Sono passati quattro giorni dalle elezioni in Honduras ed il paese ha due vincitori e nessun presidente eletto. Il 26 novembre nel terzo stato più povero dell’America Latina si sono svolte le votazioni elettorali. A sfidarsi i due principali partiti con i rispettivi candidati: il presidente uscente Juan Orlando Hernández del Partido Nacional de Honduras (PNH) e dall’altra Salvador Nasralla della coalizione Partido Libertad y Refundación (Libre) e Partido Innovación y Unidad (Pinu).

Il giorno seguente con il 50% delle schede scrutinate il Tribunale Supremo Elettorale ha riconosciuto un ampio vantaggio al candidato dell’alleanza Libre-Pinu, Nasralla, il quale si è proclamato vincitore; la coalizione aveva infatti raggiunto il 45,17% dei voti contro il 40,21% dell’uscente, staccato di circa 100mila voti. Hernandez (PNH) rifiutando i dati comunicati dal TSE si è dichiarato a sua volta vincitore, confidando nello scrutinio nel voto rurale, solitamente a favore della legislazione uscente. Contemporaneamente sono arrivate alcune critiche dagli Osservatori Internazionali i quali chiedevano maggiore chiarezza riguardo le procedure di scrutinio; nelle ore successive alla chiusura delle votazioni c’è stato un blocco ai dati di partecipazione e ai seggi stessi minando così la trasparenza necessaria.

Non sarebbe la prima volta infatti che nel Paese sudamericano si verificano brogli elettorali; già nelle elezioni del 2013 quando venne eletto Juan Orlando Hernández furono evidenti le prove della manomissione. Eclatante il caso del famoso hacker Andres Sepulveda, condannato a 10 anni di prigione con l’accusa di cospirazione, spionaggio informatico e violazione della privacy, il quale ha confessato di essere stato ingaggiato dall’attuale presidente per cambiare i risultati delle votazioni. Sepulveda era stato chiamato per creare profili fasulli con il fine di manipolare i social media, creare campagne di sostegno o di derisione verso i competitors e, non da ultimo, truccare le schede usando nomi ed identità di persone defunte.

Temendo un ripercorrersi della storia, nei giorni successivi alle elezioni 2017 Salvador Nasralla ha chiesto a gran voce ai suoi militanti e sostenitori di presentarsi di fronte al Tribunale Supremo Elettorale per obbligarlo a velocizzare le procedure di scrutinio e di proclamazione dell’unico vincitore possibile (in Honduras non esiste la possibilità del ballottaggio) e per difendere il voto, impedendo al PNH di manomettere le schede presenti o crearne di nuove.

Il sorpasso

Nella notte tra martedì e mercoledì a scrutinio ancora in corso si è verificato un notevole avvicinamento del candidato della destra honduregna che ha portato al clamoroso sorpasso sull’alleanza Libre-Pinu con un marginale vantaggio di soli 3mila voti. L’immediata reazione dei militanti di sinistra, scesi in piazza urlando alla manomissione del voto da parte del Tribunale Supremo è stata contenuta dallo spiegamento delle forze armate dell’esercito che ha imposto il blocco delle strade e vietato manifestazioni pubbliche. Nasralla ha dichiarato le sue preoccupazioni riguardo ad un presunto problema tecnico che ha causato il calo dei server del TSE per ore mercoledì, nonchè l’inclusione nel conteggio di schede elettorali non firmate o non sigillate. “Sanno che hanno perso” afferma Gerardo Torres, direttore internazionale dell’alleanza dell’opposizione, “e solo tramite il disordine, lo stato di emergenza o un colpo di stato elettorale hanno la speranza di rimanere al potere: stanno dividendo il popolo honduregno attraverso una guerra psicologica”.

Il TSE ha dichiarato che i risultati ufficiali saranno pubblicati al massimo giovedì, ma ad oggi gli scrutini sono ancora al’80% circa. Gli Stati Uniti, uno dei più stretti sostenitori dell’Honduras e del candidato di destra hanno esortato a “completare il lavoro senza inutili ritardi” e a “tutti i candidati di rispettare i risultati una volta dichiarati”. In seguito alle brusche variazioni nelle percentuali rimane ancora il dubbio su chi possa essere il reale vincitore di questa tornata elettorale.

Cavilli legali

Il 28 giugno 2009 l’ex presidente Manuel Zelaya è stato arrestato ed il paese è diventato lo scenario di un colpo di stato militare ordinato dalla Corte Suprema. La corte ha definito l’atto di forza come una difesa alla Costituzione che, attraverso articoli non riformabili, fissa in quattro anni la durata massima della carica presidenziale ed impedisce ad un presidente eletto di ricandidarsi per un secondo mandato. Il presidente venne accusato di voler cambiare questa legge attraverso un referendum, con l’intenzione di ripresentarsi alle elezioni e pertanto, deposto. Questo precedente ha attirato molta attenzione internazionale riguardo l’attuale candidatura (e probabile rielettura) del presidente uscente Juan Orlando Hernández che ignora deliberatamente la Costituzione. Nei suoi quattro anni di mandato (gennaio 2014 – gennaio 2018) il lavoro del suo governo è stato principalmente volto ad aumentare il controllo delle istituzioni; il PNH detiene non solo il potere militare ma anche quello della Corte Suprema di Giustizia, del Tribunale Supremo Elettorale, della Corte dei Conti ed in collaborazione con altri partiti di destra ha gestito anche il potere legislativo e quindi il Parlamento.

La stessa Corte Suprema di Giustizia, i cui membri appartengono al Partido Nacional de Honduras hanno dichiarato inapplicabile l’articolo che vieta la rielezione di un candidato affermando che: “impedire ad una persona di candidarsi per le elezioni presidenziali del proprio paese viola i diritti umani della persona stessa”. Una spiegazione alquanto dubbia.
Dal punto di vista economico l’Honduras è un paese allo sfascio e con una disoccupazione altissima; il 62% della popolazione vive in stato di povertà, con il 40% di questi in estrema indigenza. Hernández ha avuto la fortuna di governare in un periodo storico abbastanza favorevole dal punto di vista macro-economico. A livello interno invece l’economia è in stato critico, con il debito pubblico che ha raggiunto il 70% del PIL. Durante la legislatura ha fatto della vendita dei patrimoni naturali e pubblici ad acquirenti esterni, USA in primis, la sua carta vincente. Tra gli altri scandali il partito di Herndández è anche accusato di aver accettato denaro da trafficanti di droga e di sottrarre fondi pubblici dell’istituto di sicurezza sociale e dalla sanità per finanziare la campagna elettorale 2017.

Vinca chi vinca, in Honduras il prossimo presidente dovrà affrontare una situazione delicata non solo dal punto di vista della sicurezza nazionale e civile ma anche da quello economico. La prossima legislatura sarà sicuramente cruciale nella storia dell’Honduras.

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