Giorgia Meloni è l’osservata speciale delle elezioni politiche italiane previste per il prossimo 25 settembre. E stando a quanto riportato da Repubblica, è in particolare a Bruxelles che la leader di Fratelli d’Italia viene osservata con attenzione. Il quotidiano diretto da Maurizio Molinari ha recentemente riportato come tra le cancellerie comunitarie, i palazzi del potere dell’Unione Europea e i parlamentari di Strasburgo circoli curiosità e attenzione sulla figura più papabile per il ruolo di futuro Presidente del Consiglio. E come riporta Claudio Tito nella sua analisi, il gruppo del Partito Popolare Europeo di cui fa parte Forza Italia e quello del Partito Socialista Europeo di cui è membro il Partito Democratico vorrebbero lumi sull’oramai celebre discorso di domenica della Meloni, che a Milano ha detto che per Bruxelles “è finita la pacchia” e un suo eventuale governo “difenderà gli interessi nazionali italiani”. Una sorta di altolà delle cancellerie europee che temono marce indietro dopo il voto e preparano eventuali controrisposte.
Che cos’è oggi l’europeismo?
Insomma, a Bruxelles si starebbe preparando il test per capire quanti “quarti di nobiltà” europeisti la Meloni e Fratelli d’Italia possiedano al netto delle dichiarazioni e si temerebbe che le posizioni concilianti assunte dall’onorevole romana su molti dossier siano una maschera volta a acquisire consensi in vista del 25 settembre. Ma una critica di questo tipo regge davvero?
In primo luogo, è difficile capire dopo la pandemia e la guerra in Ucraina quanto della faglia storica tra europeismo e antieuropeismo che ha animato lo scorso decennio esista effettivamente. Il contesto geopolitico e strategico ha messo da tempo in secondo piano, ad esempio, il tema valutario e aperto piuttosto alle discussioni sulle manovre con cui l’Unione Europea e gli Stati membri possono giocare un ruolo nel terreno conteso delle relazioni internazionali. Energia, semiconduttori, transizione ecologica, trasporti, Difesa: molti temi sono oggetto da tempo di riflessioni su strategie ibride tra Stati e Commissione, a cui l’aderenza dei vari partiti e dei vari governi è direttamente proporzionale alla loro volontà di scegliere tra l‘autonomia strategica europea e un maggior legame politico, economico, strategico, industriale con l’unico altro referente di primo piano, gli Stati Uniti. Fdi non è “europeista” in tal senso in quanto occidentalista e pro-Usa prima che favorevole a tali dossier. Ma non sono poche le formazioni che hanno preso posizione in tal senso: l’occidentalismo, declinato in vari modi, è ad esempio anche la priorità dei Verdi tedeschi e del Partito Popolare spagnolo.
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L’assedio alla Meloni
In secondo luogo, spesso gli attacchi alla Meloni avvengono su petizioni di principio prima ancora che su proposte concrete. La leader di Fdi è stata ad esempio accusata da Enrico Letta di voler rinegoziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza nel loro recente confronto sul sito del Corriere della Sera. Meloni ha rivendicato questa scelta sottolineando che il 9 settembre il primo ministro portoghese António Costa, del Partito Socialista lusitano, ha presentato all’Ue la proposta di posticipare la scadenza degli obiettivi del piano nazionale di ripresa di Lisbona (finanziato con 16,6 miliardi di euro) per rispondere alla sfida dei rincari e dell’inflazione. E di recente è stato anche un vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, a scagliarsi contro il programma della destra definendolo, in anticipo, preoccupante, mentre funzionari Ue anonimi riferivano alle agenzie di aspettarsi da un eventuale governo Meloni la ratifica della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità contestata due anni fa da Fdi.
La sponda col Ppe della Meloni
Il terzo punto da sottolineare è il fatto che, diversamente da quanto si poteva dire della Lega di Matteo Salvini nel 2018, Fdi e Giorgia Meloni non planerebbero al governo come “alieni” provenienti da posizioni radicali. L’ex ministro della Gioventù è presidente dell’Ecr, il partito dei Conservatori e Riformisti Europei di cui fanno parte già due dei leader di governo dei Ventisette di Bruxelles: il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki di Diritto e Giustizia (PiS) e il collega ceco Petr Fiala del Partito Democratico Civico (Ods). A cui presto come membro di una coalizione di governo potrebbe aggiungersi Jimmie Akesson dei Democratici Svedesi, pronto a sostenere un governo di centrodestra in Svezia pur senza andare direttamente al governo, in vista dell’ascesa della stessa Meloni. Inoltre, ricorda lo stesso Tito, “i Popolari hanno sostanzialmente stretto un’alleanza con i Conservatori, di cui la Meloni è presidente, a Bruxelles. Il Ppe utilizza il gruppo di destra per limitare i socialisti e mantenere le posizioni di potere nelle strutture dell’Unione”, come successo con l’elezione alla guida del Parlamento Europeo della popolare maltese Roberta Metsola o dei voti sul contestato pacchetto di transizione energetica dell’Ue.
Fdi e la corsa al potere
E del resto in Fdi non mancano figure con cursus honorum istituzionali di spessore, passati e presenti. Due nomi su tutti tra le figure con accreditamento internazionale sono quelli di Guido Crosetto e Adolfo Urso. Crosetto, ex sottosegretario alla Difesa, ha nell’ultimo biennio rappresentato un ponte tra Fdi e gli ambienti imprenditoriale l’elettorato moderato avendo alle spalle diversi decenni alla guida di imprese e consigli di amministrazione e ricoprendo oggi la carica di presidente della strategica Orizzonte Sistemi Navali. Invece Urso, eletto nel 2021 presidente del Copasir, è garante dei legami securitari euroatlantici del partito, ha recentemente visitato Kiev e può vantare un curriculum fatto di militanza politica, giornalismo, attività imprenditoriale e incarichi istituzionali (viceministro con delega al Commercio Estero nei governi Berlusconi II, III, IV) ora culminato nella direzione del comitato che controlla e coordina l’intelligence.
Aggiungiamo a questo il fatto che Meloni parla, studiando da futura premier, anche con gli apparati strategici italiani più attenti a garantire la proiezione internazionale del Paese. Dall’Eni a Leonardo, secondo quanto risulta a Inside Over, in caso di governo le nomine della leader di Fdi sarebbero ispirate alla logica del merito e passerebbero per la riconferma di chi, come Claudio Descalzi, garantisce autorevolezza al Paese. Per il Ministero dell’Economia Meloni avrebbe sondato un draghiano di ferro come Fabio Panetta, membro del board Bce, e in alternativa penserebbe a un economista liberal-conservatore, di centrodestra e di provata fede europeista quale Domenico Siniscalco in caso di ascesa a Palazzo Chigi; in avvicinamento al partito meloniano è dato anche Dario Scannapieco, nominato da Mario Draghi alla guida di Cassa Depositi e Prestiti, mentre sul fronte dei servizi segreti una garanzia di continuità euroatlantica passerebbe per la conferma dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni alla guida del Dipartimento delle Informazioni della Sicurezza (Dis). Prese di posizioni importanti, queste, che se confermate non presenterebbero una Meloni di rottura con il sistema. Ma una leader desiderosa di farsi spazio anche, e non in contrasto, grazie alle entrature internazionali e comunitarie del suo partito.