Israele vede una sola capitale: Gerusalemme. Al punto che l’ha inserita nella propria costituzione. La comunità internazionale non ha mai accettato l’occupazione della parte orientale della città santa (avvenuta dopo la guerra del 1967) e, di fatto, non riconosce Gerusalemme capitale. Gli Stati Uniti con una legge controversa approvata dal Congresso nel 1995 (era Clinton) auspicò che Gerusalemme divenisse capitale, fissando una data entro cui la propria ambasciata avrebbe dovuto essere spostata da Tel Aviv: il 31 maggio 1999. Ma tale spostamento non è mai avvenuto, per ragioni di realpolitik legate all’esigenza, considerata prioritaria, di mantenere lo status quo.
Perché Israele vuole a tutti i costi Gerusalemme capitale? Le motivazioni sono storiche e culturali prima che politiche. Per gli ebrei, infatti, Gerusalemme è la loro capitale da più di tremila anni: re David aveva il proprio palazzo reale a Gerusalemme nel X secolo avanti Cristo. Ma c’è anche un alto valore simbolico, legato alla distruzione del Tempio e la successiva dispersione del popolo ebraico (diaspora). Da quel momento poter “tornare a Gerusalemme” è diventato un obiettivo irrinunciabile per gli ebrei di tutto il mondo.
Anche per i palestinesi Gerusalemme è una città di estrema importanza dal punto di vista religioso, con profonde implicazioni politiche. Per i musulmani, infatti, è nel luogo oggi chiamato “Spianata delle Moschee”, che Maometto venne assunto in cielo. E proprio per questo si tratta di un luogo santo per i musulmani. Da lì nasce la necessità di preservare quel luogo e farne la capitale dello Stato a cui aspirano.
Entrambi i popoli, gli ebrei e i palestinesi, partono dunque da motivazioni religiose, che si mescolano a rivendicazioni e aspirazioni politiche, ben radicate nella storia. Una soluzione apparentemente accettabile la trovarono le Nazioni Unite. Nel piano di spartizione della Palestina del 1947, infatti, l’Onu stabilì che vi fossero tre entità: lo Stato ebraico, quello arabo e Gerusalemme posta sotto l’egida internazionale, proprio per le caratteristiche multiculturali e religiose della città santa. I leader sionisti disserò sì, quelli arabi respinsero la proposta con sdegno. Come andò a finire? Nel 1948 nacque lo Stato d’Israele e Gerusalemme fu indicata come capitale, anche se la parte Est rimase sotto il controllo della Giordania. Dopo la “guerra dei sei giorni” (1967) gli israeliani conquistarono anche quella parte, chiudendo definitivamente il discorso. Ma solo da un punto di vista militare. L’ufficializzazione di Gerusalemme “capitale eterna e indivisibile” arrivò solo nel 1980, con una legge costituzionale varata dalla Knesset.
Apoche ore dall’anuncio ufficiale di Trump sul riconoscimento di Gerusalemme capitale, il premier israeliano Netanyahu durante una conferenza diplomatica ha detto che “l’identità storica e nazionale di Israele sta ricevendo riconoscimento, soprattutto oggi”. Chiaro il riferimento alla mossa degli Usa.
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che l’Alleanza atlantica “non fa parte del processo di pace in Medio Oriente, ma gli alleati sostengono con fermezza tutti gli sforzi per arrivare a una soluzione pacifica e negoziata del conflitto”. Cina, Europa e Russia sono “preoccupati”. La Nato spinge per la mediazione. Il risiko del Medio Oriente non è mai stato così complicato e potenzialmente esplosivo come in questi giorni.