Il rapporto tra Germania e Italia non si ferma all’industria e ai rigidi meccanismi di Bruxelles. C’è un’altra realtà nei rapporti tra i due Stati. Una realtà che arriva fino alle coste nordafricane e al Mediterraneo orientale. Ed è un palcoscenico altrettanto importante in cui sono coinvolti gli interessi dei due Stati.
Lo avevamo già visto negli anni passati, con la scelta del governo tedesco di svolgere la conferenza per la Libia a Berlino dopo Palermo. Quell’immagine non fu una decisione semplicemente formale. C’era della sostanza. Ospitare un vertice di altissimo livello su una crisi significa avere (o volere) un ruolo di primo piano all’interno della gestione e risoluzione di una determinata crisi o di un certo tema. E in quell’occasione fu a tutti molto chiaro che l’intento tedesco era quello si soppiantare l’Italia nel diventare il regista della transizione libica. Una mossa che faceva molto piacere anche alla Francia, da tempo desiderosa di evitare che Roma strappasse ruoli di forza nella guerra che ha sconvolto il nostro principale partner nordafricano.
È chiaro che la Germania non ha gli stessi interessi dell’Italia in Libia. A differenza di Roma, Berlino è divisa da migliaia di chilometri, da altri Paesi e da una condizione di distacco anche sistemico rispetto a Tripoli e al territorio libico. Ma il messaggio lanciato da Berlino fu chiarissimo: la Germania in Nord Africa ci vuole essere eccome, senza lasciare troppo spazio ai suoi partner europei. O quantomeno a quelli che possono oscurare la potenza economica ma poco diplomatica di Berlino.
Il capitolo successivo della strategia tedesca passa invece per le bollenti acque del Mediterraneo orientale. Nella sfida tra Grecia e Turchia, l’interesse si è concentrato sulla scelta di Emmanuel Macron di inviare nell’Egeo navi e aerei da guerra per mostrare i muscoli vero Recep Tayyip Erdogan e le sue navi di ricerca. Una decisione, quella francese, particolarmente importante, visto che rientrava in un’ottica di sfida alla Turchia ma anche in funzione della vendita di armi e unità militari alla Grecia.
Ma mentre Parigi si schierava apertamente con Atene fornendo supporto militare e politico, Berlino iniziava la sua manovra diplomatica per mettere un freno all’escalation e senza parteggiare apertamente per l’una o l’altra parte. Un ruolo da mediatore che deriva dagli interessi strategici tedeschi nell’area: Grecia e Turchia sono partner molto importanti per la Germania e la regione è uno dei grandi terminali dell’industria tedesca verso il Mediterraneo (l’altro punto di sfogo è Trieste). Impossibile scegliere senza danneggiare la propria economia. E così Angela Merkel sguinzagliava Heiko Maas tra Atene e Ankara con l’intento di arrivare a un accordo. Risultato? La mossa è piaciuta soprattutto ai turchi, tanto che il ministro della Difesa Hulusi Hakar ha detto recentemente al quotidiano tedesco Handelsblatt che Ankara si affida soprattutto a Berlino: “La Germania è uno dei nostri più importanti alleati nell’architettura di sicurezza europea”. Un messaggio denso di significati, a conferma che l’interlocutore privilegiato della Turchia in Europa rimane la Germania, con cui il governo turco intrattiene rapporti strategici di fondamentale importanza. Ed è un monito che serve anche all’Italia.
Roma deve osservare le mosse tedesche molto attentamente. Perché gli interessi della Germania nel Mediterraneo orientale e in Libia sono molto più importanti di quello che si vuole credere. E lo dimostra il fatto che la Turchia parla con la Germania, mentre la Libia è entrata nel mirino tedesco grazie agli interessi economici nella ricostruzione e nella produzione di energia. Il fatto che Luigi di Maio, dopo essere sbarcato a Tripoli, abbia dovuto incontrare i libici in un secondo round di colloqui anche con il ministro tedesco e quello francese indica che da parte di Berlino ci sia l’interesse a evitare una fuga in avanti italiana. E il Mediterraneo interessa molto all’industria tedesca.
Per la Germania il momento non è dei migliori. Il viaggio di Mario Draghi dopo quello di Di Maio ha confermato che a Roma la questione libica è considerata prioritaria. E per Tripoli le aziende e il governo italiano sono partner fondamentali sia per la transizione che per la ricostruzione. Lo certifica anche il vertice (non a sorpresa) tenuto a Tripoli sempre tra Draghi e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, idem per le parole di fuoco rivolte al presidente turco in conferenza stampa arrivate a pochi giorno da una telefonata proprio tra i due leader. E gli Stati Uniti, alle spalle di Draghi, sostengono questa nuova linea italiana soprattutto in funzione di un rafforzamento della Nato nell’area.
Insomma: l’Italia sembra avere chiaro il suo ruolo all’interno “grande gioco” del Mediterraneo. Ma questo non deve farci credere che tutto si stia svolgendo secondo quanto stabilito. Perché non siamo soli. La Francia ha sfruttato la politica assertiva turca per imporsi come interlocutore privilegiato di greci e ciprioti in Ue. E da tempo ha stretto forti legami con Egitto, Libano e Cipro. La partita libica è stata fallimentare (almeno nel sostegno a Haftar) ma le ha comunque permesso di mettere più di un piede nell’area evitando che l’Italia manovrasse in solitaria a Tripoli. E nell’altro polo dell’asse franco-tedesco, la Germania, che da tempo si interessa di Libia, Mediterraneo orientale, mercato bellico in Medio Oriente e crisi nel Sahel non va sottovalutata. Il silenzio di Merkel anche di fronte allo smacco pubblico della delegazione Ue ad Ankara può essere un segnale che arriva dalla capitale tedesca: evidentemente la cancelliera, soprattutto per i rapporti con la Russia, tutto vuole meno che evitare una frattura con la Turchia. E in Libia può essere un partner sia per i turchi che per gli avversari di Ankara: le parole di Hakar sono state chiare.