso la diffusione di fake news  e il materiale associabile ad entità come la Internet Research Agency di San Pietroburgo. Gestiti da persone fisiche reali (che a loro volta controllano bots) spesate da strutture ufficiali, o beneficiarie di piccoli contributi difficili da tracciare provenienti da filantropi che “apprezzerebbero” il loro attivismo politico. Ma non è molto differente dalla rete di profili “fake” esistenti su tutte le piattaforme social, che condividono e supportano puntualmente i politici di ogni genere di fazione, bisognosi di un supporto “fedele” e continuato in ogni azione, dichiarazione e decisione divulgata pubblicamente.

Gli analisti aggiungono che nel tempo, ossia dopo le campagne di interferenza che si sarebbero state “smascherate” nel 2016, la strategia di Mosca si è evoluta e raffinata. Nel nostro Paese, ad esempio, hanno individuato 37 siti che condividevano i codici di Google AdSense con la Russia. In un primo momento venivano rilanciate solo le informazioni considerate più “faziose” da agenzie note per la divulgazione di notizie considerate “non attendibili”. Adesso invece diffonderebbero in continuazione contenuti elaborati da alcuni “think tank” creati ad arte dal Cremlino e dai servizi russi preposti. Tra questi spiccherebbero le informazioni pubblicate da portali come Global Research in Canada, e South Front e siti omologhi registrati in Russia.

Altra piattaforma nel mirino degli analisti dove la Russia condurrebbe notte e giorno la sua azione di interferenza sarebbe Facebook. Ma c’è chi trova tutto molto diverso da quello che ritene Washington. Lì dove gli Stati Uniti continuano a vedere un’operazione russa, si potrebbe infatti celare soltanto un semplice cambio di tendenza, supportato da interessi di parte, che vedono in Vladimir Putin un politico “valido” e nella Federazione Russa una leadership forte e “invidiabile”. E che vedono con antipatia l’Unione Europea, la Nato, e gli Stati Uniti.

Questo desiderio di cambiamento e nuovi assetti e nuove alleanze, strettamente legato ad un malcontento generalizzato, si sta traducendo in un riversamento di voti nei cosiddetti partiti “populisti” e “sovranisti”, che hanno preso il posto dei partiti socialisti e di destra moderata, incapaci, dopo una lunga fare si impasse, di rispondere con riforme efficaci atte a curare il malcontento diffusosi in un’ampissima fascia di elettorato.

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