Sono sempre più frequenti gli incidenti delle navi da guerra degli Stati Uniti nell’oceano Pacifico, e comincia a circolare sempre più insistente la voce che non siano errori, ma il frutto di veri e propri attacchi hacker da parte di gruppi di pirati informatici collegati agli Stati che contrastano la presenza militare americana nei mari dell’Estremo Oriente. Gli analisti del Pentagono sono già all’opera per comprendere esattamente cosa stia succedendo, perché non può essere un caso che nell’ultimo anno, ben quattro incidenti sono occorsi alla marina militare degli Stati Uniti: sempre nella stessa area e con particolare riguardo alla Settima Flotta.

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Il 19 agosto del 2016 fu la volta della USS Louisiana, il 9 maggio di quest’anno un altro incidente, questa volta alla USS Lake Champlain; poi è stata la volta della USS Fitzgerlad a giungo di quest’anno e infine, nella giornata di ieri, l’incidente alla USS John McCain. Queste navi sono tutte collegate da un filo rosso: sono tutte alla fonda nella base navale di Yokosuka e gli USS McCain e USS Fitzgerald sono entrambi parte del Destroyer Squadron 15 e della Settima Flotta. Un collegamento che non è passato inosservato agli analisti ed anche al Pentagono, che non a caso ha deciso, dopo l’incidente che ha colpito la McCain, di avviare un’inchiesta sull’intera flotta del Pacifico. L’incidente ha lasciato un buco aperto nello scafo del cacciatorpediniere, ha ferito cinque marinai e altri dieci sono rimasti dispersi nello scontro con il mercantile. Ma a parte i danni fisici alla nave e i danni all’equipaggio, quello che preoccupa è come sia possibile che le navi dotate dei più potenti sistemi GPS della Marina americana possano entrare in rotta di collisione con delle navi cargo e che, soprattutto, queste collisioni avvengano quasi sempre nei mari dove lo scontro con la Cina è più forte.

Il segretario alla Difesa Jim Mattis ha annunciato una pausa nelle operazioni della flotta, in modo che i funzionari possano analizzare in maniera più profonda l’intera squadra navale. Un’inchiesta che coprirà tutto: personale, capacità di navigazione, manutenzione, attrezzature, formazione di guerra in superficie, munizioni, certificazioni e anche le modalità con cui i marinai si muovo tra le diverse navi della flotta. L’ammiraglio John Richardson ha chiarito in un post su Twitter che la revisione includerebbe la possibilità di intrusioni o sabotaggi in rete, anche se non c’erano “indicazioni in questo momento”. Tuttavia, ha tenuto a precisare lo stesso ammiraglio, “il controllo sulla flotta considererà tutte le possibilità”.

Itay Glick, fondatore della società di sicurezza informatica Votiro, ha dichiarato di essersi immediatamente interessato alla possibilità di interferenze informatiche, appena ha saputo dell’incidente. Sarebbero troppe le coincidenze fra gli incidenti, o presunti tali, accaduti alla USS McCain e alla USS Fitzgerald. E a detta di Glick, in realtà sarebbe molto più improbabile che siano soltanto pure coincidenze. Glick ha lavorato nell’unità d’intelligence israeliana che si occupa di cyberwar per più di sette anni e, intervistato dal portale news.com.au, ha affermato di ritenere possibile che Paesi come la Russia e la Cina possano avere la capacità di lanciare un attacco hacker alle navi da guerra della flotta statunitense. In particolare, nel caso delle due navi in questione, l’attacco ha probabilmente colpito il sistema GPS inviando interferenze, oppure colpendo con un malware il sistema informatico fornendo anche indicazioni sbagliate per impedire di “vedere” la nave cargo.

Attualmente, dal Pentagono, sono arrivate soltanto smentite nei confronti della possibilità che le navi americane siano state colpite da un attacco hacker. E sembra anche chiaro il motivo di queste immediate accuse di calunnia: affermare la vulnerabilità della flotta statunitense nei confronti di attacchi informatici sarebbe un duro colpo per la credibilità del potenziale bellico americano in un settore così importante come quello dell’Estremo Oriente. Tuttavia, il fatto che prima del 2016 non fossero praticamente mai avvenuti incidenti, e che dalla fine del 216 ad oggi ne siano avvenuti quattro, non può essere catalogato come pura causalità. Lo scontro con la Cina è estremamente elevato, e il rafforzamento della flotta americana nel Pacifico è considerato un atto ostile da parte di Pechino: degli avvertimenti o dei test contro le navi di Washington potrebbero non essere un’ipotesi cosi peregrina. Non va poi sottovalutato il potenziale informatico della Corea del Nord, che ha sviluppato negli anni una rete hacker in grado di colpire con malware altamente sofisticati. La concomitanza di questi incidenti con l’escalation diplomatica e militare tra Pyongyang e gli Stati Uniti, potrebbe essere considerato effettivamente un indizio sul fatto che non si sia trattato di semplici “incidenti”. Infine, in molti puntano il dito sulla Russia: il settore della cyberwar al Cremlino è particolarmente evoluto, e molto spesso Mosca ha dato prova di avere eccellenti capacità di bucare i sistemi informatici occidentali, anche nel Mar Nero.

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