Gli Emirati Arabi Uniti stanno smantellando la loro base militare in Eritrea. A dare la notizia è stata Associated Press (Ap) che ha pubblicato alcune immagini satellitari che mostrano i lavori di abbattimento di alcune strutture del presidio.
Gli Eau avevano intrapreso grossi lavori di ampliamento ad Assab, costruendo un porto e ingrandendo la pista di atterraggio, a partire da settembre 2015, e hanno utilizzato la struttura come punto di arrivo e partenza per far arrivare armi pesanti e truppe sudanesi nello Yemen, impegnato nel conflitto intestino contro i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran all’interno di una coalizione guidata dai sauditi.
Quella che era diventata una vera e propria cittadella militare, tanto da essere definita “Piccola Sparta” dall’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti James “Mad Dog” Mattis, sembra aver esaurito la sua funzione nel quadro del conflitto in Yemen, che sta vivendo una fase di stallo. Dopo aver deciso di cessare il suo supporto, Abu Dhabi, oltre a smantellare le strutture della base, ha cominciato a ritirare armi e personale, sempre come si evince dalle foto satellitari: fra questi i carri armati Leclerc, le semoventi G6 e i veicoli da combattimento anfibi Bmp-3, fino ad una schiera di elicotteri d’attacco, droni e altri velivoli militari.
“Gli Emirati stanno riducendo le loro ambizioni strategiche e si stanno ritirando dai luoghi in cui erano presenti”, ha detto Ryan Bohl, analista presso la società privata statunitense di intelligence Stratfor. “Avere quel dispiegamento di hard power li ha esposti a più rischi di quanto gli Emirati siano ora disposti a tollerare”.
I funzionari degli Emirati non hanno voluto commentare a riguardo e allo stesso modo, l’Eritrea, che aveva concesso agli Eau un contratto di locazione per la base di 30 anni, non ha risposto alle domande inviate da Ap alla sua ambasciata a Washington.
Abu Dhabi ha investito milioni di dollari per migliorare la struttura di Assab, a soli 70 chilometri dallo Yemen, con lavori molto importanti tra cui l’ampliamento del porto con aumento del fondale e allungato la pista di decollo, che ora è di circa 3500 metri, in modo tale da consentire agli aerei più grandi di potervi operare.
Sono state costruite anche caserme, ricoveri per aerei e recinzioni in tutta la struttura che si estende su 9 chilometri quadrati, costruita negli anni ’30 dall’Italia quando l’Eritrea faceva parte del suo impero coloniale.
La base, come quasi tutti gli avamposti militari in quella regione del Corno d’Africa, è stata usata anche come presidio ospedaliero da campo, e risulta essere stata uno dei migliori ospedali chirurgici campali in tutto il Medio Oriente.
Gli Emirati Arabi Uniti avevano annunciato, nell’estate del 2019, di aver iniziato a ritirare le proprie truppe dalla guerra in Yemen, e proprio allora, a giugno, le prime riprese satellitari hanno mostrato l’inizio dello smantellamento della base.
All’inizio di gennaio di quest’anno, un’altra foto ha evidenziato quelli che sono sembrati essere veicoli e altre attrezzature caricate su una nave in attesa, che poi, il 5 febbraio, risultava aver salpato.
La decisione sembra essere definitiva, in quanto anche strutture appena costruite, come i ricoveri per aerei e droni, sono state smantellate. Gli Emirati Arabi Uniti partecipavano attivamente al conflitto in Yemen e hanno utilizzato i propri assetti Ucav (Unmanned Combat Air Vehicle) di fabbricazione cinese per colpire i ribelli Houthi.
La distruzione degli hangar dei droni è avvenuta, però, dopo che i ribelli nella regione del Tigré, in Etiopia, lo scorso novembre avevano affermato che i droni degli Eau partiti da Assab erano stati utilizzati contro le loro posizioni. Abu Dhabi si è sempre rifiutata di rispondere a queste accuse.
Nonostante i lavori di smantellamento, gli elicotteri d’attacco degli Emirati sono ancora stati visti nella base, che oggettivamente rimane un punto strategicamente importante, per controllare i traffici lungo gli stretti di Bab el-Mandeb che collegano il Mar Rosso al Golfo di Aden.
Ma gli Emirati Arabi Uniti potrebbero aver preso questa decisione sotto pressioni statunitensi: la nuova politica della Casa Bianca sull’Iran, volta a cercare di rientrare nell’accordo sul programma nucleare degli Ayatollah, prevede anche la cessazione del supporto statunitense all’Arabia Saudita in funzione del contrasto agli Houthi. L’amministrazione Biden ha infatti deciso di terminare il coinvolgimento statunitense nella guerra in Yemen col ritiro del personale che lavora per impedire che gli attacchi aerei sauditi nel Paese danneggino i civili; un contingente presente sin dal 2015.
La chiave di lettura potrebbe quindi essere quella di cercare una normalizzazione dei rapporti con l’Iran, che, come abbiamo già ampiamente dibattuto, rientrerà nei limiti del trattato Jcpoa sul nucleare solo ed esclusivamente quando gli Stati Uniti lo faranno. Una normalizzazione che passerebbe anche attraverso la cessazione del contrasto ai ribelli Houthi sostenuti da Teheran.
Del resto i rapporti tra Eau e Stati Uniti sono molto fitti, sulla scorta degli Accordi di Abramo, ma soprattutto perché Abu Dhabi ha più volte espresso l’intenzione di acquistare i cacciabombardieri F-35, trovando l’opposizione di Israele: la questione è ancora aperta, e forse, in futuro, si delineerà il contratto finale di acquisizione stante gli ultimi ordini di Tel Aviv per nuovi F-35 e per i caccia F-15EX. Tra Usa e Israele vige infatti un accordo scritto che impegna Washington a garantire e mantenere la supremazia negli armamenti per lo Stato ebraico.
D’altro canto la decisione degli Eau potrebbe essere prettamente pragmatica: mantenere una base all’estero costa, e dato lo stallo del conflitto in Yemen continuare a utilizzarla come avamposto militare attivo l’avrebbe trasformata in una voragine “mangia-soldi”.