Gerusalemme vive giorni con il fiato sospeso, dopo gli scontri del fine settimana appena passato e gli appuntamenti di lunedì. Il 10 maggio ricorre infatti l’anniversario della conquista israeliana di Gerusalemme est dopo la Guerra dei sei giorni e l’attesa marcia dei nazionalisti per le strade della città lascia presagire nuovi scontri. Intanto Hamas soffia sul fuoco delle rivolte palestinesi inneggiando ad una nuova Intifada, ma senza davvero desiderane una, mentre dall’Autorità nazionale palestinese giungono deboli parole di condanna.

Gli scontri a Gerusalemme est

Il fine settimana è stato contrassegnato da nuove proteste dei palestinesi riunitisi a Gerusalemme e nella Moschea di al-Aqsa per celebrare la Laylat al-Qadr (o Notte del destino), la notte più sacra per i musulmani durante il mese del Ramadan. Almeno 90 mila fedeli si sono riuniti nella Moschea nonostante il timore di una nuova incursione da parte delle forze dell’ordine israeliane, che venerdì 7 maggio sono entrate con la forza ad al-Aqsa. Centinaia fedeli erano rimasti all’interno della Moschea in segno di solidarietà per le famiglie di Sheik Jarrah, ma sono stati sgomberati con la forza degli agenti israeliani: almeno 170 palestinesi sono rimasti feriti a seguito dell’incursione, ma la risposta di Israele non è bastata a spezzare il movimento di protesta. La notte tra l’8 e il 9 maggio, infatti, è stata ugualmente caratterizzata da nuove manifestazioni a Gerusalemme est, contro cui si è diretta ancora una volta la repressione delle forze dell’ordine: agenti israeliani a cavallo hanno usato granate stordenti e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, che hanno risposto con lanci di pietre.

Nel tentativo di ridurre l’afflusso di palestinesi verso Gerusalemme, Israele aveva anche bloccato gli autobus che cercavano di entrare in città all’altezza di Abu Ghosh, ma centinaia di persone hanno percorso i 10 chilometri restanti a piedi o grazie all’aiuto dei palestinesi residenti a Gerusalemme, accorsi con i propri mezzi di trasporto dopo il tam-tam sui social.

Nonostante l’alto livello di tensione registratosi in città fin dall’inizio del Ramadan, gli occhi sono tutti puntati su ciò che accadrà nel corso della giornata. Almeno 30 mila coloni hanno annunciato che prenderanno parte alla marcia che ogni anno si tiene per le strade di Gerusalemme est in ricordo della conquista israeliana della parte araba della città nel 1967. In molti avevano chiesto la cancellazione della parata, ma il portavoce della polizia, Eli Levi, ha confermato che le celebrazioni non saranno ostacolate.

luoghi Gerusalemme

Il nodo di Sheik Jarrah

Lunedì era attesa anche la sentenza della Corte suprema israeliana sul futuro di 40 palestinesi residenti nel quartiere di Skeikh Jarrah: le loro case dovrebbero essere confiscate da Israele per poi essere assegnate ai coloni ebrei che ne rivendicano la proprietà. Domenica, i giudici hanno deciso di rinviare l’udienza a data da destinarsi per evitare un ulteriore aumento della tensione.

Intanto, a supporto delle famiglie palestinesi si è mossa la Giordania, che prima della Guerra dei sei giorni amministrava la Cisgiordania e Gerusalemme est. La documentazione presentata da Amman attesta il passaggio all’Anp della proprietà della terra su cui sorgono le case attualmente contese e costruite dalla stessa Giordania in accordo con l’Onu per dare un rifugio ai profughi del 1948, anno della fondazione di Israele e nota tra i palestinesi come la Nakba (la Catastrofe). Una ricostruzione che i coloni israeliani non hanno accettato e su cui sarà la Corte ad esprimersi.

Intanto nel quartiere si sono susseguite proteste e sit-in a cui hanno preso parte non solo palestinesi giunti da diverse città, ma anche israeliani ed ebrei contrari all’allontanamento forzato delle famiglie palestinesi da Gerusalemme. La loro presenza ha costretto gli agenti israeliani ad intervenire con minore forza, ma non sono mancati gli arresti e le granate stordenti.

Verso una nuova Intifada?

La domanda che più risuona in Israele e Palestina dall’inizio delle proteste è: ci sarà una nuova Intifada? Dare una risposta certa non è facile, ma almeno per ora sembra un’ipotesi poco probabile. Seppure non impossibile. Attualmente, ciò che manca al movimento di protesta è una leadership in grado di unire e mobilitare i palestinesi a Gerusalemme e nelle altre città.

Con poca sorpresa, il presidente palestinese Mahmoud Abbas si è limitato a puntare il dito contro Israele e a chiedere un intervento del Consiglio di sicurezza per proteggere il popolo palestinese. Una risposta cauta di un leader ormai in declino, costretto a rimandare le elezioni per non perdere il suo potere e che teme che le attuali proteste possano rivolgersi anche contro l’Anp.

Diversa invece la reazione di Hamas. Il leader del Movimento che controlla Gaza, Ismail Haniyeh, ha definito quanto sta avvenendo a Gerusalemme “una Intifada che non si deve fermare” e ha avvertito il premier israeliano Benjamin Netanyahu di “non giocare col fuoco”. Le parole di Haniyeh non devono però trarre in inganno. Hamas può già contare su ampio sostegno elettorale e non sarebbe in grado di sostenere un nuovo attacco da parte di Israele. Il Movimento deve fare i conti con il malcontento della popolazione di Gaza, provata non solo da anni di embargo ed isolamento, ma anche dalla pandemia. Una sconfitta sul piano militare e ulteriori danni alle infrastrutture della Striscia sono uno scenario che il Movimento vuole scongiurare.

A minacciare ripercussioni per quanto sta accadendo a Gerusalemme è anche il Movimento per il Jihad, altra forza attiva a Gaza e non sempre in linea con Hamas. Che i suoi membri lancino dei razzi contro Israele – anche senza il consenso di Haniyeh – è un’ipotesi plausibile, ma parliamo di un gruppo ormai minoritario nella stessa Striscia e a cui l’esercito israeliano risponderebbe come già fatto in passato bombardandone le postazioni nell’enclave, insieme a quelle di Hamas. Ad oggi, nemmeno il Movimento per il Jihad ha le forze per ergersi a leader del movimento di protesta, come successo in passato.

Una terza Intifada è un’ipotesi che lo stesso Stato di Israele dovrebbe impegnarsi ad evitare. In pieno stallo politico, con l’economia danneggiata dalla pandemia e la ripresa del turismo alle porte un nuovo clima di violenza generalizzata non è certo lo scenario migliore per il Paese ebraico. Ad oggi, quindi, è difficile pensare che le proteste si trasformino in una Intifada come quelle del 1987 o del 2000, ma la situazione è ancora in evoluzione.





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