Un tentativo – quasi disperato – di riabilitare la Francia in Africa, all’insegna di un post-Françafrique che sembra non arrivare mai. Emmanuel Macron fatica a trovare una postura univoca in questa sorta di missione storica, tra imprudenze, gaffe e linea dura con i Paesi francofoni africani. Tant’è che il tanto atteso discorso che anticipa la missione africana sembra preannunciare un copione visto più volte nella recente storia francese. Dal 1 al 4 marzo è previsto il tour di Macron in quattro Paesi dell’Africa centrale: Gabon, Angola, Congo e Repubblica democratica del Congo, quasi a inaugurare l’ennesima svolta.
L’Africa non è un “cortile di casa”, bisogna passare da una logica degli aiuti a quella degli investimenti, ha tuonato Macron parlando al Paese il 27 febbraio. Il suo discorso fa eco a quello di Ouagadougou, nel 2017, in cui aveva dichiarato la sua volontà di voltare pagina con la politica africana postcoloniale di Parigi, segnata da collusioni politiche e legami avvelenati, rivolgendosi soprattutto ai giovani africani, sempre più sospettosi nei confronti della Francia.
Un nuovo corso nelle relazioni con l’Africa
Secondo l’Eliseo starebbe per aprirsi un capitolo significativo in quella che viene presentata come “la nuova partnership della Francia con i Paesi africani”, con il presidente Macron protagonista di una rivoluzione copernicana sulla strategia diplomatica e militare di Parigi, proprio nel continente dove l’ex potenza coloniale è sempre più contestata. Al centro dell’atteso discorso, infatti, vi è stata l’evoluzione del dispositivo militare francese nel continente dopo la fine dell’operazione antiterrorismo a Barkhane nel Sahel e il ritiro forzato delle truppe dal Mali e dal Burkina Faso, governati da due giunte militari molto ostili a Parigi.
In Mali, infatti, la giunta è accusata da diversi Paesi di avvalersi dei servizi del gruppo paramilitare russo Wagner, vicino al Cremlino, attivo anche in un’altra ex colonia francese, la Repubblica Centrafricana. In Burkina la giunta ha invece denunciato gli accordi di difesa tra Parigi e Ouagadougou e le forze speciali francesi, circa 400 soldati, che vi erano di stanza, si sono ritirate dal Paese la scorsa settimana. La Francia schiera ancora circa 3.000 soldati nella regione, in particolare in Niger e Ciad, ma intende riarticolare il suo sistema verso i Paesi del Golfo di Guinea, sopraffatti dalla spinta jihadista.
La guerra in Ucraina e i suoi corollari politici non sono ovviamente estranei alle vicende legate ai rapporti tra Parigi e l’Africa. Non a caso, tre dei quattro Paesi che visiterà il presidente francese – Gabon, Congo e Angola – si sono astenuti durante l’ultimo voto sulla risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che chiedeva il ritiro di Mosca dall’Ucraina. Gli stessi ove Macron spera di recuperare terreno, sfruttando l’apparente propensione al “non allineamento”, che rischia di far perdere buona parte del sostegno africano alla Russia di Putin.
Cosa ha detto Macron
L’Africa non è “un terreno di competizione” e ha bisogno di una relazione “più equilibrata”, ha detto il capo dell’Eliseo. A indorare la pillola di questo nuovo corso, perfino una svolta “culturale”: la Francia annuncia una legge quadro per procedere a nuove restituzioni di opere d’arte ai Paesi africani che le richiedono. Già nel 2021 la Francia aveva restituito al Benin 26 opere provenienti dai tesori reali di Abomey, saccheggiati nell’Ottocento dalle truppe coloniali. Macron ha poi stressato i concetti di “umiltà” e “responsabilità” dell’azione della Francia in Africa, rifiutando la concorrenza strategica imposta secondo lui da coloro che vi si insediano con “i loro eserciti, i loro mercenari”, una velata allusione alla Russia e il gruppo Wagner. Il discorso è poi andato all’oscuro passato coloniale francese: “Quel tempo è passato”, ha concluso perentorio. “La chiave del futuro sarà dunque quella di un nuovo rapporto, equilibrato, reciproco e responsabile” con i Paesi del continente africano.
Sul piano militare, il presidente ha riferito di un’imminente “visibile riduzione” del personale militare francese in Africa e di un “nuovo modello di partenariato” che prevede una “ascesa al potere” degli africani. Questa trasformazione inizierà nei prossimi mesi con una visibile riduzione della presenza francese sul suolo africano e un corrispondente aumento del potere (nelle basi militari francesi) dei partner africani. L’ipotesi è che si vada verso un nuovo formato per le basi militari di Parigi, forse una sorta di brigata mista, magari sullo stile delle brigate franco-tedesche.
Cosa c’è dietro la svolta di Macron
Il presidente Macron ha fallito più volte in Africa. Sia nelle politiche dirette sia nel lasciare spazi vuoti, poi riempiti da Cina e Russia. La sua attuale mossa rappresenta un tour della buona volontà per salvare il salvabile, anche agli occhi di quel Putin verso il quale chiede di non applicare la legge del taglione.
Credendo di aver infranto alcuni tabù postcoloniali durante il suo primo mandato, Macron, ha peccato di hybris. La sua, oggi, è l’ammissione di una sconfitta che passa per la richiesta di un’africanizzazione dell’Africa stessa, anche a beneficio della Francia: il presidente è tornato anche sulla situazione nel Sahel, a proposito dei fallimenti dell’esercito francese riguardo al terrorismo jihadista, ribadendo come la Francia non possa, da sola, fornire soluzioni politiche. Nessuna nostalgia per la Françafrique, ma una richiesta precisa di non lasciare un vuoto, il che passa anche per una revisione del sistema di sicurezza e difensivo: più accademie, più scuole, partenariati formazione, soprattutto in materia di Difesa. Un paradosso, che però potrebbe funzionare: l’Africa che dovrebbe aiutare la Francia, in Africa.
Ma è soprattutto Mosca la ragione di tale rinnovata Realpolitik. Lo scopo perseguito è chiaro: contrastare la propaganda russa che dipinge la Francia come una potenza coloniale. “L’orso russo ha risvegliato il gallo gallico”, ha osservato il giornalista e scrittore Antoine Glaser, coautore del libro La trappola africana di Macron (Fayard, 2021), in riferimento al posto preso dalla Russia, e in particolare dal gruppo Wagner. Durante il suo primo mandato, ad eccezione del Sahel e della Costa d’Avorio, Macron aveva voluto evitare il tradizionale ruolo francese in Africa occidentale e Africa centrale.
L’inizio del suo secondo mandato è stato segnato da un reinvestimento nei Paesi che fino ad allora aveva evitato. Di fatti, il primo tour africano del presidente francese dopo la sua rielezione ha riguardato Camerun, Benin e Guinea-Bissau nel luglio 2022. Putin, nel frattempo, punta ora a ricordare all’Africa intera che la Russia è stata tra le poche potenze mondiali senza colonie in Africa, che non ha partecipato alla tratta degli schiavi nel corso della sua storia, e che ha aiutato il processo di decolonizzazione. Puntando su questo tipo di messaggio, Mosca ora cerca di coltivare il rapporto con i Paesi africani, strategici partner commerciali nel mezzo di una crisi economica ed energetica mondiale.
E poi c’è il Dragone, che punta all’Africa tanto quanto Mosca, avendovi già solide basi. L’Africa inseguita da Macron, strategica arena multiforme, non invia segnali precisi, come le mosse alle Nazioni Unite hanno dimostrato: se un anno fa l’atteggiamento del continente era più che ambiguo, il 23 febbraio scorso 49 paesi africani su 54 non si sono schierati a favore dell’invasione russa nel voto in seno all’Onu. Nessuno può dire se il futuro segnerà un punto partita per Macron o per l’asse russo-cinese, sta di fatto che la partita per l’Africa si è appena riaperta.