Mentre scriviamo lo spoglio di queste elezioni presidenziali è ancora in corso, ma qualche conclusione può già essere tratta: l’onda blu pro Joe Biden – quella che avrebbe dovuto destrutturare del tutto il ruolo ed il significato politico del presidente Donald Trump, non si è verificata. E i primi sconfitti sono gli opinion maker di questa turnata. Tra questi, vale la pena citare gli ecclesiastici progressisti, i capi-popolo dei movimenti che hanno interessato le cronache americane in questi mesi e larga parte della stampa main-stream, che ha di certo sbagliato le previsioni, pronosticando una facile vittoria per il candidato dei Democratici.
Joe Biden, alla fine di questa storia, che si preannuncia come piuttosto lunga, potrebbe anche vincere, ma la propaganda politica, e in qualche caso la pastorale, non ha suscitato gli effetti sperati. Il gesuita James Martin e l’arcivescovo di Washington, che Jorge Mario Bergoglio creerà a breve come cardinale, non potranno dire di aver intercettato l’opinione maggioritaria dei cattolici. I flussi elettorali non sono ancora noti, ma i dati su alcuni Stati sì. Sono numeri sufficienti per dire che la base dei fedeli americani non si è riversata nelle urne per contrastare l’azione di Trump, impedendogli di raggiungere un secondo mandato. Questo, in fin dei conti, era l’obiettivo dichiarato dei progressisti ecclesiastici degli States. Nella tarda serata di ieri, i gesuiti della rivista America hanno persino organizzato una preghiera.
Certo, anche il fronte conservatore ha pregato, in questo caso per Trump, ma i cardinali tradizionalisti non possono certo affermare di essere parte integrante di questo pontificato. La Chiesa americana, insomma, ne esce se possibile ancor più polarizzata, contribuendo alla narrazione di uno Stato federale spaccato a metà al suo interno un po’ su tutti i piani. Un discorso simile può essere fatto per i movimenti. Il Black Lives Matter, anche qui in via esemplificativa, non sembra aver convinto troppi elettori. Anzi, alcune zone in cui i movimentisti hanno manifestato durante gli scorsi mesi, magari creando qualche disordine, si sono espresse in favore del presidente uscente. E questo è un elemento che non può non essere considerato.
Così come appare rilevante che Donald Trump abbia dimostrato di avere con le minoranze un rapporto più solido di come molti benpensanti supponevano: la vittoria in Florida parla da sola di questa tematica. E non bisognerebbe stupirsi troppo se sempre i flussi elettorali dimostrassero che la comunità ispanica abbia preferito Trump in misura superiore rispetto alle elezioni presidenziali di quattro anni fa. Si tratta di ipotesi, ma il combinato disposto tra i risultati parziali e le tendenze elettorali fotografano questa che è qualcosa di più di una semplice supposizione. Un discorso a parte andrebbe riservato agli operatori della stampa progressista che per messi hanno ventilato certezze sul distacco che Biden sarebbe stato in grado di costruire nella Rust Belt, che sino a questo momento sembra aver scelto di nuovo il tycoon, in barba a molte considerazioni pre-elettorali.
Non sappiamo ancora con che tipo di America avremo a che fare nel corso dei prossimi quattro anni. Così come non conosciamo dunque i rapporti che potrebbero intercorrere tra la Santa Sede, le gerarchie ecclesiastiche in loco ed il presidente degli Stati Uniti d’America. Quello che è chiaro riguarda ancora una volta la fallacia di chi riteneva che la storia non potesse che andare in una direzione. Joe Biden non ha trionfato alla maniera di chi deve bere un bicchier d’acqua. Poi il candidato degli asinelli potrà anche vincere questo incredibile appuntamento elettorale, ma gli Stati Uniti continueranno ad essere divisi tra due visioni del mondo opposte.
La parte progressista della Chiesa cattolica, i movimenti di protesta e la maggioranza degli organi di stampa non hanno costruito una maggioranza inattaccabile all’interno dei confini americani. E questa, considerando i presupposti da cui si era partiti, è già una notizia che può essere sottolineata.